Marco Licinio Crasso era a suo agio nel ruolo di potentissimo uomo d’affari nonché punto di equilibrio tra gli altri triumviri Caio Giulio Cesare e Gneo Pompeo Magno.
O almeno lo era fino a quando Cesare non iniziò a conquistare territori in Gallia, affacciandosi persino in Britannia : da quel momento il più vecchio dei triumviri iniziò ad essere offuscato dalla fama di Cesare (di cui era il più ingente creditore) e intraprese una spedizione più di carattere personale che strategico per Roma.
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La morte del sovrano dei Parti, Fraate III, gli fornì il pretesto a causa delle lotte di successione tra i figli Orode e Mitridate. A spuntarla fu il primo e Crasso andò in soccorso del secondo. Ma c’è da scommetterci che a ruoli invertiti sarebbe stato lo stesso !
L’impero partico era il più ingombrante vicino per Roma : dalla Persia alla Media, passando per la Mesopotamia, gettava un’ombra, con la sua potenza, che poteva offuscare il governo di Roma nelle province locali confinanti con esso.
Così, a sessant’anni suonati, nella tarda primavera del 53 a.c. Crasso si avventurò per il deserto siriano allo scopo di sorprendere con una manovra audace, il comandante dei Parti Surena.
Una manovra alquanto improvvida quella di lasciare la sponda dell’Eufrate che gli avrebbe coperto un fianco, ma quello non fu l’ultimo degli errori del generale romano.
Plutarco narra che fu indotto a questo percorso da tre nobili parti che si presentarono a lui mutilati in modo orribile : privati delle mani, del naso, persino delle labbra. Affermarono di essere stati ridotti in quelle condizioni perchè avversari politici del nuovo sovrano. Furono loro a consigliare il percorso a Crasso facendogli intendere che il grosso dele truppe partiche non si aspettavano una simile manovra.
Inutile aggiungere che quella era una trappola e che i nobili Parti si erano fatti mutilare volontariamente.
Con l’idea di sferrare un colpo tanto devastante quanto inatteso agli avversari, Crasso si mise in viaggio nel deserto con i suoi 43.000 legionari.
Ad attenderlo c’era la cavalleria dei Parti composta da 9.000 uomini più un migliaio di catafratti.
A metà del percorso iniziarono ad essere tormentati dagli arcieri a cavallo. Surena sembrava non volere una battaglia campale e questo rafforzò in Crasso l’idea che i Parti fossero essenzialmente dei vigliacchi.
Il 9 giugno Surena accettò battaglia : a quel punto l’esercito romano era completamente sfiancato dal percorso e dalla calura.
Inizialmente i catafratti (cavalleria pesante diremmo oggi) non riuscirono a infliggere grosse perdite ai legionari, così iniziò una pioggia di frecce che li bersagliò incessantemente.
Ad un certo punto gli arcieri a cavallo si ritirarono e Publio, il figlio di Crasso, che comandava l’ala sinistra dell’esercito, fece una sortita al loro inseguimento.
Gli arcieri utilizzarono la stessa tattica degli Oriazi contro i Curiazi : si allontanarono attirando Publio lontano dalle schiere romane poi accerchiarono i romani e massacrarono tutti, compreso il figlio di Crasso.
Il generale e triumviro affranto per la disfatta, e per la morte del figlio, decise di ritirarsi presso la roccaforte di Carre (nell’odierna Harran, in Turchia) , lasciando i feriti in mano ai Parti.
Cosa accadde di loro si può facilmente immaginare.
Crasso aveva davanti a sé solo due opzioni : o restare nella roccaforte attendendo rinforzi o riparare in un luogo sicuro. Il suo prestigio personale dovette essere ai minimi in quel momento se Gaio Cassio ( il futuro cesaricida) lo contestò apertamente e andò con diecimila legionari dalla parte opposta scelta da Crasso.
Quest’ultimo tentò di riparare a nord, nella vicina Armenia, forse dietro suggerimento di un alleato infedele, di nome Andromaco.
Cassio invece ripassò il deserto siriaco più a sud.
Le truppe del triumviro furono intercettate da quelle di Surena presso la città di Orfa e lì, furono completamente annientate.
Gli unici romani a salvarsi furono quelli comandati da Cassio, l’unico in quella tragica campagna, a salvare l’onore romano.
Crasso fu catturato dai Parti che pare gli inflissero l’amputazione delle mani prima di versargli oro fuso in bocca, per punire la sua sete di ricchezze.
La sua morte (che per efferattezza, forse fu superata solo da quella che gli stessi parti inflissero all’imperatore Valeriano) sancì la fine del triumvirato, lasciando Cesare e Pompeo padroni della situazione politica e militare romana, creando i prodromi per la guerra civile che sarebbe scoppiata, inesorabilmente, pochi anni dopo.
Da questa tragica campagna militare, inoltre, nacque una leggenda avvalorata da Plinio il vecchio: pare che diecimila soldati romani, prigionieri dei Parti, siano stati adoperati come guarnigione di rinforzo partica nella regione Margiana, l’odierno Turkmenistan.
Da lì, una volta affrancati, sarebbero divenuti mercenari, stanziandosi definitivamente nella regione cinese di Liqian, avviando, di fatto, le prime relazioni dirette ed ufficiali tra Roma e la Cina.
Bruno Aliotta