Le monete nell’antica Roma. Storia ed evoluzione

L’adozione della valuta romana fu un fenomeno abbastanza tardo. Già le grandi città della Magna Grecia, una regione dell’Italia meridionale, e molte altre città italiche, avevano una lunga tradizione nell’utilizzo delle monete romane e producevano già grandi quantità di queste monete nel IV secolo avanti Cristo, per pagare le truppe che spesso invadevano il loro territorio.

I romani vennero certamente a conoscenza di sistemi di conio in questo periodo, ma passò diverso tempo prima che il governo Romano introducesse effettivamente delle monete romane.

Gli albori delle monete romane

Inizialmente le monete romane ebbero infatti un utilizzo molto limitato. Gli albori della monetazione romana sono infatti costituiti da un lingotto di bronzo chiamato “Aes Signatum” che misurava 160 x 90 mm e pesava circa mezzo chilo, essendo realizzato con un bronzo di stagno dalla elevata percentuale di piombo.

Si trattava di lingotti che costituivano una vera e propria “valuta metallica” prodotti in Italia e nelle aree etrusche settentrionali, di difficile utilizzo. Assieme ai lingotti, lo Stato Romano metteva anche una serie di monete in bronzo e argento che imitavano quelle greche.

Il principale polo di fabbricazione allora utilizzato era certamente la zecca della città di Napoli, come testimoniano alcuni disegni sulle prime monete circolanti nel periodo.

La monetazione romana repubblicana

Durante il periodo repubblicano la monetazione Romana conobbe una importante evoluzione. Una definitiva spinta alla produzione di monete fu costituita dall’espansione dei romani nell’Italia centrale, con il conseguente aumento dei bottini di guerra e soprattutto l’accesso sempre più facile a metalli preziosi come oro e argento.

La vera svolta avvenne conseguentemente alle vittoria delle guerre puniche, quando fece il suo ingresso l'”Aureus” una moneta d’oro, ma anche il “Denario” d’argento che fu garantito dopo le conquiste delle imponenti miniere d’argento della Macedonia nel 167 avanti Cristo. Fu così che il Denario d’argento divenne la nuova unità di misura base della monetazione romana, sulla quale si modellò il resto della monetazione antica.

I disegni presenti sulle monete del periodo repubblicano illustrano solitamente scene mitiche o personificazioni degli Dei, secondo dei regolamenti piuttosto rigidi e standard.

Entro la fine della Repubblica, il sistema monetario romano si è evoluto verso un sistema di oro, argento e diverse leghe a base di rame. Roma aveva iniziato a emettere monete d’argento all’inizio del III secolo a.C. e lo standardizzò come una moneta del peso di 1/84, e poi 1/72 di una sterlina romana. 

Chiamato Denarius, il suo nome inizialmente significava che valeva 10 asini di bronzo, prima di essere rivalutato a 16 asini intorno al 140 a.C.

La riforma di Ottaviano Augusto e la monetazione nel periodo Imperiale

Il Princeps, Ottaviano Augusto, fu protagonista di una sterminata serie di riforme e fu sempre lui a ripensare le denominazioni delle monete, secondo un sistema che sarebbe durato per i successivi tre secoli.

Durante la riforma di Augusto le monete furono coniate in gran parte a Roma, anche se un’eccezione significativa fu rappresentata dalla zecca di Lugdunum, odierna Lione, che iniziò la produzione di monete d’oro e d’argento del 16 a.C e fu protagonista della creazione del nuovo conio almeno fino alla metà del I secolo d.C.

Altre zecche degne di nota, sebbene con una produzione più sporadica, furono Antiochia, Alessandria e Cesarea. La zona orientale dell’impero fu invece caratterizzata da varietà di monete locali che coesistevano insieme a quelle romane, in particolare monete di bronzo di basso valore per il piccolo commercio.

Le città avevano la possibilità di coniare delle piccole monete autonome, con forme e tagli minori,che venivano gestite dalle autorità locali, anche se in generale tutte le varietà di monete provinciali dovevano essere convertite in monete romane qualora necessario. Era altamente probabile che queste monete fossero confinate nella propria area geografica per garantire la più ampia circolazione delle monete ufficiali nell’Impero.

Le immagini sulle monete conobbero un’importante evoluzione quando Giulio Cesare emise un conio recante il suo ritratto. I produttori di monete, fino a quel momento, emettevano oggetti con ritratti di antenati, mentre quella di Cesare fu la prima moneta romana a rappresentare il ritratto di un individuo vivente. La tradizione continuò anche dopo l’assassinio di Cesare, sebbene gli imperatori continuarono a produrre monete raffiguranti divinità tradizionali.

