Il sacco di Roma del 390 a.C: i Galli di Brenno e la resistenza romana

Il sacco di Roma ad opera di Brenno nel 390 a.C rappresenta uno degli episodi più tragici del primo periodo della storia romana.

Dopo quell’evento, i romani svilupparono il cosiddetto “Metus Gallicus”, l’atavica paura delle tribù celtiche del nord. Ma allo stesso tempo, i romani porteranno il loro modo di fare la guerra ad un livello successivo, capendo quanto fosse necessario sviluppare una serie di abilità tattiche che andassero oltre al semplice dispiegamento di un consistente numero di uomini sul campo di battaglia.

L’arrivo dei Galli in Italia è la sconfitta dell’Allia

Le tribù Galliche, che abitavano l’odierna zona della Francia compivano delle regolari incursioni nel territorio Italico: contingenti militari minacciavano infatti da diversi anni le città dell’Etruria, la principale potenza Italica del periodo, che si sviluppava nel territorio dell’odierna Toscana.

Gli Etruschi, rendendosi conto che Roma si stava trasformando da semplice città-stato a una delle principali organizzazioni militari dell’intero Lazio, chiesero aiuto. Così, nel 391 a.C, le truppe romane intervennero nella guerra tra Galli ed Etruschi, e riuscirono a rompere l’assedio che i guerrieri nordici stavano tenendo alla città etrusca di Chiusi.

L’anno successivo, i principali guerrieri Gallici, comandati dal loro capo Brenno, decisero di dichiarare guerra a Roma per la loro intromissione.

I romani si sentirono particolarmente sicuri di poter battere il nemico Gallico, tanto che la delegazione di ambasciatori inviati a discutere con il nemico, trattò gli avversari con sufficienza, addirittura schernendoli e ironizzando sulle loro abitudini barbare, sicuri di ottenere una decisiva vittoria militare in poco tempo.

L’esercito romano decise di inviare due legioni, ancora organizzate alla greca e quindi costituite sostanzialmente da una falange di uomini, per battere i Galli, che vennero intercettati sulle rive del fiume Tevere, e per la precisione alla confluenza con il fiume Allia, a 18 Km a nord di Roma.

I romani ritenevano di vincere facilmente la partita, ma la terribile carica dei guerrieri Gallici terrorizzò i soldati, alcuni dei quali iniziarono a scappare senza nemmeno entrare in contatto con il nemico. Il confronto si trasformò in una terribile disfatta, che lasciò Roma completamente indifesa.

Il saccheggio di Roma da parte di Brenno

Il giorno dopo la battaglia, il 19 luglio del 390 a.C, l’esercito Gallico si appostò direttamente fuori dalle mura di Roma. Di fronte alla città, i capi Gallici si resero conto che non vi erano sentinelle sulle mura né alcuna unità militare pronta a difendersi: credendo che si trattasse di una trappola, decisero di inviare alcuni esploratori per comprendere meglio la natura del territorio e cercare dei contingenti romani nascosti.

In realtà i romani non avevano forze sufficienti per difendersi dai Galli e anche le mura, poco più che un bastione di terra, non sarebbero mai state in grado di proteggere la città.

I romani avevano così deciso di abbandonare i quartieri che non sarebbero mai stati in grado di proteggere e preferirono, come estrema forma di difesa, rifugiarsi in una cittadella fortificata sul Campidoglio, che trovandosi in rilievo, poteva costituire una elementare forma di difesa.

I senatori, gli aristocratici, assieme ai soldati e alle loro famiglie, si rifugiarono nel Campidoglio, portando con sé i principali simboli religiosi e tutte le derrate alimentari che erano in grado di stipare.

I Galli poterono così entrare in città senza incontrare la minima forma di resistenza. Mentre Brenno dava ordine ai suoi di saccheggiare la città senza riguardo, una parte dell’esercito Gallico iniziò ad assediare il Campidoglio per stroncare anche l’ultima difesa romana.

La difesa della Cittadella

Nonostante non fossero in grado di proteggere Roma, i restanti legionari romani riuscirono ad attuare una efficace difesa del Campidoglio. Lasciarono salire i guerrieri Gallici fino a metà della collina, per poi investirli improvvisamente con frecce e giavellotti, travolgendoli con una carica efficace. I Galli decisero quindi di non tentare ulteriori confronti diretti e preferirono proseguire con un classico assedio.

Inoltre, il cibo cominciava a scarseggiare anche per i guerrieri Gallici, anche perché le campagne circostanti, bruciate dai contadini romani prima della fuga, non erano in grado di fornirgli nessun tipo di alimento .

Mentre i Galli continuavano ad assediare il Campidoglio e finivano di mettere a ferro e a fuoco Roma, il generale romano Marco Furio Camillo, che si trovava in quel momento presso la vicina città laziale di Ardea, radunò i cittadini e organizzò un contingente militare per liberare la capitale.

