Tiberio e Germanico. Un confronto tra le imprese di due grandi generali

Non vi è dubbio che Tiberio Giulio Cesare Augusto e Germanico Giulio Cesare siano stati due tra i più grandi generali che abbiano servito sotto le aquile. Ambedue componenti della famiglia Giulio-Claudia, erano legati da un rapporto di parentela tanto di sangue, essendo zio e nipote, che legale, in quanto Tiberio era padre adottivo di Germanico. Infatti, Augusto, dopo avere adottato Tiberio facendone il proprio erede, volle che quest’ultimo adottasse a sua volta Germanico[1], stabilendo così una precisa linea di successione al trono imperiale.

Con questo articolo, intendo offrirvi uno spaccato delle loro imprese belliche, che tratterò e metterò a confronto in un modo credo inusuale, esaminando non solo le loro indubbie doti e capacità, ma anche come la Fortuna abbia diversamente influito sul loro percorso esistenziale dal punto di vista militare, favorendone i successi e determinandone gli insuccessi.

Prima di affrontare l’argomento, ritengo indispensabile un chiarimento. Quando parlo di Fortuna, intendo riferirmi alla dea il cui culto, secondo i Romani, sarebbe stato introdotto da Servio Tullio, il re che, essendone stato più di tutti favorito, le dedicò ben ventisei templi. In realtà, le origini della dea erano antichissime, probabilmente ben antecedenti alla stessa fondazione della città.

Definita Primigenia, in quanto nata prima di tutti gli dèi, era l’espressione di tutto quanto fosse potenziale e latente, ma in grado di svilupparsi in base a pura casualità e il suo ambito si contrapponeva a quello dell’attualità rappresentato da Giove. La sua natura era quindi diametralmente opposta alla corrispondente Tyche greca, che era concepita non come espressione di un potere cieco e fortuito, ma associata al governo universale di Zeus.

Al contrario della divinità greca, in genere benigna, essendo la sorte sfavorevole associata alle Moire che decidevano la durata della vita umana, Fortuna poteva riservare agli uomini la felicità o la sventura e, di conseguenza, il grande santuario sito a Preneste, in cui era celebrata, era famoso in tutto il mondo romano per i responsi oracolari che offriva[2].

Fatta questa premessa esaminiamo e paragoniamo la carriera militare dei nostri protagonisti, in modo da coglierne gli evidenti parallelismi, senza però volermi atteggiare ad un nuovo Plutarco.

La carriera militare di Tiberio ebbe inizio nel 25 A.C. quando, all’età di sedici anni, partecipò come tribuno, alla guerra contro i Cantabri e gli Asturi, volta ad assicurare a Roma il pieno controllo della Spagna. Questa prima esperienza bellica, combattuta contro guerrieri irriducibili e particolarmente abili nella guerriglia, ne temprò il carattere.

Pochi anni dopo, compì una delle sue imprese più spettacolari, in cui, senza perdere un solo legionario e senza ampliare di un piede il territorio dell’impero, seppe ristabilire l’onore di Roma. Venne infatti incaricato da Augusto di muovere verso l’Armenia al comando delle sue legioni, allo scopo di risolvere una controversia dinastica tra il candidato favorito da Roma e quello preferito dai Parti[3].

Ebbene, la semplice notizia dell’avvicinarsi dell’esercito romano, ispirò più miti consigli al re dei re Fraate, facendogli abbandonare ogni pretesa sul trono conteso e inducendolo a restituire ad Augusto le aquile delle legioni di Crasso sconfitte a Carre e a inviargli dei propri figli in qualità di ostaggi. A Tiberio non rimase altro da fare se non incoronare il nuovo re dell’Armenia, alla presenza delle sue legioni[4].

