La Damnatio Memoriae era una condanna inflitta dal Senato dell’antica Roma nei confronti di nemici di stato e traditori, che prevedeva la completa cancellazione e rimozione di tutte le tracce dell’esistenza di una persona da archivi, registri, iscrizioni pubbliche, ritratti e monete. La Damnatio Memoriae venne inflitta, nel corso della storia romana, ad una serie di personaggi, tra cui Marco Antonio, Nerone, Geta e Massenzio.
Si trattava di una delle peggiori punizioni per un cittadino, dal momento che il popolo romano viveva per la realizzazione di opere che potessero essere ricordate dai posteri, e la condanna ad essere dimenticati dopo la morte rappresentava una delle paure più grandi dell’uomo romano.
La condanna alla Damnatio Memoriae
Gli uomini romani vivevano per realizzare delle gesta e delle opere che sarebbero state ricordate dalle generazioni successive. Si dice infatti che l’uomo romano vivesse “Ut nome suum posteritati traditus sit” ovvero per realizzare delle azioni “affinché il proprio nome fosse tramandato dai posteri “. L’uomo romano teneva quindi la morte, che veniva considerata come l’annientamento definitivo di una persona, ma soprattutto l’oblìo, come ci conferma anche Seneca (Epistulae Morales 77.5).
La pena veniva inflitta prevalentemente a due categorie di persone: i nemici dello Stato, gli “Hostes”, e i traditori, e in generale a tutte quelle persone che venivano considerate un nemico pubblico. La pena veniva inflitta esclusivamente dal Senato romano il quale, dopo un rapido processo e dopo una votazione a maggioranza, dichiarava dapprima l’imputato indegno, “indignus” di essere ricordato, e poi comminava ufficialmente la Damnatio Memoriae .
Nella gran parte dei casi, questa pena venne applicata dopo la morte, ma tecnicamente poteva anche essere inflitta anche durante la vita del cittadino.
La distruzione delle raffigurazioni del condannato alla Damnatio Memoriae
Il primo effetto di una Damnatio Memoriae era la completa cancellazione di tutto quello che poteva ricordare l’esistenza in vita del condannato. Si procedeva innanzitutto all’abbattimento delle statue, che erano lo strumento principale con cui si portava all’attenzione dei cittadini l’esistenza di un personaggio. Queste venivano sistematicamente demolite o in alternativa si rimuovevano degli elementi identificativi, come la testa o alcuni simboli sul corpo, per sostituirli con le sembianze di un’altro cittadino più meritevole.
Si provvedeva poi alla cancellazione del nome dai monumenti pubblici. Uno dei metodi principali per diffondere la fama di una persona era iscrivere il nome sul marmo in monumenti che fossero continuamente esposti al pubblico. Il nome per esteso, oppure le sue iniziali, venivano quindi cancellate o modificate con iscrizioni più generiche, per impedire ai cittadini di riconoscere il nome del condannato.
Uno dei più celebri casi di cancellazione di una iscrizione da un monumento pubblico è quella ai danni dell’imperatore Commodo su una stele di marmo oggi conservata nella città di Osterburken, in Germania.
Anche la cancellazione dei ritratti faceva parte della Damnatio Memoriae. I romani eseguivano dei ritratti con colori a tempera su tavole di legno, prevalentemente rotonde, soprattutto in onore di personaggi importanti o per l’imperatore in persona. Si trattava di un metodo utilizzato per diffondere la conoscenza del personaggio, ma vi era anche un motivo legale: documenti firmati da funzionari di fronte all’immagine dell’imperatore avevano valore come se l’imperatore fosse stato presente nella stanza.
Sotto questo aspetto, uno dei ritrovamenti più significativi è certamente Il “Tondo severiano“, il solo dipinto a tempera su supporto di legno che sia arrivato fino a noi: viene ritratta la famiglia dell’imperatore Settimio Severo, con sua moglie Giulia Domna e i figli Geta e Caracalla. Nel tondo si vede con estrema chiarezza l’apposita cancellazione del volto di Geta, a seguito del suo omicidio da parte del fratello Caracalla e della relativa Damnatio Memoriae che quest’ultimo gli aveva inflitto per eliminare la memoria del suo fratello e rivale.
Occasionalmente, si procedeva anche alla cancellazione del nome delle monete. Le monete erano uno straordinario strumento di diffusione del volto degli Imperatori e delle vittorie militari. In una mostra del 2017 tenutasi presso il British Museum intitolata “Defeating the Past “, sono stati mostrati al pubblico esempi celebri di cancellazione delle effigi da monete per via di una Damnatio Memoriae.
