Di Leonardo Conti
Una delle prime innovazioni della civiltà umana fu il calendario. Le prime testimonianze si hanno con i babilonesi e con gli egizi. Probabilmente, almeno all’inizio, aveva una valenza agricola e serviva a calcolare i giorni che intercorrevano fra la semina e la raccolta delle messi, o anche il periodo di gravidanza del bestiame.
Tutte le grandi civiltà hanno sviluppato calendari propri, con aspetti sia civili – dunque materiali -che religiosi. Quindi non dobbiamo stupirci se anche i Romani, così attenti all’aspetto pratico ma anche soprannaturale, abbiano sentito l’esigenza di calcolare i giorni dell’anno, fin dall’inizio della loro civiltà.
Il calendario romano, come ben sappiamo, è stato adottato – e, aggiungiamo, adattato – dalla Chiesa, giungendo fino a noi quasi invariato.
Scopriamone insieme l’evoluzione e la storia.
Il calendario di Romolo
Sappiamo da Macrobio, scrittore del IV secolo che, certamente, si rifaceva a fonti per noi perdute, che fu lo stesso Romolo, fondatore e primo re di Roma, a istituire il calendario (Saturnalia, I). In origine si trattava di un computo dei giorni di 10 mesi lunari, di 30 e 31 giorni alternati. Probabilmente era mutuato da quello greco, con pesanti influenze etrusche, comuni ad altri aspetti della vita quotidiana romana.
Cominciava dal 1° marzo e finiva il 31 dicembre.
E qui la prima difficoltà: sono infatti solo 304 giorni e non 365 come i nostri.
In realtà c’era già la consapevolezza che mancassero 61 giorni per raggiungere il termine del ciclo solare: il periodo invernale era visto con ogni probabilità come una sorta di “vuoto”, due mesi di fermo in cui non si faceva praticamente niente, né lavori nei campi né qualsiasi altra attività. Il 31 dicembre si smetteva di contare i giorni fino ai primi tepori e alle prime piogge primaverili.
Un indizio importante ce lo dà il nome del mese di Marzo, che richiama indubbiamente al dio Marte, dio della guerra. Difatti è risaputo che nell’antichità anche le armi tacessero in inverno.
Ecco dunque come si presentava il calendario di Romolo.
Martius (31 giorni) |
Aprilis (30 giorni) |
Maius (31 giorni) |
Iunius (30 giorni) |
Quintilis (31 giorni) |
Sextilis (30 giorni) |
September (30 giorni) |
October (31 giorni) |
November (30 giorni) |
December (30 giorni) TOTALE: 304 giorni |
Sulla stranezza di questo anno particolarmente corto si sono sbizzarriti letterati e studiosi antichi e moderni.
Ovidio, ad esempio, ci informa nei suoi Fasti che i 304 giorni corrispondono alla durata gestazione umana, ma facendo un rapido calcolo scopriamo che corrispondono a 10 dei nostri mesi, ovvero poco più di 43 settimane, quindi il conto non torna.
C’è chi ipotizza addirittura che il calendario romuleo non sia mai esistito e che sia soltanto una delle tante leggende legate alla fondazione della città.
Certo è che ben presto si dovette procedere a una radicale riforma.
Il calendario di Numa Pompilio
Già nel 713, stando alle fonti antiche, Numa Pompilio, il re romano più attento alle cose sacre, riformò il calendario.
Furono aggiunti 2 nuovi mesi, Gennaio (di 29 giorni) e Febbraio (di 28 giorni), per un totale di 57 giorni, di cui 51 ex novo e 6 tolti ai mesi che con Romolo erano di 30 giorni.
Come è risaputo i Romani pensavano che i numeri pari portassero sfortuna e, dunque, i mesi di Aprilis, Iunius, Sextilis, September, November e December furono accorciati di un giorno.
Per lo stesso motivo Febbraio, che di giorni ne contava 28, fu diviso in due frazioni: una prima che terminava il 23, con i Terminalia, la festa del dio Terminus – divinità che soprintendeva alla fine delle imprese e anche ai confini territoriali e dunque era il vero e proprio “ultimo dell’anno” -, a cui seguivano 5 giorni “di pausa”, per così dire.
Ecco lo schema di come si presentava il calendario riformato da Numa Pompilio.
Martius (31) |
Aprilis (29) |
Maius (31) |
Iunius (29) |
Quintilis (31) |
Sextilis (29) |
September (29) |
October (31) |
November (29) |
December (29) Ianuarius (29) Februarius, prima dei Terminalia (23) Februarius, dopo i Terminalia (5) |
TOTALE: 355 giorni |
Il mercedonio
La riforma di Numa, pur correggendo in parte le imprecisioni precedenti, aveva un difetto evidente: quei 10 giorni mancanti.
