Sperimentazioni del potere tra Monarchia e Repubblica romana

Di Giovanni De Santis

Il passaggio dalla monarchia alla repubblica segna una profondissima svolta nel mondo romano. Le fonti annalistiche, segnalano la cacciata dei Tarquini, e l’imminente istallazione del regime consolare, attorno alla leggendaria figura di Bruto, di Tarquinio Collatino e della malcapitata Lucrezia.

La moderna ricerca storiografica si è da sempre interrogata sulla metodologia di questo transito istituzionale, domandandosi se non potesse esistere un passaggio mediano, che dalla monarchia conducesse alla collegialità perfetta e uguale dei consoli, come si evince dalla tradizione annalistica.

A ben analizzare la stessa tradizione romana, presumibilmente formatasi tra IV e III secolo, non mancano riferimenti particolari ai tempi antichi e a qualche anomalia; già la stessa regalità di Servio Tullio, la cui legittimità a ben leggere Livio, non è mai piena, può essere un sensibile indizio di certe esperienze che cominciano a discostarsi da quella monarchica.

Avremmo altresì ulteriori conferme laddove, sempre in Livio, leggeremo che i consoli vennero creati “EX COMMENTARIIS SERVII TULLII”; oppure quando in Accio si riferisce a quel Tullio “QUI LIBERTATEM CIVIBUS STABILIVERAT”.

Dunque una regalità strana, quella di Servio, non dissimile dal Porsenna inteso REX dai romani, ma con ovvia probabilità, una nuova figura istituzionale con carica vitalizia, figlia di tempi nuovi e nuove esigenze. Ciò permetterebbe altresì, di estendere alla totalità delle realtà tusco laziali, ma anche umbre e osche, un nucleo di esperienze di trapasso istituzionale, piuttosto simili, seppur a loro modo differenziate a seconda delle singole vicissitudine delle diverse città nel corso del VI secolo.

Una KOINE’ culturale comune che conosce esperienze similari, che ha un dinamica portante che è l’elemento greco, già diffusore della scrittura e conseguente, o contemporaneo, diffondente un dato razionalismo, da cui il mondo laziale e etrusco matura nuove esigenze.

Come circoscrivere il transito dalla monarchia alla repubblica nei centri tusco laziali?

L’esperienza costituzionale romana poneva un istituto mediano, che la moderna ricerca poteva ergere a esperienza particolare, dal cui sviluppo si potesse addivenire nel tempo al perfetto bilanciamento del potere consolare: la dittatura.

Seppur mutuata da quella latina che era magistratura ordinaria, mentre a Roma si imponeva come straordinaria, la dittatura parve fin da subito una collegialità diseguale (il dittatore nomina un suo ausiliario, il magister equitum dotato di imperium ma di un imperium minus) che in progressivo sviluppo, potesse evolvere in una collegialità uguale, dunque nella PAR POTESTAS dei consoli.

Già dunque nel 1847 Ihne formulava il transito da monarchia a repubblica attraverso una collegialità magistratuale diseguale, quale la dittatura, connessa con la latina. Una teoresi evoluzionistica che attraverserà decenni e verrà ripresa dal Beloch nel 1926, con la laconica affermazione “L’evoluzione costituzionale non fa salti”.

Tale tesi venne ribattuta dal Mommsen, secondo cui andava invece accentuato il carattere rivoluzionario e creativo della collegialità consolare in Roma. Il grande maestro ribaltava totalmente in concetto evoluzionistico, proponendo di fatto quello rivoluzionario.

Servio Tullio e gli Opliti

Il VI secolo la realtà etrusco laziale, e in genere medio italica, a fronte di mutate esigenze di matrice militare e sociale, sovverte l’ordine monarchico dando avvio a forme primigenie repubblicane, in nome di una koinè culturale omogenea, aperta a sperimentazioni coerenti, ma allo stesso tempo diversificate.

Nel Lazio vengono ad imporsi figure quali il DICTATOR in coerenza con la gestione confederale della lega latina, con più spiccate valenze sacrali e il PRAETOR con più spiccate valenze militari. Già Cicerone asseriva, nei libri augurali il DICTATOR venisse chiamato MAGISTER POPULI, ponendo importanti delucidazioni di come quella dittatura straordinaria di matrice romana, così come la tradizione la tramanda, sia da correlare direttamente a quella confederale latina, che avrà pur sempre prodotto, magistrature identiche nelle altre città confederate.