Questa pratica era comunque abbastanza limitata, in quanto le persone temevano che la cancellazione dell’immagine impressa su una moneta potesse ridurre il valore dell’oggetto.
La cancellazione del prenome dai registri
La Damnatio Memoriae andava anche a colpire gli aspetti più intimi e personali del condannato.
Un effetto della Damnatio Memoriae era infatti la cancellazione del Praenomen. I nomi romani erano organizzati in tre parti (Tria Nomina): Il “Pranomen”, quello dato dalla famiglia e con cui si era chiamati fin da bambini, Il “Nomen”, che rappresentava più generalmente la propria Gens di appartenenza, e il “Cognomen”, che spesso si attribuiva in base ad una caratteristica fisica o ad una azione compiuta.
La Damnatio Memoriae prevedeva l’impossibilità di tramandare ai posteri il prenome, facendo in modo che l’appellativo più personale del condannato non potesse più trasmettersi durante le generazioni successive.
Inoltre, dal momento che la propria abitazione, la Domus, veniva considerata come un’estensione della personalità di chi ci abitava, la Damnatio Memoriae prevedeva anche la distruzione della casa del condannato, l’abbattimento delle stanze dove aveva vissuto e l’impossibilità di ricostruirvi alcunchè, come osserva il saggio di Bettina Bergman “La casa romana, Teatro della memoria”, 1994.
La cancellazione e l’annullamento degli atti
Chi subiva la Damnatio Memoriae era quasi sicuramente un personaggio importante, che aveva avuto una determinata influenza a livello pubblico. La Damnatio Memoriae, che poteva essere inflitta anche durante la vita del condannato, prevedeva anche la cosiddetta “Rescissio actorum”, ovvero la cancellazione e l’annullamento di tutti i provvedimenti che erano stati decisi dal condannato durante una o più cariche ricoperte.
Questo aspetto decretava sostanzialmente la morte civile del condannato, e tutti i provvedimenti presi da quest’ultimo smettevano di avere valore e dovevano eventualmente essere riconfermati da un altro magistrato.
Personaggi famosi condannati a Damnatio Memoriae
Nel corso della storia romana furono decine i personaggi condannati alla Damnatio Memoriae.
Il primo fu Marco Antonio, che durante la propaganda del vincitore Ottaviano Augusto doveva essere necessariamente dipinto come un nemico dello stato.
Anche l’imperatore Nerone, ormai completamente inviso al Senato, venne condannato alla Damnatio Memoriae, e si tentò sistematicamente di eliminare ogni traccia del suo governo. L’operazione non ebbe particolare successo, in quanto Nerone era un imperatore particolarmente amato dal popolo, tanto che fino al medioevo diversi cittadini erano soliti rendere omaggio alla sua tomba, oggi scomparsa, ma sita nel quartiere romano, ancora oggi esistente, denominato appunto ” Tomba di Nerone “.
Altro importante condannato alla Damnatio Memoriae fu Geta, il fratello dell’imperatore Caracalla. I due si odiavano profondamente fin dall’inizio del loro regno congiunto, tanto da evitarsi persino nelle stanze del palazzo imperiale.
Dopo l’omicidio di Geta da parte di Caracalla, quest’ultimo ordinò la sua Damnatio Memoriae, per eliminare ogni traccia del fratello rivale. Nel tondo severiano l’immagine di Geta venne cancellata, ma la Damnatio Memoriae che Caracalla inflisse era così dura che anche pronunciare pubblicamente il nome di Geta era un reato per qualsiasi cittadino.
Anche l’imperatore romano Eliogabalo e sua madre Giulia Soemia vennero condannati alla Damnatio Memoriae. Eliogabalo era un giovane ragazzo di origine siriana, che, diventato imperatore per via di una serie di intrighi di Palazzo, si dedicò solamente al culto del Dio Elagabal e ad una serie di passioni sfrenate: rapidamente preso in antipatia dai pretoriani, venne ucciso assieme alla madre.
Verso il tardo Impero, anche il nome di Massenzio, pretendente al trono dell’Impero romano d’Occidente sconfitto da Costantino nella battaglia di Ponte Milvio (28 ottobre 312 d.C), venne condannato alla Damnatio Memoriae.
Costantino aveva la necessità di diffondere la sua propaganda, anche in vista di una riappacificazione con la comunità cristiana, tanto da dover applicare la Damnatio Memoriae all’avversario Massenzio. Anche alcuni riferimenti a Massenzio, che sono presenti nello stesso arco di Costantino, vennero cancellati per ordine dell’imperatore.