LA BATTAGLIA DI CARRE – VIDEO DI ROBERTO TRIZIO

Le successive imprese furono più cruente. Dopo una spedizione punitiva oltre il Reno contro Sigambri, Tencteri e Usipeti, colpevoli della Clades Lolliana, assieme al fratello Druso sottomise i Rezi e i Vindelici, assicurando a Roma il controllo dell’intero arco alpino fino al Danubio. Nel 12 A.C., alla morte di Marco Agrippa, venne incaricato di pacificare definitivamente la Dalmazia, territorio infido e mai definitivamente domo. Vi riuscì dopo tre anni di guerra ferocissima, al termine della quale venne acclamato quale imperator dalle sue truppe, ma il trionfo gli venne negato da Augusto, forse per non mettere in ombra i giovani figli dello stesso Marco Agrippa.

L’anno seguente, la prematura morte del fratello Druso, che si era coperto di gloria in Germania, lo costrinse a dedicarsi a questo nuovo fronte di guerra, dove occupò i territori fino al fiume Weser, ampliando delle fortezze come Aliso, che era stata fondata dal fratello[5] e deportando in Gallia i Sigambri, che da allora costituirono una tra le migliori truppe ausiliarie di Roma[6].

A partire dal 7 A.C. la sua carriera militare subì una lunga stasi a seguito del volontario esilio a Rodi a cui si sottopose probabilmente per motivi politici. Essa riprese, nel migliore dei modi, solo dopo il 4 D.C., quando, dopo essere stato adottato da Augusto, venne accolto con incredibile gioia da parte dei legionari[7] e riuscì a dare concretezza al sogno augusteo di portare al fiume Elba la nuova frontiera dell’impero.

Dopo una prima campagna in cui riaffermò il pieno dominio di Roma su tutti i territori compresi tra il Reno e il Weser e sui popoli che lì vivevano inclusi i Cherusci, l’anno seguente compì una impresa militare ardita quanto ingegnosa. Infatti, organizzò una numerosa flotta che dopo una pericolosa traversata del mare del Nord, risalì l’Elba.Così facendo sottomise tutte le popolazioni che vivevano ad occidente di questo grande fiume, inclusi i feroci Longobardi[8] e costrinse a diventare clienti di Roma quelle che vivevano ad oriente, inclusi i Semnoni, che a dire di Tacito erano la più nobile tra le tribù germaniche[9].

A questo punto mancava solo la sottomissione della Boemia per completare il progetto di una frontiera Elba-Danubio molto più facilmente difendibile che probabilmente avrebbe cambiato il corso della storia. Preparò una grande manovra a tenaglia, che aveva già sperimentato nella campagna in Rezia al fianco di Druso, che avrebbe dovuto stringere in una morsa i Marcomanni e i Quadi di Maroboduo, unici avversari che potevano ancora opporsi alla integrale conquista della Germania.

Ma a questo punto commise probabilmente il suo primo grave errore, forse per un eccesso di sicurezza. Poiché non era ipotizzabile di affrontare un potente esercito come quello di Maroboduo schierando meno di dieci legioni, spostò sul nuovo teatro di guerra almeno tre legioni che normalmente erano di stanza nell’Illirico.

Le mai dome popolazioni dei Dalmati e dei Pannoni non si lasciarono sfuggire l’occasione di prendere le armi contro le ridotte forze romane rimaste a presidiare la provincia. Così quando la forza d’invasione era giunta a solo cinque giorni di distanza dagli avamposti dei Marcomanni, giunse la terribile notizia della rivolta dell’Illirico[10].

La colpevole sottovalutazione del rischio di lasciare quasi sguarnito un territorio così ampio e infido viene evidenziata dal fatto che solo dopo l’accendersi della rivolta venne indetto un arruolamento straordinario di veterani e liberti che sarebbe stato necessario indire prima per rimpiazzare le truppe destinate in Boemia[11].

La situazione era gravissima, perché con l’eccezione delle due fortezze di Sirmio e di Siscia l’intera provincia era nelle mani dei rivoltosi. Mentre Tiberio stipulava in tutta fretta un trattato di pace con Maroboduo, fu solo per merito di due grandi generali, Marco Messala Messalino e Aulo Cecina Severo, che Roma riuscì ad evitare la completa vittoria dei rivoltosi e a non perdere il controllo dell’intero Illirico.

Tiberio giunse nell’Illirico solo l’anno successivo allo scoppio della rivolta, ma la sua conduzione della guerra non lasciò soddisfatto Augusto che decise di inviare al suo fianco proprio il figlio adottivo Germanico, all’epoca semplice questore ventunenne, per cercare di velocizzare l’andamento delle operazioni belliche[12].