La moderna ricerca sembra ormai aver riconosciuto come autentici i nomi dei diversi REGES romani, la cui storicità non è in dubbio. Soprattutto gli ultimi re e lo stesso Servio Tullio. E’ altresì confermata la presenza del trattato che lo stesso Servio, stipula con i latini, conservato nel tempio di Diana sull’Aventino, nel quale Roma e il suo stesso rappresentante, si pongono a capo della lega stessa.

La tradizione pone Servio Tullio, come profondo innovatore democratico a Roma o addirittura come il propugnatore di un regime repubblicano: per Livio i consoli vennero creati EX COMMENTARIIS SERVII TULLII. Detto ciò, avremmo agio di cedere alla grande autorità di un’altra grande fonte antica, quale l’imperatore Claudio e in accordo con questo dotto principe, corroborare la sua visione di Servio MACSTARNA, con i bellissimi affreschi della Tomba Francois a Vulci.

MACSTARNA indica il sostantivo MACSTREV termine che rende il latino MAGISTER, penerato ampiamente in Etruria in ambiente di KOINE’ culturale aperta e precoce, ed evidente in un’epigrafe da Tuscanica dove MACSTREV EPRUTHNE, indica la suprema autorità politica. Certo MAGISTER è termine che ben è ascrivibile ad una matrice sacra e legata a collegi sacerdotali anche antichi come gli arvali, salii o luperci, si ammanta però di suprema autorità politica in un determinato momento storico di VI, il momento della rivoluzione oplitica: il MAGISTER POPULI.

Relazionare il Magister populi con la figura del Dictator

Questo pone come punto di partenza la lega latina. La dittatura latina veniva distinta dalla romana secondo l’assunto che, una fosse ordinaria, mentre l’altra, straordinaria. Il MAGISTER POPULI, poniamo il supremo funzionario romano, proprio perché diviene capo della lega latina assumerebbe il titolo di DICTATOR. Ora potremmo verosimilmente considerare la magistratura federale latina, la dittatura, come una magistratura straordinaria, dunque limitata a sei mesi, cioè nel periodo tra primavera ed estate (Santo Mazzarino 1945).

Saremmo orientati così a supporre, che in origine non possiamo considerare la dittatura romana come un istituto straordinario. Il supremo magistrato romano assumendo la dittatura confederale latina, diventa DICTATOR proprio perché, Roma al tempo era retta da un magistrato unico, altrimenti avremmo dittatori o pretori come nel caso della lega latina del 381 (cfr. Momigliano 1931, sebbene pare erroneo il suo ragionamento ascrivente la dittatura romana dopo il FOEDUS di Spurio Cassio, perché allora pare sovente fosse PRAETOR il capo della lega latina; per altra via De Sanctis).

Sappiamo che in epoca storica quando ormai nel regime consolare, entrambi i consoli sono a capo entrambi della fanteria, quando si farà ricorso, straordinariamente al DICTATOR, egli nomina un MAGISTER EQUITUM a lui subordinato con un IMPERIUM minore al suo, che con ovvia probabilità rimanda ad un fossile di epoca precedente, dove vi era una netta distinzione tra fanteria e cavalleria.

Dunque a Roma il MAGISTER POPULI diviene DICTATOR perché a capo della lega latina. Non a caso Servio Tullio, il MAGISTER POPULI, conferma l’autorità romana sulla lega latina, testé il trattato nel tempio di Diana sull’Aventino.

Già nel nome il MAGISTER POPULI mostra una specifica attinenza ad un concetto piuttosto complesso di POPULUS, inteso principalmente nella sua essenza militare, di fatto oplitica. Pur volendo svincolare Servio da MACSTARNA risulta quanto mai evidente che il VI secolo propone a Roma il transito dai re al MAGISTER POPULI.

E come evidente in Porsenna, definito REX o dalla stessa strana regalità serviana, il transito istituzionale non è determinato da una necessità di una magistratura annuale, o da una vitalizia, ma da ragioni essenzialmente militari. In fondo il VII secolo aveva visto nel mondo greco, la grande rivoluzione oplitica, destinata a diffondersi e perpetuarsi anche altrove, per iterazione culturale.