Per ovviare a questa mancanza, i romani inserirono periodicamente un nuovo mese di 27 o 28 giorni, sottraendo 5 giorni a febbraio (che così finiva con i Terminalia, il 23) e aggiungendone 22 o 23. Tale mese si chiamava mese intercalare, o mercedonio.
Era un complicato sistema ciclico di 24 anni, in cui si alternavano per i primi 16 anni normali e anni con il mercedonio, a sua volta alternato fra 22 giorni e 23 giorni. Dal 17° anno si avevano solo anni di 355 giorni e anni di 377 giorni (mercedonio di 22), mentre il 24° anno, l’ultimo del ciclo, era di 12 mesi.
Tale procedura può apparirci piuttosto complicata ed astrusa a prima vista, ma, calcolatrice alla mano, scopriamo che era straordinariamente precisa per l’epoca.
Infatti il ciclo contava esattamente 8766 giorni, che divisi per 24 anni fornivano una media di 365,25 giorni. Una cifra straordinariamente vicina – si tratta di uno scarto di pochi centesimi – alla durata dell’anno scientificamente accertata solo con la riforma gregoriana del 1582!
I cosiddetti Fasti Anziati ci danno un chiaro esempio di come doveva essere il calendario all’epoca. E’ un affresco risalente al 60 a. C. circa ritrovato ad Anzio e oggi conservato al Museo Nazionale Romano; pur essendo frammentario, la sua lettura ci è abbastanza chiara e agevole in tutte le sue parti.
In questa iscrizione notiamo che il primo mese dell’anno è già gennaio. Non sappiamo da quando sia avvenuto il cambiamento dal marzo a gennaio come primo mese, ma Varrone ci testimonia, rifacendosi a una fonte perduta – un commentario di Marco Fulvio Nobiliore, console nel 159 a.C. – che questa innovazione esisteva già dal 153 a. C., ma probabilmente era molto più antica. La prova è nello stesso nome di Gennaio, in latino Ianuarius, un’evidente dedica a Giano, divinità romana bifronte soprintendente ai confini, alla fine ma soprattutto agli inizi.
Ma anche il sistema dei mesi intercalari aveva dei difetti. L’indizione del mercedonio era prerogativa dei pontefici massimi che, col passare del tempo, presero a inserirlo o toglierlo arbitrariamente, probabilmente non comprendendo bene neppure a cosa servisse.
E questo decretò squilibri fra i giorni effettivi e lo scorrere delle stagioni piuttosto evidenti. Basti solo pensare che, ai tempi di Giulio Cesare c’era uno scarto di ben 67 giorni.
E fu proprio Cesare, come sappiamo, ad intervenire in modo decisivo.
La riforma del calendario di Giulio Cesare
Anzitutto va detto che Cesare non agì a sproposito o al di fuori della legge: come in altre occasioni la sua azione cercava di rientrare, almeno formalmente, entro i canoni della repubblica romana, rifiutando di apparire un tiranno.
In qualità di pontefice massimo, quindi, si rese conto che il computo dei giorni era pesantemente sfalsato rispetto alle stagioni e agì come di sua competenza. Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (XVIII, 210-212) ci informa che incaricò uno dei più celebri studiosi dell’epoca della materia: Sosigene di Alessandria.
Svetonio, nella Vita di Cesare, ci tramanda i provvedimenti che Giulio Cesare prese, su suggerimento dell’importante astronomo alessandrino che aveva condotto evidentemente calcoli approfonditi e convincenti.
Anzitutto, per riequilibrare il tutto, prolungò la durata dell’anno 46 a. C. di ben 101 giorni: oltre al già previsto mese mercedonio, aggiunse altri due mesi di 40 e 39 giorni.
L’anno successivo fu invece l’anno della riforma vera e propria del calendario, che non a caso viene definito “Giuliano”: il mese intercalare venne abolito, procedendo alla redistribuzione dei giorni nei vari mesi, e venne introdotto il sistema degli anni bisestili, con l’aggiunta di un giorno al mese di febbraio ogni 4 anni.
Una curiosità: il nome “bisestile” deriva da “bis sextum (ante calendas martias)”, vale a dire “il giorno dopo il sesto giorno dalle calende di marzo”, secondo il singolare modo di contare i giorni dei romani. Questo perché il giorno aggiuntivo della riforma giuliana non era il 29 febbraio, come lo è per noi, bensì il 24, ovvero il giorno dopo la festa dei Terminalia, con cui ricordiamo che terminava la prima parte di febbraio nel calendario di Numa Pompilio.
Ecco lo schema di come si presentava il calendario di Giulio Cesare.