Furono necessari altri due anni per avere ragione dei Dalmati e dei Pannoni poi, pochi giorni dopo il termine di questa guerra ferocissima, giunse la tragica notizia dell’agguato di Teutoburgo e della perdita di tre legioni e dell’intera Germania Magna.

L’ultima campagna militare di Tiberio fu quella condotta in Germania tra il 10 e il 12 D.C.volta a rendere sicuri i confini, impedendo future invasioni della Gallia e a ripristinare l’onore di Roma perduto a seguito della negligenza di Varo. Ma a questo punto devo dire che, a mio avviso, il Tiberio di questa campagna era assai distante dal brillante e audace stratega di un tempo.  Lungi dal tentare la riconquista della provincia perduta adottò una condotta contrassegnata dalla più totale e assoluta prudenza[13].

A differenza del passato, non prese nessuna decisione personalmente, ma solo dopo aver sentito il parere dei suoi sottoposti eimpose ai legionari una disciplina talmente ferrea e rigorosa al punto da applicare punizioni desuete e immotivate di fronte a minime manchevolezze[14]. In definitiva, durante i tre anni della campagna evitò di affrontare i Germani in qualunque scontro in campo aperto e si limitò a devastarne i territori nel corso di semplici scorrerie oltre il Reno, essendo sempre tormentato dal pensiero di poter cadere vittima di un imboscata simile a quella che aveva decretato la fine di Varo.

Credo quindi di potere affermare che, sempre a mio avviso, la campagna in questione non raggiunse nessun risultato concreto, anche perché, se così non fosse stato, non si comprenderebbe il motivo per cui, a solo due anni di distanza, vennero condotte le nuove campagne militari da parte di Germanico, che ottennero dei risultati assai diversi.

Osservo ancora che, in ogni caso, Arminio non avrebbe intrapreso nessuna iniziativa bellica in Gallia a causa del mancato accordo con Maroboduo al quale, dopo Teutoburgo, aveva inviato la testa di Varo confitta sulla punta di una lancia, nella speranza che scendesse in armi al suo fianco[15].Tra l’altro i Germani, nei giorni successivi all’imboscata, non seppero approfittare della confusione e dello scoramento di cui erano preda i Romani, al punto che Lucio Asprenate, nipote di Varo, al comando di due sole legioni seppe tenere inviolato il confine sul Reno[16] e Lucio Cedicio, seppe prima resistere all’assedio a cui fu sottoposto dai Germani nell’accampamento di Aliso che comandava[17] e, successivamente, grazie ad un ingegnoso espediente[18]riuscì a condurre in salvo a Castra Vetera i suoi legionari e numerosi civili che avevano trovato rifugio presso di lui.

Passiamo adesso ad esaminare la carriera militare di Germanico. Come detto il suo esordio avvenne agli ordini del padre adottivo nel corso della rivolta dell’Illirico. Il giovane ufficiale si comportò più che bene in quanto, pur avendo a disposizione truppe di scarsa esperienza in parte reclutate tra i liberti e gli schiavi affrancati, seppe vincere e sottomettere la tribù dalmata dei Mazei[19].

Le cose andarono ancora meglio l’anno successivo, quando riuscì a conquistare due città fortificate, Splono attuale Plevlja in Montenegro, in cui i difensori si arresero facilmente e Raetinum, dove invece la battaglia fu feroce al punto che gli assediati diedero a fuoco alla città dopo l’ingresso al suo interno delle truppe romane[20].

Nell’ultimo anno di conflitto Germanico sottomise dopo accesi combattimenti la città di Arduba, in cui gran parte delle donne che la abitavano preferirono suicidarsi per evitare di essere ridotte in schiavitù, mentre gli uomini si limitarono ad arrendersi[21].

