Caracalla: lo spietato imperatore che rese tutti cittadini romani

Marco Aurelio Antonino, meglio conosciuto come Caracalla, è stato un imperatore romano che ha governato dal 198 al 217 d.C. Figlio maggiore di Settimio Severo e di Giulia Domna, governò per un breve periodo assieme a suo fratello Geta, che tuttavia venne brutalmente assassinato proprio da Caracalla.

Divenuto unico imperatore, Caracalla dovette affrontare un periodo particolarmente instabile, dominato da invasioni esterne, prevalentemente da parte di popoli germanici, e alcune urgenti riforme interne. L’atto più noto di Caracalla è certamente la “Constitutio Antoniniana”, nota anche come “Editto di Caracalla”, dove l’imperatore concesse la cittadinanza romana a quasi tutti gli uomini liberi che risiedevano nell’Impero. 

Si tratta di un provvedimento molto discusso dagli storici, tra chi interpreta questa mossa come una pietra miliare della storia romana e chi è più critico nei confronti di una misura che ha, in un certo senso, svuotato la cittadinanza del suo significato.

Giovinezza e ascesa al potere

Caracalla nacque a Lugdunum, nelle Gallie, ora Lione in Francia, il 4 aprile del 188 d.C. Suo padre, Settimio Severo, era un acclamato generale di origini puniche, mentre la madre, Giulia Domna, era una nobildonna romana particolarmente potente. Il 9 aprile del 193 d.C suo padre fu proclamato imperatore dai soldati, dando inizio alla dinastia dei “Severi”.

La carriera di Caracalla fu spianata dal padre: all’età di soli 5 anni, esattamente il 28 gennaio del 198 d.C., Severo nominò Caracalla “Augusto” e imperatore a pieno titolo con lui. Così, nel giorno in cui si celebrava il trionfo di Settimio Severo sull’impero dei Parti e il saccheggio della loro capitale Ctesifonte, il giovanissimo Caracalla venne anche insignito del titolo di pontefice massimo, la massima autorità religiosa. Suo fratello più piccolo, Geta, fu proclamato invece “Nobilissimo Cesare”, sempre lo stesso giorno.

Il padre proseguì la sua azione che mirava a concedere al figlio tutti gli onori necessari per governare da successore: fu inserito nel collegio sacerdotale dei fratelli Arvali nel 199 d.C, e nello stesso anno ottenne il titolo di “Padre della Patria”. Nel 202 d.C, oltre ad essere eletto console, Caracalla sposò la figlia di un aristocratico, Claudiano, Fulvia Plautilla.

In realtà, Caracalla odiava Plautilla, ma i piani di suo padre per garantirgli la successione ebbero la meglio e il matrimonio venne celebrato il 15 aprile.

Nel 205, Caracalla venne eletto console per la seconda volta, in compagnia del fratello minore Geta. Proprio in quell’occasione, fece giustiziare Claudiano per tradimento, ma è molto probabile che  Caracalla abbia costruito delle prove fasulle solo per potersi liberare di un pretendente al trono e di un aristocratico che minacciava il suo potere.

Colse anche l’occasione per divorziare da sua moglie, che morì di lì a poco, probabilmente per ordine dello stesso Caracalla.

Mentre Caracalla governava con mano ferma e dimostrava già una certa dose di violenza nei confronti degli oppositori, la madre, Giulia Domna aumentava la sua influenza negli affari della famiglia Imperiale. Attuando una sorta di “Mecenatismo“, Domna attirò a Roma tutta una serie di pensatori, filosofi e scrittori e iniziò ad amministrare alcuni aspetti finanziari dell’impero.

L’impero di Caracalla e Geta

Il 4 febbraio del 211 d.C, il padre di Caracalla e Geta, Settimio Severo, morì, lasciando l’impero nelle piene mani dei due figli, che governavano come imperatori a pari titolo e a pari merito.

