Tunisia. Il baluardo della primavera araba in pericolo

La crisi politica in Tunisia è entrata nel suo vivo dopo che il presidente Kais Saied ha dimesso il primo ministro e sospeso il parlamento, la prova più importante per le istituzioni del Paese dalla sua transizione alla democrazia dieci anni fa.

Gli oppositori di Saied hanno condannato la decisione, che il presidente ha definito costituzionale, come un tentativo di colpo di stato.

Saied ha adottato diverse misure di emergenza, incluso il divieto di circolazione di persone e veicoli dalle 19:00 alle 6:00 per un mese. Sono esentati i “casi sanitari urgenti” e i lavoratori notturni. Ai tunisini sarà inoltre vietato spostarsi tra le città durante il giorno, tranne che per soddisfare i bisogni essenziali. Sono vietati gli assembramenti di più di tre persone negli spazi pubblici.

Le truppe avevano circondato il parlamento e il palazzo del governo tunisini. Fuori dal parlamento, al suo presidente, Rachid Ghannouchi, è stato impedito di entrare nell’edificio. Ghannouchi, che appartiene al partito islamista moderato Ennahda, è tra coloro che descrivono la mossa del presidente come una presa di potere.

I manifestanti – alcuni a favore di Saied e altri che si sono opposti alle sue misure – sono passati dal gridare insulti e minacce al lancio di pietre e a scagliarsi bottiglie d’acqua l’uno contro l’altro. Le forze di sicurezza hanno anche preso d’assalto gli uffici della rete di notizie Al Jazeera nella capitale, suscitando timori di un giro di vite sulla stampa.

Saied ha anche annunciato che i ministri della Giustizia e della Difesa sarebbero stati sostituiti.

Ghannouchi ha twittato che Ennahda sta ora chiedendo ulteriori consultazioni e sollecitando Saied a ritirare la sospensione del parlamento. Ennahda ha anche rilasciato una dichiarazione invitando i sostenitori a evitare di radunarsi fuori dal parlamento per protestare, nonostante le precedenti chiamate a manifestare contro la decisione di Saied.

Gli analisti hanno espresso preoccupazione per il fatto che la decisione del presidente e gli eventi che ne sono seguiti rivelino la fragilità di fondo del sistema democratico tunisino.

È in Tunisia che la Primavera araba è iniziata nel dicembre 2010, quando un venditore ambulante si diede fuoco in segno di protesta. Il mese successivo, massicce proteste di piazza costrinsero il presidente tunisino, Zine el-Abidine Ben Ali, a dimettersi. Fuggì in Arabia Saudita, dove morì in seguito.

Le proteste contro altri leader autocratici si diffusero presto in gran parte del Medio Oriente, ma la Tunisia emerse come l’unica democrazia di quel periodo. Tuttavia, persistono problemi importanti, compresa la disoccupazione massiccia. Più di recente, una grave recessione economica e un’impennata dei casi di coronavirus hanno alimentato una diffusa frustrazione nella nazione.

“Dimostra che finché la tua democrazia non è completamente installata, allora c’è sempre un rischio”, ha detto Amine Ghali, direttrice del Centro di transizione alla democrazia di Kawakibi in Tunisia.

Le tensioni sono state esacerbate dal fatto che la Tunisia non ha una corte costituzionale, un’istituzione che in genere deciderebbe se la mossa di Saied possa essere considerata legale ai sensi dell’articolo 80 della costituzione.

Ai sensi di tale articolo, il presidente ha il diritto di adottare determinate misure se il paese “è in uno stato di pericolo imminente che minaccia l’integrità del paese e la sicurezza e l’indipendenza del paese”, purché si sia consultato con il primo ministro e il presidente del parlamento.

Ghali ha affermato che l’interpretazione di Saied della “minaccia imminente” viene ora percepita come “un po’ sovra-interpretata”.

“In assenza di questa istituzione, il presidente si trova l’unico interprete della costituzione e, come vediamo, ora si sta ritorcendo contro tutti questi partiti che si sono rifiutati di fondarla per cinque o sei anni”.

Secondo il segretario della Casa Bianca Jen Psaki l’amministrazione Biden è “preoccupata per gli sviluppi in Tunisia”. Ha aggiunto che alti funzionari della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato sono in contatto con i leader tunisini per “apprendere di più sulla situazione, sollecitare la calma e sostenere gli sforzi tunisini per andare avanti in linea con i principi democratici”.

L’UGTT, il potente sindacato tunisino, ha tenuto una riunione d’emergenza del suo comitato esecutivo e ha rilasciato una dichiarazione che sembrava sostenere le mosse di Saied mentre chiedeva “garanzie costituzionali” per salvaguardare la democrazia tunisina.

Le “misure eccezionali” adottate da Saied dovrebbero rimanere limitate nel tempo e di portata ristretta, ha affermato il sindacato, in modo che le istituzioni governative possano tornare presto a funzionare normalmente. Il sindacato ha anche sottolineato la necessità di rispettare i diritti umani e di perseguire il cambiamento politico “nel quadro di una chiara road map partecipativa che delinei obiettivi, mezzi e tempistiche, rassicuri le persone e dissipi le paure”.