Partecipò poi all’atto che pose fine alla guerra, la resa di Batone il Dalmata e al famoso episodio in cui alla domanda di Tiberio sul perché di una guerra così lunga e cruenta, il ribelle rispose: “Siete voi i responsabili perché a difesa delle vostre greggi inviate dei lupi, anziché dei cani e dei pastori!”[22] Probabilmente i Romani avrebbero dovuto fare tesoro di queste parole, ricordandole al momento di procedere alla nomina dei governatori e scegliendo quelli meno avidi. Germanico partecipò anche alle campagne di Germania del 10/12 D.C. sulle quali non ho nulla da aggiungere a quanto detto.

Nel 14 D.C. gli venne affidato il comando delle otto legioni poste a guardia del Reno e l’imperio proconsolare per la Germania. In tale inedita veste si trovò immediatamente ad affrontare la rivolta delle legioni che reclamavano paghe migliori e più accettabili condizioni di vita, di cui riuscì a venire a capo anche grazie all’intervento della moglie Agrippina[23].

Nei due anni successivi si coprì di gloria in Germania, recuperando due delle tre aquile delle legioni di Varo, dando sepoltura ai resti dei caduti di Teutoburgo che i Germani avevano belluinamente lasciato insepolti, raggiungendo l’Elba come avevano già fatto tanto il padre naturale Druso, quanto quello adottivo Tiberio e, soprattutto, sconfiggendo in due grandi battaglie campali ad Idistaviso e al Vallo Angrivaro, gli eserciti riuniti delle più feroci tribù germaniche sotto il comando di Arminio e dello zio Inguiomero, vendicando la Clades Variana.

Una volta rientrato a Roma gli venne assegnata una difficile missione in Oriente, nella quale era chiamato a risolvere diverse delicate questioni dinastiche, tra cui la successione sul trono dell’Armenia. Come fatto quaranta anni prima da Tiberio, riuscì ad incoronare un nuovo sovrano gradito a Roma[24]. Fu nel corso di questa missione che, nel 19 D.C. trovò morte prematura ad Antiochia.

Non entro volutamente nella annosa questione se a seguito delle vittorie conseguite contro Arminio, Germanico avrebbe potuto sottomettere l’intera Germania, qualora non fosse stato anticipatamente richiamato a Roma da Tiberio, né tantomeno mi esprimo sull’altra vexata quaestio se Tiberio abbia avuto delle responsabilità in ordine alla morte del figlio adottivo.

Osservo invece che Tiberio non fu un “Favorito della Fortuna” solo in merito alla ascesa al trono imperiale,dove ben quattro pretendenti al soglio che lo precedevano nella linea dinastica, come Marcello, Marco Agrippa, Lucio Cesare e Gaio gli premorirono. Lo fu anche dal punto di vista della carriera bellica, dove alle sue indubbie ed eccezionali qualità strategiche si aggiunse il fatto che la Fortuna gli mostrò quasi sempre il suo volto più benigno, quando spesso fu ostica nei confronti di Germanico.

Vediamo adesso su cosa baso questa mia osservazione, mettendo in parallelo le imprese compiute da questi due grandi generali. Cominciamo dal fatto che, come abbiamo visto, entrambi riuscirono a recuperare le insegne perdute in gravi disfatte che poi vennero custodite nel tempio dedicato a Marte Ultore, a perenne monito per i nemici di Roma. Solo che le aquile perse da Crasso a Carre furono restituite spontaneamente dai Parti alla notizia che Tiberio avanzava verso l’Armenia al comando delle sue legioni, Germanico riprese le aquile perse da Varo a Teutoburgo, solo a seguito di feroci combattimenti.

Sempre restando in Oriente, mentre Tiberio incoronò Tigrane quale nuovo re dell’Armenia di fronte alle sue truppe, Germanico fece lo stesso con Artassia, ma non godé della protezione delle legioni di stanza in Siria, in quanto il governatore Gneo Calpurnio Pisone, disattendendo i precisi ordini ricevuti, non le guidò in Armenia[25].

Quanto alle campagne belliche condotte in Germania, Tiberio, come Druso prima di lui, dovette affrontare una per volta le singole tribù germaniche, in quanto le stesse non si erano coalizzate contro i Romani e lo stesso avvenne nel primo anno della rivolta dell’Illirico, quando la mancata riunione tra i Dalmati e i Pannoni, avvenuta solo in seguito, consentì ai Romani di conservare le roccaforti di Siscia e Sirmio, che furono importantissime per le successive operazioni.

