Camillo Benso, conte di Cavour. Biografia e vita politica

Camillo Benso, conte di Cavour è nato il 10 agosto 1810 a Torino nell’allora Impero francese e morì il 6 giugno 1861 sempre a Torino. E’ stato uno statista, conservatore il cui sfruttamento delle rivalità internazionali e dei movimenti rivoluzionari ha portato all’unità d’Italia (1861). Dopo la dichiarazione del Regno Unito d’Italia, Cavour assunse la carica di primo Presidente del Consiglio d’Italia; morì dopo soli tre mesi in carica e non visse abbastanza per vedere la “questione romana” risolta attraverso la completa unificazione del paese dopo la annessione di Roma nel 1870.

La famiglia Cavour e i primi anni

I Cavour erano un’antica famiglia che aveva servito i Savoia come soldati e funzionari fin dal XVI secolo. Camillo e suo fratello maggiore Gustavo furono inizialmente educati a casa. Fu mandato all’Accademia Militare di Torino quando aveva solo dieci anni. Nel luglio 1824 fu nominato paggio da re Carlo Alberto. Cavour si scontrava spesso con le autorità dell’Accademia, poiché era troppo testardo per seguire la rigida disciplina militare.

Camillo Benso Cavour a 31 anni – Di Paolo Bozzini (Piacenza 1815-1892) Pubblico dominio

Mentre era nell’esercito, studiò la lingua inglese e le opere di Jeremy Bentham e Benjamin Constant, sviluppando tendenze liberali che lo resero inviso alle forze di polizia dell’epoca. Si dimise dal suo incarico nell’esercito nel novembre 1831, sia per la repulsione della vita militare sia per la sua avversione per le politiche reazionarie di re Carlo Alberto. Amministrò la tenuta di famiglia a Grinzane, una quarantina di chilometri fuori da Torino, ricoprendovi la carica di sindaco dal 1832 fino allo sconvolgimento rivoluzionario del 1848.

Cavour riteneva che il progresso economico dovesse precedere il cambiamento politico e sottolineava i vantaggi della costruzione di ferrovie nella penisola. Fu un forte sostenitore del trasporto a vapore, sponsorizzando la costruzione di molte ferrovie e canali. Tra il 1838 e il 1842 Cavour avviò diverse iniziative per cercare di risolvere i problemi economici della sua zona. Ha sperimentato diverse tecniche agricole nella sua tenuta, come la coltivazione della barbabietola da zucchero, ed è stato uno dei primi proprietari terrieri italiani ad utilizzare fertilizzanti chimici. Fondò anche la Società Agricola Piemontese. Nel tempo libero viaggiò molto, principalmente in Francia e nel Regno Unito.

La sua carriera politica

A poco a poco, mentre si avvicinava l’anno 1848 e si avvertivano le prime raffiche della grande tempesta rivoluzionaria di quell’anno, l’interesse di Cavour per la politica ricominciava a dominare. Lo dimostra la sequenza cronologica dei suoi scritti. Il suo passaggio alla politica fu completato quando il re Carlo Alberto decise di intraprendere misure di riforma e di concedere una certa libertà alla stampa. Cavour ne approfittò per fondare il quotidiano Il Risorgimento, che divenne ben presto il paladino di riforme sempre più drastiche. Dopo aver avuto un ruolo di primo piano nel persuadere Carlo Alberto a concedere una costituzione liberale, Cavour utilizzò Il Risorgimento per propagare l’idea di una guerra immediata con l’Austria come necessità storica. Una volta eletto deputato nel giugno 1848, tuttavia, assunse una posizione intermedia tra conservatori e rivoluzionari, suscitando così l’inimicizia di destra e di sinistra.

La guerra contro l’Austria fu avviata, ma gli sviluppi andarono contro i piemontesi. Ciò spinse Cavour a offrire i suoi servizi come volontario finché, eletto deputato nella terza legislatura, nel luglio 1848, iniziò a lottare per l’approvazione di un trattato di pace con l’Austria, sebbene gli estremisti di sinistra volessero continuare un guerra che era, in effetti, già persa. L’intelligenza e la competenza di Cavour si è mostrata nei dibattiti su questioni finanziarie e militari e gli è valso un posto di rilievo tra i deputati della maggioranza che hanno sostenuto il governo di destra di Massimo d’Azeglio. Nell’ottobre 1850 gli fu offerto l’incarico di ministro dell’agricoltura e presto divenne il membro più attivo e influente del gabinetto. Attraverso una serie di trattati con Francia, Belgio e Inghilterra, Cavour tentò di realizzare la maggior quantità possibile di libero scambio. Cercò anche di formare una rete di interessi economici con le grandi potenze per aprire la strada a un’alleanza politica contro l’Austria. La sua nomina a ministro delle finanze nel 1850 fu la prova delle sue crescenti ambizioni.