Ianuarius (31) |
Februarius (28, ogni 4 anni 29) |
Martius (31) |
Aprilis (30) |
Maius (31) |
Iunius (30) |
Quintilis (31) |
Sextilis (29) |
September (29) |
October (31) |
November (29) |
December (29) |
TOTALE: 365 giorni (ogni 4 anni 366) |
Fu una rivoluzione epocale che riequilibrò il computo dei giorni, anche se conteneva un lieve errore, che dovette essere corretto quasi 1600 anni dopo da Papa Gregorio XIII (1582).
L’Età imperiale e il passaggio al Cristianesimo
L’età imperiale non apportò grandi cambiamenti al calendario romano. Le uniche modifiche di rilievo furono per così dire segno di devozione agli imperatori e alle nuove divinità.
L’uccisione di Cesare e la sua divinizzazione nel 44 a. C. fecero sì che il mese in cui era nato (il giorno 13), Quinctilis, cambiasse nome in Iulius, diventando il nostro Luglio.
Anche il mese di Sextilis, subì la stessa sorte: nell’8 a. C. fu chiamato Augustus, in onore di Ottaviano Augusto, che in questo mese aveva conseguito importanti vittorie militari e il suo primo consolato. Il caso volle che il primo imperatore romano morisse proprio nel mese a lui dedicato, per la precisione il giorno 19 del 14 d. C.
La figura centrale e al limite del divino degli imperatori fece sì che si festeggiassero come delle vere e proprie ricorrenze religiose i compleanni dei sovrani, anche se i festeggiamenti vennero sovente aboliti per effetto della damnatio memoriae che subirono alcuni principes per la loro cattiva condotta durante il regno.
Le innovazioni più significative furono dovute alle nuove religioni che si facevano strada nella società romana, affiancandosi e ad un certo punto sostituendo i culti tradizionali romani.
Il 25 dicembre, per fare qualche esempio, la religione del Sol Invictus, culto molto in voga dal III secolo dopo Cristo, festeggiava la nascita del suo nume tutelare: il sole.
L’avvento del Cristianesimo, siamo nel IV secolo, volle soppiantare questa festività, ponendovi l’anniversario della Nascita di Cristo e sposando una tradizione ancora più antica del popolo romano: lo scambio dei doni. Infatti alla fine di dicembre si festeggiavano i Saturnalia, in cui, fra le altre cose, gli antichi usavano invitarsi a banchetti e scambiarsi doni (detti strennae).
Anche il nome “ferragosto” deriva dalle Feriae Augusti, festività istituite da Augusto nel mese a lui dedicato.
La nuova religione, ormai divenuta ufficiale, dimostrò di voler “prendere in prestito” antiche tradizioni, anziché soppiantarle del tutto.
La struttura del calendario romano
Ed ecco il calendario romano, nella sua forma tradizionale
I giorni
I romani aveva un modo particolare di contare i giorni del mese.
Particolare e…forse non molto pratico ed immediato.
Innanzitutto individuavano 3 giorni particolari in un mese, le calende, le none e le idi, e poi contavano i giorni che mancavano a questa data, comprendendo sia la data di partenza che di fine.
Quindi dicevano “ante diem tertium Nonas Aprilis” (abbreviato “a.d. III N. Ap.”),per dire il 3° giorno dalle none di Aprile, vale a dire il nostro 5 aprile. Per fare un altro esempio, per indicare il giorno 15 Marzo, giorno in cui fu ucciso Giulio Cesare, dicevano Idibus Martiis.
Le Calendae, le Nonae, e le Idi altro non erano che un retaggio dell’antico calendario lunare di Romolo, quindi indicavano la luna nuova, il primo quarto e la luna piena. Mentre le calende erano sempre il primo giorno del mese, none e idi cadevano in giorni variabili a seconda del mese: per gennaio, febbraio, aprile, giugno, agosto, settembre, novembre e dicembre, le none erano il giorno 5 e le idi il 13; per marzo, maggio, luglio e ottobre, le none erano il 7 e le idi il 15.
Era un sistema un po’ macchinoso, che, probabilmente per la volontà di semplificare il computo dei giorni ha lasciato spazio ai nostri numeri.
Le settimane
I già ricordati Fasti Anziati riportano, accanto a ciascun giorno del mese, una lettera che va dalla A alla H e poi ricomincia da capo. E’ il cosiddetto sistema nundinale, un ciclo di nove giorni (Novem dies) che corrispondeva alla nostra settimana. In realtà erano otto giorni, perché i romani contavano anche la data finale.
Era un ciclo particolarmente importante, in quanto scandiva la vita quotidiana dei romani e soprattutto i giorni in cui si tenevano i mercati settimanali e le fiere periodiche, ma anche dei giorni appositi per espletare funzioni pubbliche e giuridiche.