L’obiettivo principale delle immagini durante l’Impero era quella di diffondere il potere dell’imperatore. Le monete rappresentavano un mezzo importante per comunicare la stabilità e la forza dell’impero e di chi lo guidava. Le monete spesso tentavano di associare la figura dell’imperatore a quella di un Dio, enfatizzando la relazione speciale tra l’imperatore e le divinità. Lo stesso Cesare, durante la campagna militare contro Pompeo, coniò delle monete che lo rappresentavano abbinato a Venere o Enea.

Significativo anche il caso dell’imperatore Commodo, che nel 192 d.C emise una serie di monete che raffiguravano il suo busto rivestito da una pelle di leone, per raffigurare Ercole. L’imperatore voleva infatti proclamarsi come l’incarnazione di questo Dio agli occhi del Popolo.

Notevole importanza era riservata anche al rovescio della moneta. Solitamente le immagini del periodo Imperiale, che avevano funzioni di propaganda, rappresentavano atti di liberazione, sottomissione e pacificazione di tribù e stati confinanti.

La svalutazione monetaria

Uno dei problemi principali della monetazione Romana imperiale e in generale del sistema finanziario di Roma, consisteva nella svalutazione della moneta. Circa l’80% del bilancio imperiale veniva coperto dalla tassazione e l’ammanco consistente nel 20% rappresentava solitamente un buco di bilancio che veniva coperto o aumentando la tassazione delle province più ricche o con un meccanismo di conio di nuove monete.

Da Nerone, a Commodo, da Settimio Severo a Caracalla, diverse monete auree e di argento, mantennero lo stesso valore nominale ma riducevano gradualmente il reale contenuto di metallo prezioso, in modo che con la stessa fornitura di metalli fosse possibile coniare una quantità maggiore di monete. I produttori di monete ricevevano l’istruzione di spalmare il materiale prezioso sulla superficie, per farlo apparire quanto più credibile possibile.

Ma la popolazione Romana riusciva abbastanza facilmente a riconoscere una moneta dal reale contenuto prezioso e i romani ignoravano la legge di Gresham che consiste nel motto: “Moneta buona scaccia moneta cattiva”. I cittadini tendevano a mantenere le monete che avevano un valore nominale uguale a quello prezioso e a sbarazzarsi il prima possibile delle monete spurie, il che provocò una polarizzazione della ricchezza, laddove i poveri utilizzavano prevalentemente il bronzo mentre gli aristocratici accumulavano immense quantità di monete dorate.

Questa condizione di debolezza del sistema monetario Romano conobbe addirittura, nel III secolo d.C, dei momenti di particolare crisi, quando la parte più povera della popolazione tornò addirittura al baratto, non avendo possibilità di accedere ad un quantitativo consistente di monete che avessero un minimo valore reale.

Un altro motivo di svalutazione era la mancanza di metallo grezzo con cui produrre monete. L’Italia stessa non ha miniere di metalli preziosi che dovevano essere puntualmente ottenuti altrove.

La maggior parte dei metalli preziosi che Roma ottenne durante il suo periodo di espansione arrivò sotto forma di bottino di guerra dai territori sconfitti, e successivi tributi e tasse da parte delle terre di nuova conquista. Quando Roma cessò di espandersi, i metalli preziosi per la coniazione provenivano dall’argento appena estratto, come dalla Grecia e dalla Spagna , e dalla fusione delle monete più antiche.

Per contenere il fenomeno, nel 301 d.C furono riformati dall’imperatore Diocleziano, i tassi di cambio tra le varie denominazioni, con 1  aureus  = 1.200 denarii; 1  argenteus  = 100 denarii; e 1  nummus = 25 denarii. Il denaro venne “resuscitato” come unità di conto, ma non come moneta. 

Le monete come fonte storica

Le monete romane offrono uno sguardo sul passato: spesso ritraggono immagini di edifici e monumenti che si trovavano, e talvolta sono ancora esistenti, nella città di Roma. Allo stesso modo, le monete realizzate per celebrazioni militari sono utilissime per effettuare confronti e datazioni.

Costituite da prove materiali, iconografiche e testuali, tutte fuse in un unico oggetto, le monete offrono ricche informazioni agli storici di tutti i periodi e in alcuni casi rappresentano indicazioni insostituibili per collegare i frammenti di informazioni che possediamo.

Le monete gettano una luce significativa sulla ricostituzione degli eventi storici, sulle questioni economiche e sociali, sugli scambi materiali, sulla circolazione dei beni e delle merci, sulla diffusione dell’ideologia e della religione, sulla storia politica di Roma, sui crescenti legami tra i centri di potere e il principale consumatore di valuta, l’esercito.