Boris Johnson, la battaglia politica non è finita

Nonostante abbia mantenuto la sua posizione dopo un voto di sfiducia in Parlamento, il primo ministro britannico deve ora resistere ad elezioni parlamentari suppletive che si terranno questo mese e, potenzialmente, anche a una divisione interna del suo partito.

La Gran Bretagna ha affrontato un panorama politico molto complesso e delicato, anche se il primo ministro è riuscito a rimanere in carica. La vittoria poco convincente di Boris Johnson in un voto di sfiducia del suo stesso partito lo lascia gravemente danneggiato, con poche possibilità per far risorgere le sue fortune e molte opportunità per i golpisti.

La posizione politica di Johnson potrebbe ulteriormente vacillare. Alcuni deputati del suo partito conservatore potrebbero chiedersi se la situazione sia ancora gestibile o ormai sia arrivata ad un punto di svolta.

Gli analisti politici hanno affermato che è stato un tentativo di “colpo di stato” mal gestito da parte di movimento organico di deputati conservatori, frustrati dopo mesi di rivelazioni su incontri sociali illeciti al 10 di Downing Street in un momento in cui il resto del paese stava patendo i blocchi pandemici.

Tra i più contrari c’è William Hague, un ex leader del Partito conservatore che è ha detto senza mezzi termini al primo ministro di dimettersi.

Sono stati espressi voti che mostrano un livello di rifiuto mai visto rispetto a qualsiasi leader Tory abbia mai sopportato“, ha scritto Hague sul Times di Londra. “Nel profondo, dovrebbe riconoscerlo e rivolgere la sua mente a uscire in un modo che risparmi al partito e al paese tali agonie e incertezze“.

Niente però suggerisce che Johnson abbia intenzione di dimettersi. Ad una riunione di gabinetto ha affermato che era giunto il momento di mettere da parte le divisioni interne sul suo status e “continuare a parlare delle questioni di cui le persone in questo paese vogliano parlare“.

Il governo potrebbe anche varare una legislazione per rivedere le regole commerciali post-Brexit che regolano l’Irlanda del Nord. Ciò potrebbe compiacere gli hard-core Brexiteers del partito, alcuni dei quali hanno votato contro Johnson. Ma sarebbe inimicarsi l’Unione Europea in un momento in cui la Gran Bretagna non può permettersi ulteriori disordini.

La prova più grande che Johnson deve affrontare è come approvare una legge difficile quando oltre il 40% dei suoi legislatori ha votato per estrometterlo. Dover fare affidamento sul partito laburista di opposizione per mettere in atto proposte politiche sarebbe un percorso imbarazzante per un primo ministro noto per la sua spavalderia.

Con l’aumento dei prezzi di cibo e carburante, il governo deve affrontare decisioni difficili su tasse e spesa pubblica. Come li affronterà con un partito diviso è tutt’altro che chiaro.

In teoria, la vittoria di Boris Johnson nel voto di sfiducia significa che non potrà affrontare un’altra mozione di sfiducia per un anno, assicurandosi la sua posizione a Downing Street. In realtà, la sua posizione è diversa.

I primi ministri così indeboliti sono vulnerabili ai complotti e la loro autorità può essere ulteriormente minata dalle ribellioni tra i deputati in Parlamento che rendono impossibile far passare leggi chiave.

Le dimissioni dei ministri, in particolare quelli di alto livello, possono causare seri danni ai leader, soprattutto se orchestrate. Il gabinetto Johnson è composto in gran parte dai suoi sostenitori, il che rende questo meno probabile, ma non impossibile.

La regola che non si può ripetere una mozione di sfiducia per un anno potrebbe essere modificata anche dall’alta gerarchia del Partito conservatore in Parlamento.

Questo è stato il caso del precedente primo ministro, Theresa May, che è sopravvissuta a un voto di sfiducia nel dicembre 2018 ma ha annunciato le sue dimissioni dopo sei mesi date le incessanti pressioni.

Quindi, se un numero sufficiente di deputati conservatori conclude che vogliono le dimissioni di Johnson, ci sono ancora modi per costringerlo a ritirarsi.