Cavour ora cercava di creare un’alleanza tra centrodestra e centrosinistra che formasse una nuova maggioranza con maggiore capacità di orientarsi verso una politica di secolarizzazione e modernizzazione in Piemonte. L’alleanza, denominata “connubio”, portò alle dimissioni di d’Azeglio, la cui posizione parlamentare era stata completamente distrutta. Dopo vari tentativi alternativi Vittorio Emanuele II, succeduto al padre Carlo Alberto nel 1849, si rassegnò ad affidare la formazione del governo a Cavour, che da allora fino alla sua morte fu il capo politico riconosciuto dell’Italia.

Di Léopold-Ernest Mayer, Pierre-Louis Pierson – Musée de l’Elysée, Rudolfinum, Pubblico dominio

Il dramma europeo in cui Cavour fu trascinato suo malgrado iniziò nel 1854 con la Guerra di Crimea, che vide Francia e Inghilterra allearsi contro la Russia per difendere l’integrità del territorio turco minacciato dalla determinazione della Russia di aprire i Dardanelli al passaggio dal Mar Nero al Mediterraneo. Vittorio Emanuele ha immediatamente promesso il suo aiuto ai rappresentanti francese e inglese. Cavour, i cui ministri votarono contro l’impresa di Crimea, era sul punto di essere destituito dal re se avesse rifiutato l’alleanza o di essere costretto a dimettersi dai colleghi se l’avesse accettata.

Accettando l’alleanza con la consueta audacia e fiducia in se stesso, evitò lo scontro con il re e iniziò la guerra. La svolta della guerra arrivò con la vittoria anglo-francese-sarda che persuase l’Austria a mettere da parte la sua neutralità e, per mezzo di un ultimatum, costringere la Russia a fare la pace.

Con qualche difficoltà Cavour si assicurò la partecipazione della piccola potenza piemontese alle trattative di pace al Congresso di Parigi, in cui erano rappresentate le più grandi potenze europee. Approfittando della generale animosità verso l’Austria, che si era unita agli alleati nella guerra di Crimea solo quando fu assicurata la vittoria sulla Russia, Cavour riuscì a proporre la discussione del problema italiano in quanto minacciava la pace europea. A suo avviso, la pace era minacciata dall’invasione austriaca, dal malgoverno papale nell’Italia centrale e dal governo autocratico dei Borboni spagnoli nell’Italia meridionale. Così, per la prima volta, la questione italiana è stata presentata alla considerazione degli altri Stati europei in modo da favorire la liberazione della penisola. La difficoltà fu di persuadere le due grandi potenze, Francia e Inghilterra, a perseverare nell’appoggio di una politica antiaustriaca da parte del Piemonte.

A Parigi Cavour ebbe occasione di incontrare e valutare la statura dei più capaci diplomatici d’Europa e di approfondire le ragioni della politica delle grandi potenze. Sapeva benissimo che era illusorio sperare nell’assistenza disinteressata dell’Europa alla causa italiana; tuttavia, con la sua instancabile energia e la sua illimitata capacità di sfruttare le situazioni più avverse, riuscì finalmente a conquistare Napoleone III dalla sua parte. La sua carta vincente era la proposta di ristabilire la Francia come potenza leader nel Continente con una spedizione in Italia che avrebbe sostituito il dominio austriaco della penisola con il dominio francese.

In un incontro segreto a Plombières nel luglio 1858, Napoleone III e Cavour accettarono di iniziare uno scontro contro l’Austria l’anno successivo. Ai primi sospetti di un accordo segreto, le potenze europee, in particolare l’Inghilterra, iniziarono una campagna per impedire a francesi e piemontesi di realizzare le loro intenzioni, una campagna così intensa che Cavour si vide trascinato sull’orlo di una catastrofe personale e nazionale. Fu salvato da un incredibile errore da parte dell’Austria, che inviò un ultimatum minacciando la guerra a meno che il Piemonte non venisse subito disarmato. Di conseguenza entrò in vigore l’alleanza franco-piemontese, e questa volta la superiore potenza militare dell’Austria fu controbilanciata dal contributo francese. Le vittorie franco-piemontesi si susseguirono fino a quando Napoleone firmò un armistizio con l’imperatore Francesco Giuseppe I a Villafranca nel luglio 1859.