Inoltre, all’epoca i Germani non erano adusi ad utilizzare tattiche belliche simili a quelle delle legioni e, anzi, consideravano i generali romani a livello degli déi, come testimoniato dall’episodio in cui un anziano capo, lungo le rive dell’Elba, dopo aver richiesto di toccare la mano di Tiberio dichiarò:” Oggi ho veduto gli déi di cui prima sentivo parlare e non ho desiderato né vissuto nella mia vita giorno più felice!”[26]

Al contrario Germanico dovette affrontare dei nemici che conoscevano benissimo le tattiche romane, avendo in larga parte servito quali ausiliari nell’Illirico e che non nutrivano nessun timore reverenziale, in quanto il loro morale era stato ingigantito dalla vittoria di Teutoburgo. La coalizione che Germanico dovette affrontare includeva i Cherusci, i Marsi, i Catti, i Bructeri e gli Angrivari. Si trattava di una forza paragonabile solo all’esercito dei Marcomanni di Maroboduo, che ammontava a circa settantamila uomini e applicava disciplina e metodi di addestramento pari a quelle dei Romani.[27]

Osservo infine che anche quando Germanico adoperò le stesse tattiche impiegate da Tiberio, imbarcando le sue truppe alla foce del Reno per navigare nel mare del Nord e penetrare nel cuore della Germania, risalendo il corso del Weser, la Fortuna si dimostrò matrigna nei suoi confronti.

Riuscì infatti ad evitare i sempre possibili agguati che l’anno prima avevano messo a rischio le truppe guidate da Aulo Cecina Severo nella battaglia di Pontes Longi, ma, a differenza del padre adottivo dovette affrontare la furia dell’Oceano che, durante il viaggio di ritorno dalle vittoriose battaglie di Idistaviso e del Vallo Angrivariano, determinò l’affondamento di parte della flotta e falcidiò le sue legioni[28], cosa che probabilmente contribuì alla decisione di Tiberio di non prolungare le campagne belliche.

Per questo, sono portato a pensare che Germanico sia stato alla fine superiore a Tiberio essendo riuscito a conseguire gli stessi risultati pur senza essere stato un Favorito della Fortuna e dovendo spesso lottare contro una sorte avversa.


[1] Svetonio. Vita dei Cesari, Caligola 4.

[2] Marco Tullio Cicerone. De Divinatione, XLI 85-86.

[3] Augusto, Res Gestae

[4]Velleio Patercolo, Historiae Romanae, II,94

[5] Cassio Dione, Romaikà LIV, 33

[6]Cassio Dione, Romaikà LV, 6

[7]Velleio Patercolo, Historiae Romanae, II, 104

[8] Velleio Patercolo, Historiae Romanae, II, 106

[9]Tacito, De origine et situ Germanorum, XXXIX

[10] Velleio Patercolo, Historiae Romanae, II, 108-110

[11] Velleio Patercolo, Historiae Romanae, II, 111

[12] Cassio Dione, Romaikà LV, 31

[13]Cassio Dione, Romaikà LVI, 24-25

[14]Svetonio. Vita dei Cesari, Tiberio 18-19.

[15] Velleio Patercolo, Historiae Romanae, II, 119

[16]Velleio Patercolo, Historiae Romanae, II, 120

[17] Cassio Dione, Romaikà LVI, 22

[18] Roberto Trizio, Scripta Manent, L’assedio di Aliso

[19] Cassio Dione, Romaikà LV, 31

[20] Cassio Dione, Romaikà LVI, 11

[21] Cassio Dione, Romaikà LVI, 15

[22] Cassio Dione, Romaikà LVI, 16

[23] Tacito, Annali, I, 41-44

[24] Tacito, Annali, II, 56

[25] Tacito, Annali, II, 57

[26] Velleio Patercolo, Historiae Romanae, II, 107

[27] Velleio Patercolo, Historiae Romanae, II, 109

[28] Tacito, Annali, II, 24-26