Il nuovo esercito

Questo nuovo esercito richiedeva un MAGISTER o un PRAETOR, uno ZILATH PURTH, piuttosto che un REX o un LUCUMONE, perché rivoluzione oplitica significa modificazioni politiche e sociali non indifferenti. Da sempre la cavalleria era un’arma patrizia. I patrizi militavano tra i cavalieri organizzati in TURMAE, recanti i nomi delle tre antiche tribù. Nell’ordinamento centuriato che pure è oplitico, le 6 centurie di EQUITES recano gli antichi nomi delle tre tribù, distinti solo in prerogativa e posteriori, dal che dovremmo dedurre che nel VI secolo le CURIAE siano ancora composte esclusivamente di patrizi? Probabilmente si, o almeno inizialmente, tuttavia il tema è spinoso e fonte di discussione.

Nel nuovo sistema oplitico però gli opliti, il nerbo del nuovo esercito, andavano reclutati tra le classi inferiori, ma che fossero tuttavia economicamente capaci di procurarsi la grave armatura; dunque plebei abbienti. Questi plebei economicamente abili all’armamento, gli opliti, erano il nuovo POPULUS, la più grande scoperta dell’ordinamento oplitico; costoro avevano il loro MAGISTER, così come la cavalleria aveva il proprio.

Questo nuovo concetto di popolo di VI secolo appare inconciliabile con il vecchio REX espressione di una arcaica società patriarcale; e proprio allora quella figura, rimase sempre più vincolata a questioni sacrali e vennero i due magistrati, con la preminenza del MAGISTER POPULI vista la maggiore incidenza della fanteria. I CLASSICI del primo ordinamento centuriato, imposero il proprio MAGISTER. Ciò non toglie che questa rivoluzione oplitica, corroborata da mutamenti istituzionali, non abbia subito ondeggiamenti, anche contanti ripristini di autorità regia (cfr. Tarquinio il Superbo), ma ormai essa era del tutto decollata e destinata ad imporsi, anzi, troverà nuova sistemazione con i due consoli.

Forse il divieto antico, secondo cui il DICTATOR non poteva montare a cavallo, più che rimandare a precetti religiosi, potremmo intenderlo come la circostanza che i PATRES volessero che questo capo del POPULUS si differenziasse dal loro. Ora dovremmo chiederci quali tracce desumere dalla storia romana, del transito dal MAGISTER POPULI ai consoli. Beloch (1926), fautore di una teoria evoluzionistica, riteneva che nei FASTI consolari i primi 21 anni dal 506 al 486, andavano totalmente rivisitati perché fortemente interpolati dalla tradizione successiva; sosteneva che in queste prime coppie consolari andassero depennati, la bellezza di 12 nomi che in prima istanza sembrassero plebei, perché Roma in quegli anni era sottoposta all’autorità dittatoriale.

Beloch poi per il lasso temperale tra 485 e 452, riconosceva più o meno autentiche le coppie consolari asserendo però i due eponimi, fossero da ricondurre al dittatore e ad suo maestro della cavalleria. Ora sarebbe da chiedersi perché mai i fasti la cui adesione al reale pare più o meno certa, debbano essere così divisi dalla rivisitazione del Beloch. Sosterremmo che i fasti mantengano una certa autenticità e che dalla collegialità diseguale si sia in breve passati alla PAR POTESTA consolare. Già la tradizione liviana per 501 e di Dionigi per il 498, menzionano il primo DICTATOR, nella figura di TITO LARCIO che scelse come MAGISTER EQUITUM, Spurio Cassio. Ora se la tradizione avesse voluto interpolare i fasti consolari, perché mai avrebbe scelto come primo dittatore, l’oscuro Tito Larcio?