La prima azione ufficiale dei due nuovi imperatori fu quella di concludere una pace con la tribù britannica dei Caledoni, ponendo fine all’invasione romana della Caledonia iniziata nel 208 e riposizionando il confine settentrionale dell’impero sul Vallo di Adriano. Nonostante questa decisione congiunta, già durante il viaggio di ritorno a Roma, mentre trasportavano ancora le ceneri di loro padre, Caracalla e Geta litigarono continuamente, dimostrando rapporti estremamente ostili e inconciliabili.

Consapevoli che una condivisione del potere non sarebbe stata possibile, Caracalla e Geta coltivarono l’idea di dividere l’Impero in due parti esatte, seguendo la linea del Bosforo. Caracalla avrebbe dovuto governare i territori ad ovest, mentre Geta avrebbe avuto giurisdizione ad est. Ma la madre Giulia Domna, avendo a cuore l’unità dell’impero, riuscì ad imporre il proprio parere e a scongiurare questa possibilità.

Caracalla e Geta vissero così nel palazzo imperiale in continua inimicizia e contrasto: secondo le fonti antiche, non si incontravano mai, se non adeguatamente scortati dalle guardie del corpo, e la madre doveva fare continuamente da mediatrice tra le due personalità.

Il 26 dicembre del 211 d.C, Caracalla propose a Geta un incontro, formalmente mirato ad una riconciliazione, ma in realtà si trattava di una trappola: i membri della Guardia pretoriana fedeli a Caracalla, assassinarono Geta direttamente nel palazzo imperiale: il ragazzo morì fra le braccia della madre.

A Caracalla non bastò: l’ormai unico imperatore diede inizio ad una sistematica persecuzione dei sostenitori di Geta e ordinò per il fratello una pena nota come “Damnatio memoriae”, con cui si eliminavano tutte le tracce di una persona per impedire che i posteri avessero ricordo di lui. Le esecuzioni di Caracalla, fra sostenitori, membri dell’esercito e guardie del corpo, toccarono l’impressionante cifra di 20.000 persone.

Il regno di Caracalla come unico Imperatore: le missioni militari contro Germani e Parti

La politica militare di Caracalla fu particolarmente generosa nei confronti dei soldati: aumentò la paga annuale del legionario medio portandola a duemila sesterzi, elargendo diversi donativi e benefici. Sicuramente, Caracalla non dimenticò mai il consiglio di suo padre, che sul letto di morte gli disse: “Curati dell’esercito e di null’altro”.

Ma Caracalla non si limitò solamente ad aumentare il benessere economico dei soldati, ma a condividere con loro il campo e le fatiche. Adottava spesso i loro costumi e secondo le fonti antiche cucinava personalmente il suo pranzo, esattamente come faceva qualsiasi altro legionario.

Nel 203 d.C, Caracalla lasciò Roma e non ci sarebbe mai più ritornato. La sua prima preoccupazione, di natura militare, fu quella di recarsi sui confini settentrionali per trattare con la tribù germanica degli Alemanni, che avevano sfondato i confini romani in Rezia e minacciavano la tranquillità dell’impero. Le trattative durarono pochissimo e si passò immediatamente all’azione armata. 

Durante le campagne militari del 213 e 214, Caracalla riuscì ad ottenere delle prime vittorie, utilizzando un misto di forza e di diplomazia. L’imperatore pensò nel frattempo di rafforzare le fortificazioni che si trovavano nella zona della Rezia e della Germania superiore, note come “Agri Decumates “, un’operazione estremamente utile, che garantì altri 20 anni di stabilità al territorio.

Nella primavera del 214 d.C, Caracalla spostò la sua attenzione sulle provincie orientali, in particolare in quelle di Asia e Bitinia. In poco tempo, raggiunse la città di Nicomedia, passò ad Antiochia e raggiunse nel 215 d.C Alessandria, sul delta del Nilo.

E qui si verificò un atto di estrema violenza: quando la popolazione egizia venne a sapere dell’omicidio di Geta, alcuni satiri realizzarono piccoli poemi ironici contro l’imperatore. Caracalla, infuriato, massacrò un gran numero di notabili egizi che si erano radunati davanti alla città per salutare il suo arrivo. Inoltre, diede ordine alle sue truppe di saccheggiare Alessandria per diversi giorni.