La guerra aveva scatenato movimenti rivoluzionari in Toscana, nei ducati di Modena e Parma, e negli stati pontifici tra Po e Appennino, da Bologna a Cattolica; i regnanti ducali erano stati espulsi, così come i legati pontifici. L’armistizio sembrava rimettere tutto in discussione, tranne l’acquisizione della Lombardia da parte di Vittorio Emanuele, che era un guadagno minimo rispetto ai sogni di Cavour di liberare l’Italia dalle Alpi all’Adriatico. A Villafranca Cavour sfogò la sua rabbia e la sua frustrazione sul re e si dimise.

Contrariamente alla sua abituale arguzia, si rese conto solo in seguito dei vantaggi che sarebbero derivati ​​dall’armistizio. La forza rivoluzionaria in Italia non poteva più essere frenata, né l’imperatore francese poteva ritirarsi dalla sua posizione di protettore dell’autodeterminazione italiana. Ritornato al potere nel gennaio 1860, Cavour si adoperò per l’annessione dei ducati centrali che un tempo erano appartenuti agli antichi regnanti del Piemonte; riuscì a farlo solo cedendo Savoia e Nizza alla Francia.

Unità d’Italia

La resa di Nizza alla Francia acuì notevolmente il conflitto tra Cavour e Giuseppe Garibaldi, poiché Nizza fu la città natale dell’eroe dei due mondi. La resa del baluardo alpino piemontese poteva essere compensata solo dall’espansione territoriale nell’Italia centrale, a spese del papa, e nel Regno delle Due Sicilie. Ma Cavour, ormai pecora nera della diplomazia europea per averne turbato troppo spesso la tranquillità, non era in grado di prendere l’iniziativa, anche se l’Inghilterra ormai era favorevole alla sua politica.

Fu Garibaldi a risolvere lo stallo causato dall’inattività forzata di Cavour. Navigando con i suoi famosi Mille in Sicilia, distrusse il dominio borbonico lì e nel sud. L’ardita diplomazia piemontese e di Cavour sembrava momentaneamente eclissata dalle imprese militari dell’eroe in camicia rossa, ma, cosa ancora più importante, apparivano ora i primi contorni di rivalità tra un’Italia moderata e monarchica e un’Italia rivoluzionaria e repubblicana. Il pericolo di rottura fu scongiurato dal buon senso e dalla magnanimità di Garibaldi e da uno stratagemma diplomatico di Cavour. Cavour, prendendo posizione davanti all’Europa come difensore dell’ordine e della legge contro gli eccessi rivoluzionari, e davanti a Napoleone come difensore dell’ultimo lembo di territorio pontificio contro l’attacco di Garibaldi, inviò un esercito al comando di Vittorio Emanuele attraverso le Marche e l’Umbria per frenare Garibaldi e saldare le due Italie in un solo regno unito.

Cartes-de-visite portraits of U.S. Army officers, children, and others,- Library of Congress, Pubblico dominio

Rimaneva ancora il problema della costituzione di una capitale. Cavour sentiva che solo Roma poteva essere la capitale del nuovo stato; ma ciò significava che doveva affrontare il problema più complesso della sua vita: quello della posizione da assegnare al papa, capo del cattolicesimo, una volta che Roma fosse diventata capitale d’Italia. Cavour accettò di tutto cuore il concetto della separazione tra Chiesa e Stato; nelle sue trattative con il papato divenne un appassionato sostenitore dell’idea. Sosteneva che la libertà della Chiesa doveva essere il fulcro del rinnovamento del mondo, anche se ciò comportava la rinuncia al suo potere temporale e la resa di Roma alla nazione italiana. Una chiesa e un papato interamente spirituali, affermò, avrebbero fatto rivivere l’umanità. Pio IX rispose a queste proposte in modo netto e contrario. Ma mentre Cavour promuoveva ancora con vigore la sua formula di “ Chiesa libera in stato libero”, si ammalò gravemente e morì.