La dittatura diventa una magistratura

La dittatura diventa una magistratura straordinaria, come sarà nella costituzione romana repubblicana, prima del FOEDUS CASSIANUM, mentre una collegialità diseguale tra DICTATOR o MAGISTER POULI e MAGISTER EQUITUM si sarebbe avuta tra MACSTRANA e PORSENNA, tra 550 e 520. Al V secolo la collegialità romana si equipara a quella veliterna del fregio che abbiamo visto nella prima parte; una collegialità uguale, sebbene ingenua, dalla quale desumere il termine CONSUL venisse ad imporsi piuttosto presto, sebbene dopo l’avvento della collegialità PAR POTESTAS. Ancora l’AUGURIUM SALUTIS (Festo 152) menzionava PRAETORES MAIORES e PRAETORES MONIRES, che è formula piuttosto arcaica, nel termine PRAETORES già implica una specifica collegialità. Quanto alla LEX VETUSTA, UT QUI PRAETOR MAXIMUS SIT, IDIBUS SEPTEMBRIBUS CLAVUM PANGAT (Livo VII 3, 5,9), essa implica l’esistenza di un solo PRAETOR MAXIMUS, da ciò ne dedurremmo che venisse concepita, prima della collegialità dei PRAETORE MAIORES, non a caso sembrerebbe naturale venisse a rimontare, all’atto della stessa dedica del tempio di Giove Capitolino (508-507), forse non tanto per segnare gli anni, quanto per fine propiziatorio. Sulla base di questi dati, potremmo supporre una collegialità uguale tra PRAETORES venisse ad imporsi tra 508-507 e 500, quando cioè essendovi menzione del dittatore Tito Larcio, la stessa dittatura compare come istituto straordinario.

L’ordinamento centuriato ha principalmente ragioni militari. I comizi centuriati si tengono fuori dal pomerio, come si evince da uno stendardo rosso alzato sul Campidoglio ed un altro sul Gianicolo. Ad una fase primitiva tesa a distinguere CLASSICI (opliti in origine della sola prima classe) da INFRA CLASSEM, si passò ai diversi scaglioni delle diverse classi di censo.

L’epoca Serviana

Questo avvio si deve all’epoca serviana e ciò sembra particolarmente coerente all’ambiente italico. Già l’uovo di Vulci, pone un esercito oplitico e Vulci è centro particolarmente aperto alle ondate culturali elleniche; ma in tutto l’ambiente italico si diffonde l’ordine oplitico. Una certa tendenza comune di contare gli uomini in centurie, ovvero per 100, potrebbe cogliersi dall’osco KEENZSTUR, che non è sostantivo derivato dal latino CENSOR, ma dall’osco CENSAUM dunque non dal latino CENSERE.

Avremmo così il sostantivo osco di un magistrato che conta gli uomini per centurie nel transito tra VI e V secolo ben prima dell’istituzione a Roma della censura nel 443. Studi del FRACCARO del 1938, mostravano che gli JUNIORES delle 5 classi serviane formavano in origine, un’unica legione di 6000 uomini in 60 centurie, eppure in un dato momento questa unica LEGIO si sdoppia, divenendo di fatto due LEGIONI di 3000 uomini, raddoppiando però, i quadri.

Questa tesi pone problemi particolari, soprattutto perché in origine contava dei soli CLASSICI della prima classe e quindi il numero di 6000 pare eccessivo; tuttavia potremmo supporre che lo sdoppiamento effettivo avvenisse, nel 366 con le LICINIE SESTIE, momento nel quale la collegialità consolare conosce uno sviluppo piuttosto pieno e che ARANGIO RUIZ in Storia del diritto romano 1942, ebbe a definire momento costitutivo della duplice magistratura suprema.

I comizi centuriati erano l’espressione dell’EXERCITUS IMPERATUS, ovvero apparecchiato alla guerra. A questo punto l’autorità e potestà si manifesta come effettivo IMPERIUM. Il capo dello stato è colui che apparecchia l’esercito, dunque l’IMPERATOR. IMPERATOR e EXERCITUS IMPERATUS, all’inizio espletano un concetto originario di IMPERIUM MILITIAE, che in breve volgere di tempo forgia l’IMPERIUM DOMI, senza il quale il concetto di PROVOCATIO sarebbe inconcepibile (Santo Mazzarino 1945).

Germoglia così dalla rivoluzione oplitica, un istituto tremendamente rappresentativo, che palesa l’accesso del POPULUS nella cosa pubblica. Tra 506 e 486 ben 12 nomi tra i fasti consolari paiono plebei. Tra 485 e 452, invece solo 6. Potremmo arguire, a fronte di una iniziale minore intransigenza del patriziato verso i plebei più ricchi, dovette poi verificarsi una data “serrata del patriziato”, ancorata al concetto di AUSPICIA (Mazzarino 1945). Gli anni della condanna di Spurio Cassio, e della reazione del patriziato alla rivoluzione oplitica potranno configurarsi con l’emancipazione della gens FABIA e di quel paradigma negativo, della guerra gentilizia contro Veio che portò alla sconfitta del Cremera?