Nella primavera del 216 d.C, Caracalla ritornò ad Antiochia per gestire i rapporti con l’impero dei Parti.  Inizialmente l’imperatore cercò di utilizzare la diplomazia: inviò dei messaggeri al Re partico, Artabano V, offrendosi di sposare sua figlia. Artabano si rese immediatamente conto che dietro la proposta di matrimonio si nascondeva la chiara volontà di Roma di estendere il dominio sui territori della Partia e declinò la proposta.

Caracalla concepì quindi un’operazione militare in grande stile: stabilì la sua base operativa nella città di Edessa, odierno sud-est della Turchia, dove raccolse circa 16000 uomini. Sembra che l’esercito non venne organizzato secondo le tradizionali tecniche e armamenti romani. Caracalla ammirava immensamente la figura di Alessandro Magno e delle sue conquiste, e così sembra abbia preparato l’esercito organizzandolo in falangi in stile macedone, nonostante questa formazione tattica fosse ormai obsoleta da diversi secoli.

Alcuni storici suggeriscono che Caracalla si sia semplicemente ispirato alla falange macedone, senza la volontà di dispiegarsi sul campo con una tattica tanto vecchia, ma è sicuro che l’influenza della memoria di Alessandro Magno fu decisiva, anche perché Caracalla si comportava esattamente come il grande condottiero macedone, sia nei modi di vita che nella ritrattistica commissionata ai suoi artisti di corte.

La mania di Caracalla per le gesta di Alessandro Magno si spinse talmente oltre che durante una sua visita nella città egiziana di Alessandria, mentre si preparava per l’invasione contro i Parti, decise di perseguitare e far giustiziare i filosofi della scuola aristotelica, semplicemente perché era venuto a conoscenza di una leggenda, del tutto infondata, secondo cui lo stesso Aristotele avrebbe avvelenato Alessandro Magno.

Quando la stagione lo permise, gli scontri con Artabane cominciarono, ma la campagna si interruppe quasi subito per l’improvvisa morte dell’imperatore.

La “Constitutio Antoniniana” o editto di Caracalla

Uno degli atti per cui Caracalla è passato alla storia è certamente un editto con cui concesse la cittadinanza a tutti gli adulti liberi nell’Impero. Prima di questo editto, solo i coloni romani che abitavano da tempo varie città dell’impero erano cittadini, mentre molti altri, nuovi immigrati, ausiliari dell’esercito e popolazioni recentemente sottomesse, non godevano dei diritti della cittadinanza. 

Nel 212 d.C, Caracalla emanò un editto ufficiale, noto come “Constitutio Antoniniana”, con cui tutti gli uomini liberi che risiedevano nei confini dell’Impero romano divennero automaticamente cittadini romani, ad eccezione di pochissime fasce della popolazione, tra cui gli schiavi e i cosiddetti “Dediticii“, persone che si erano appena arrese a Roma per via della guerra.

Questa misura si presta a diverse interpretazioni: secondo lo storico romano Cassio Dione, l’Editto di Caracalla fu uno stratagemma per aumentare le persone tassabili all’interno dell’impero. Roma, effettivamente, stava attraversando una situazione finanziaria difficile e aveva bisogno di allargare la platea dei contribuenti. L’editto ampliava di molto l’obbligo di servizio pubblico e, attraverso le tasse di successione, l’impero aumentò drasticamente il suo gettito fiscale.

Vi è anche da osservare, però, che la gran parte degli uomini che ricevette la cittadinanza romana non era particolarmente ricca, e anche i provinciali, che avevano un reddito tendenzialmente basso, godettero della stessa misura. 

Un altro scopo di questo editto, come potrebbero confermare alcune iscrizioni all’interno del papiro su cui venne steso il testo del provvedimento, potrebbe essere stata la voglia di Caracalla di placare l’ira degli Dei dopo l’omicidio di Geta.