Con la riforma di Giulio Cesare e l’avvento dell’impero si eliminò questo sistema, forse perché piuttosto complicato, a favore della nostra settimana, dando ai giorni i nomi dei pianeti che allora si credeva ruotassero attorno alla terra:
- Solis dies (giorno del Sole)
- Lunae dies (giorno della Luna)
- Martis dies (giorno di Marte)
- Mercurii dies (giorno di Mercurio)
- Iovis dies (giorno di Giove)
- Veneris dies (giorno di Venere)
- Saturni dies (giorno di Saturno)
Con Costantino e l’avvento del Cristianesimo come religione ufficiale dell’impero, si volle estirpare questi nomi pagani a favore di nomi più consoni, quindi il giorno del Sole divenne il giorno del Signore (Dies Dominica), poi si passava alla Feria Secunda, la Feria Tertia, Feria Quarta, Feria Sexta fino al Sabbatum, il giorno sacro secondo l’ebraismo(si ricordi che Gesù e i primi discepoli erano ebrei).
Col tempo alcuni nomi “pagani” sono rimasti, segno che la riforma di Costantino non aveva poi così tanta presa per il popolo, dunque abbiamo Lunedì, Martedì … ma anche Domenica e Sabato.
Questo, naturalmente, in Italia e nelle lingue neolatine, mentre ad esempio nel mondo anglosassone “domenica” si dice ancora Sunday mentre in tedesco è Sonntag (giorno del sole).
I mesi
I nomi dei mesi romani avevano diverse radici, a volte sacrali a volte molto profane.
Ianuarius (Gennaio) era dedicato al dio Giano, che proteggeva la fine ma soprattutto gli inizi delle cose, e, quindi, aveva un significato benaugurante.
Februarius (Febbraio)invece era sacro al dio Februus, dio della purificazione di origine etrusca, e quindi vi erano importanti cerimonie in tal senso.
Martius (Marzo)era sacro al dio della guerra Marte ed era, come detto, il periodo in cui si riprendevano le guerre, oltre alle normali attività agricole e pastorali.
Secondo gli antichi (Varrone, Ovidio), Aprilis (Aprilis) era così chiamato perché la natura si apre alla primavera, quindi è il periodo in cui sbocciano i fiori. Studiosi moderni lo collegano anche alla dea Apro, il nome etrusco della dea Afrodite, ad indicare la stagione degli amori e della fecondità.
Il nome Maius (Maggio) era collegato alla dea Maia, protettrice della fertilità della terra.
Anche Iunius (Giugno) era dedicato a una dea, la dea Giunone, protettrice della maternità (in questo caso del bestiame.
Iulius (Luglio) abbiamo visto che era dedicato a Giulio Cesare che era nato in questo periodo, ma il suo antico nome era Quinctilis, il quinto mese dell’anno.
Parimenti, Augustus (Agosto) era dedicato ad Augusto, che lo considerava un periodo molto favorevole alla sua carriera politica, ma era anche il periodo in cui ricorreva l’anniversario della sua morte.
I restanti mesi di September (Settembre),October (Ottobre), November (Novembre) e December (Dicembre) si chiamano così, come è facile dedurre, dai numerali corrispondenti al settimo, ottavo, nono e decimo mese dell’antico calendario di Romolo che ricordiamo aveva soltanto dieci mesi.
Gli anni
Anche il conteggio degli anni risultava un po’ macchinoso. In età repubblicana si individuava l’anno con il nome dei consoli in carica, ma era una notevole prova di memoria per i cittadini che non sempre potevano ricordarsi i nomi delle due più alte cariche dello stato, specie se non erano personaggi in vista come Cesare, Pompeo o Cicerone.
Nella tarda repubblica si cominciò pertanto a indicare il passare degli anni con la sigla AVC che sta per AB VURBE CONDITA, ovvero dalla fondazione di Roma, avvenuta nel 753 a. C.
Verso la fine dell’Impero Diocleziano, con evidente megalomania, cominciò a contare gli anni AD, vale a dire Anno Diocletiani, dalla sua salita al trono, mentre con l’avvento del Cristianesimo si cominciò a scrivere AD, ma per Anno Domini, cioè l’anno dalla nascita di Gesù Cristo, che tuttavia fu calcolata, con molte imprecisioni, soltanto nel VII secolo da Dionigi il Piccolo.
Il calendario romano, pur se modificato nei secoli, è ancora valido ed è diventato il nostro.
E’ ancora il più usato al mondo, segno della sua efficacia e della sua precisione e anche della sua semplicità.
Dalla riforma di Giulio Cesare, passando per una piccola correzione nel XVI, si conserva pressoché immutato da più di duemila anni. Molti hanno provato a modificarlo, molte altre culture lo affiancano al loro sistema di contare i giorni, senza per questo eliminarlo del tutto, perché ormai è diventato universale.
E’ uno dei lasciti del mondo romano.
Forse quello che, essendo parte integrante della nostra quotidianità, passa più inosservato.