Camillo riuscì a sorprendere alcuni esploratori dei Galli, che stavano perlustrando le campagne alla ricerca di cibo o di prigionieri, e a batterli con poca difficoltà. Questo suo primo successo diede coraggio a tutta la regione e il generale romano fu in grado di ingrandire il suo esercito con combattenti provenienti da tutte le zone circostanti.

Il Senato, venuto a sapere della difesa organizzata da Camillo, gli inviò segretamente un messaggio con cui lo investiva della carica di dittatore e gli conferiva il pieno potere sull’andamento della guerra.

Nel frattempo, i Galli cercarono con l’astuzia di infiltrarsi nella Collina del Campidoglio: il piano funzionò. I Galli individuarono un luogo poco presidiato nei pressi del Tempio della Dea della nascita. I combattenti riuscirono così a conquistare la vetta del Campidoglio senza incontrare particolare resistenza.

Secondo la tradizione, il motivo per cui i romani asserragliati nella Cittadella non vennero completamente trucidati fu l’improvviso starnazzare di alcune oche, che svegliarono i legionari appena in tempo.

Guidati dal Generale Marco Manilo, i Legionari appena svegli affrontarono i Galli in una battaglia sanguinosa, riuscendo a scacciare i nemici dalla Cittadella.

La resa del Campidoglio e il riscatto a Brenno

Dopo sette mesi di assedio da parte dei guerrieri Gallici, entrambi gli eserciti erano stremati dalla fame. Iniziava inoltre a diffondersi per la città la malaria e l’epidemia, favorita dal caldo e dall’alto numero di uomini asserragliati in spazi ristretti.

I romani all’interno del Campidoglio, dopo una serie di consulti, decisero di arrendersi ai Galli di Brenno e accettarono la proposta di pagare mille libbre d’oro per convincere l’esercito Gallico a ritirarsi senza ulteriori combattimenti.

Il pagamento del riscatto fu particolarmente umiliante per i romani, i quali radunarono tutte le ricchezze della loro città e le consegnarono al cospetto di Brenno e dei suoi comandanti. Molto spesso i Galli modificavano i pesi sulle bilance per aumentare ulteriormente il già terribile riscatto, senza che i romani potessero contestarli.

Secondo Tito Livio, è esattamente in questa circostanza che il capo dei Galli, Brenno, avrebbe pronunciato la famosa frase: “Guai ai vinti!”

La ritirata dei Galli da Roma

Le fonti antiche, a questo punto, non sono chiare sugli avvenimenti successivi. Tito Livio ci informa che l’esercito di Furio Camillo si avvicinò alla città, e ordinò ai Galli di lasciare immediatamente il posto. Dopo il rifiuto di Brenno, sarebbe scaturita una feroce battaglia e qui Furio Camillo avrebbe pronunciato un’altra frase storica: “Non con l’oro ma con il ferro si riscatta la patria! ”

Secondo questa versione, l’esercito romano di Furio Camillo riuscì rapidamente ad avere ragione dei guerrieri Gallici, che ormai erano fiaccati da mesi di assedio e dalla malnutrizione.

Plutarco si allinea alla tradizione di Tito Livio, e ci narra di alcuni scontri vinti dai romani con relativa facilità, mentre Polibio, un altro storico greco-romano particolarmente affidabile, non ci parla di album combattimento.

Probabilmente, i Galli si ritirarono spontaneamente della città di Roma, ma vennero attaccati, durante la loro ritirata, da alcuni contingenti militari, che furono in grado di infastidirli e prendersi una parziale rivincita. Gli storici romani successivi, con altrettanta probabilità, avrebbero “aggiustato” l’andamento dei fatti per non ammettere candidamente una così bruciante sconfitta romana.

Le conseguenze sulla psicologia dei romani

I romani vennero pesantemente colpiti, soprattutto a livello psicologico, da questo terribile episodio. Durante il sacco dei Galli da parte di Brenno, la città venne quasi rasa al suolo, e moltissimi documenti importanti relativi al periodo monarchico vennero persi per sempre.

I romani svilupparono anche il cosiddetto “Metus Gallicus”, la paura dei Galli, che sempre accompagnerà il popolo romano fino alla conquista della Gallia da parte di Giulio Cesare.

Sicuramente, i romani si resero conto che il loro esercito era organizzato ancora in maniera troppo rudimentale: una pesante carica di feroci guerrieri era stata sufficiente per annientare le loro difese.

Come sempre nella tradizione romana, questa sconfitta fu fondamentale per portare la loro cultura militare ad un livello superiore, sviluppando delle nuove strategie, migliorando i loro armamenti e soprattutto iniziando a sviluppare delle tattiche sul campo di battaglia che li avrebbero resi invincibili.