In fondo, Caracalla aveva ucciso suo fratello ed era riuscito a non subire particolari conseguenze.

Molto religioso, Caracalla potrebbe aver sviluppato un timore nei confronti degli Dei: secondo l’interpretazione degli storici moderni Rowan e Goldsworthy, Caracalla avrebbe potuto emanare questo editto per garantirsi un buon rapporto con gli Dei romani, tramite un importante regalo nei confronti di tutti i cittadini. 

A voler “difendere” Caracalla, si potrebbe invece considerare che le periferie dell’impero stavano diventando particolarmente importanti, sia per quanto riguarda la leva dei nuovi soldati, sia per questioni amministrative, e la concessione della cittadinanza potrebbe essere vista come un atto naturale e fisiologico di una Roma in continua espansione, che ormai domina incontrastata tutta la zona Europea.

La morte di Caracalla  e la sua eredità

All’inizio del 217 d.C, Caracalla si trovava ancora nella città di Edessa, pronto a proseguire le ostilità contro i Parti.  Il giorno 8 aprile, l’imperatore era in viaggio per visitare un tempio nei pressi della città di Carre, odierna Turchia meridionale, dove nel 53 a.C i romani avevano subìto una pesantissima sconfitta proprio per mano dei Parti. 

Secondo le fonti antiche, Caracalla si era inimicato un soldato, Marziale, rifiutandosi di concedergli la promozione al rango di centurione, e il prefetto del pretorio di Caracalla, Macrino, colse l’opportunità di usare Marziale per porre fine al regno dell’imperatore e prendere il suo posto. Per questo motivo, mentre Caracalla si era appartato momentaneamente per urinare, Marziale lo avrebbe raggiunto e lo avrebbe pugnalato a morte. 

Subito dopo, Macrino fece giustiziare Marziale, liberandosi di uno scomodo testimone. Tre giorni dopo, nascondendo quanto avvenuto, Macrino inviò una comunicazione al Senato con cui diceva che i suoi soldati, ancora sconvolti per la morte improvvisa di Caracalla, lo avevano nominato come nuovo Imperatore e che le emergenze militari lo avevano costretto ad accettare la carica.

Caracalla non fu soggetto a “Damnatio Memoriae” dopo il suo assassinio: il Senato aveva con lui un cattivo rapporto, soprattutto per la sua cattiveria, per l’omicidio di Geta e per lo scarso rispetto che mostrava nei confronti dell’aristocrazia. Ma la sua popolarità presso i militari impedì di prendere drastici provvedimenti contro la sua memoria, e lo stesso Macrino non potè dichiararlo apertamente nemico pubblico.

Macrino fu in grado solamente, soprattutto per non scontentare il Senato, di far rimuovere segretamente e con prudenza le statue di Caracalla dalla vista del pubblico.

Nonostante questo, Macrino dovette avviare il processo di divinizzazione e commemorazione ufficiali di Caracalla.

Il giudizio su Caracalla è piuttosto controverso: la maggioranza delle fonti antiche puntano l’attenzione sulla sua crudeltà, lo presentano come un tiranno crudele e un sovrano selvaggio. L’omicidio di suo fratello Geta è certamente una macchia sulla sua vita che non può essere ignorata. Ma anche i massacri successivi, avvenuti per una serie di motivazioni, a volte anche futili, non possono che consegnarci una memoria negativa di questo imperatore.

Caracalla, in realtà, assomiglia più ad un soldato che ad un imperatore: le sue campagne militari, eccetto quella in Germania, non hanno avuto importanti risultati, e le sue misure di politica interna sono abbastanza controverse, tra chi vede nella “Constitutio Antoniniana” una grande scelta in favore del Popolo romano, e chi la considera solamente uno stratagemma per aumentare le entrate fiscali.

Caracalla, in ultima battuta, si inserisce perfettamente nella dinastia degli imperatori-soldato, che gestiscono con mano ferma un impero gigantesco ma che, al momento opportuno, mancano di attuare le riforme necessarie per supportare una società civile che inizia a dare segni di cedimento.