La donazione di Costantino è un presunto atto con cui l’imperatore Costantino concedeva a Papa Silvestro I una serie di vantaggi e privilegi su tutto il territorio dell’impero romano. Il documento ha permesso alla Chiesa medievale di rivendicare la proprietà su vasti territori e su immense ricchezze.
Dopo alcune contestazioni di carattere legale da parte di personaggi come Dante Alighieri, l’umanista Lorenzo Valla nel 1440 identificò una serie di incongruenze che dimostrarono la falsità del documento, redatto almeno quattro secoli dopo il periodo di Costantino da un anonimo Monaco a Roma o a San Denis, in Francia.
Il Trattato di Lorenzo Valla emerse in ambito protestante e venne inserito dalla Chiesa nell’indice dei libri proibiti, per poi affermare la definitiva falsità della donazione nei secoli successivi.
L’Editto di Costantino e il contenuto della donazione di Costantino
La donazione di Costantino è un documento datato 30 marzo 315 d.C che pretende di riassumere un editto emanato direttamente dall’imperatore Costantino con cui vengono eseguite una serie di concessioni e donazioni straordinarie a Papa Silvestro I.
I punti cardine del documento sono:
- Il primato del Papa di Roma su tutti gli altri patriarchi delle principali città mediterranee come Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme.
- La sovranità del Papa su tutti i sacerdoti del mondo
- La sovranità del Papa sulla Basilica del Laterano, considerata prima e vertice di tutte le chiese del mondo
- Il potere Papale superiore a quello dell’ imperatore romano con l’autorizzazione all’utilizzo dei classici simboli dell’imperatore da parte di tutti i Papi.
La donazione di Costantino venne sistematicamente utilizzata dalla Chiesa del tardo impero e medievale per rivendicare il diritto alla proprietà di immensi territori e ricchezze in tutta l’Europa.
Grazie alla donazione di Costantino, la Chiesa medievale rivendicò la piena giurisdizione sulla città di Roma e i suoi abitanti, grandi quantità di territori in tutta la penisola italica, diverse città, centri abitati e monumenti su tutti i territori che corrispondevano all’impero romano d’Occidente ma anche importanti città e centri religiosi dell’Oriente.
La donazione di Costantino permise alla Chiesa medievale di accumulare ricchezze per secoli e di costituire il patrimonio fondiario più grande di tutta l’umanità.
Il documento venne considerato perfettamente valido per tutto il medioevo, tanto che nel XII secolo e precisamente nel 1140, il monaco Graziano, che riunì tutte le decisioni dei concili della Chiesa in un unico documento riassuntivo, inserì la donazione di Costantino nel suo Decretum Gratiani.
Le prime contestazioni giuridiche sulla donazione di Costantino
Le prime perplessità e contestazioni sulla validità giuridica della donazione di Costantino emersero già nella seconda metà del Duecento. Una delle più importanti contestazioni è quella di Dante Alighieri, che oltre ad essere padre della lingua italiana, era anche un fine politico e giurista.
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Dante, nel suo “De monarchia”, prende in esame la donazione di Costantino, segnalando una serie di irregolarità di carattere legale e dimostrando che la donazione non poteva essere compiuta e la Chiesa non aveva i titoli per poterla accettare.
Le affermazioni di Dante si focalizzano sulla figura dell’imperatore romano: l’imperatore veniva chiamato comunemente “Augustus” che deriva dal verbo latino “augere” e che significa “accrescere, espandere.”
Per questo motivo, il compito legale dell’imperatore era quello di allargare il più possibile i territori dell’impero. Costantino, con la sua donazione, avrebbe invece ottenuto l’effetto diametralmente opposto, riducendo in maniera drastica i possedimenti dell’impero Romano e violando il suo compito principale.
Inoltre, citando un passo del Vangelo di Matteo, Dante dimostra che le Sacre Scritture impongono alla Chiesa di non accumulare beni materiali e potere temporale. Per questo motivo la Chiesa non aveva la possibilità nè i titoli giuridici per accettare i territori donati da Costantino.
Nonostante Dante non abbia mai messo in discussione la veridicità del documento, la sua critica di carattere legale iniziò a sollevare dei dubbi sulla validità e sulla possibilità di applicazione della donazione di Costantino da parte della Chiesa.
La contestazione di Lorenzo Valla
L’umanista Lorenzo Valla iniziò ad analizzare la donazione di Costantino nel 1435, e dopo cinque anni di studio, nel 1440, produsse un saggio intitolato “Discorso sulla donazione di Costantino, altrettanto malamente falsificata che creduta autentica”.
Valla si esprime in una serie di contestazioni sulla veridicità stessa del documento. La prima contestazione di Valla è di carattere psicologico: il carattere e la personalità di Costantino non erano compatibili con una donazione di questo tipo.
Dopodiché Valla segnala una serie di perplessità di carattere legale, sulla falsariga di quanto aveva fatto Dante. Infine, individua degli elementi tecnici che dimostrano la falsità del documento.
Alcune delle principali contestazioni di Valla sono:
- Il testo cita Costantinopoli, la capitale fondata da Costantino. La lingua utilizzata nel documento doveva dunque essere il latino del tempo di Costantino, ma la presenza di numerosi termini di origine barbarica non è compatibile con la data del documento.
- Costantinopoli viene definita come “sede patriarcale”, ma la città, nella data in cui il documento sarebbe stato redatto, non era ancora stata nominata sede di alcunché.
- La donazione di Costantino permette al Papa di utilizzare il Diadema Imperiale, tipicamente proprietà degli imperatori romani. Il diadema viene citato come un oggetto in “oro e pietre preziose”, quando il reale diadema era realizzato in semplice stoffa pregiata. Valla afferma che molto difficilmente Costantino avrebbe compiuto un errore su un simbolo così classico del potere Imperiale
- Nel documento si indica che i “Senatori Patrizi” devono obbedire all’autorità del Papa. Ora, il termine “Patrizio” identifica semplicemente un’origine aristocratica, ma esistevano anche personaggi di origini più umili, i plebei, che potevano perfettamente diventare senatori. Dal momento che potevano esistere anche dei “plebei senatori” è difficile che Costantino non conoscesse un elemento così fondamentale del diritto romano.
Queste rivendicazioni, assieme a molte altre, portarono Valla a concludere che il documento fosse sostanzialmente un falso, redatto da una persona particolarmente ignorante in diritto romano.
Secondo l’umanista, il documento venne scritto almeno quattro secoli dopo il tempo di Costantino e fu da lui datato come un falso del 750/850 d.C, redatto probabilmente nella città di Roma oppure da un anonimo Monaco a San Denis, in Francia.
La lotta della chiesa per censurare il testo di Valla
Il documento scritto da Valla dimostrava in maniera inequivocabile la falsità della donazione di Costantino. Ma bisognerà attendere il 1517 quando, nell’ambito della corrente protestante, le considerazioni dell’umanista verranno diffuse anche grazie alla stampa a caratteri mobili.
La Chiesa Cattolica mise infatti al bando il Trattato nel 1559, iscrivendolo nell’indice dei libri proibiti. Ci vollero diversi secoli prima che la dimostrazione della falsità della donazione di Costantino venisse accettata in ambito accademico.
Lo studio più recente è a cura di Federico Chabod, che nel suo trattato “Lezioni di metodo storico” del 1969, riprende la donazione di Costantino dimostrandone ancora una volta l’assoluta falsità.