Gaio Messio Quinto Decio nacque attorno all’anno 201 d.C nella città di Budalia, nell’odierna Serbia.
Le sue qualità lo portarono immediatamente ad impegnarsi in una carriera militare, ed evidentemente ebbe un rapido successo, tanto che già nel 232 d.C fu console suffetto, ovvero console “sostituto” di uno che viene a mancare, prima di servire come governatore delle provincie di Mesia, Germania inferiore e Spagna Tarragonese.
Durante il regno dell’Imperatore Filippo l’Arabo, venne anche nominato prefetto urbano di Roma, un incarico onorifico che conferma come Decio fosse ormai un generale e governatore di ottimo livello, destinato a posizioni amministrative di alto rango.
Mappa dell’Impero romano alla massima espansione
L’ascesa al ruolo di imperatore
Nel 245 d.C, la situazione nell’Impero divenne particolarmente caotica e pericolosa: alcune legioni stanziate sul confine settentrionale del Danubio si erano ribellate alle autorità e avevano autoproclamato come nuovo imperatore Tiberio Claudio Pacatiano. La ribellione delle legioni scoppiava in una situazione estremamente critica, proprio quando le tribù germaniche premevano inesorabilmente sui confini e razziavano sistematicamente il territorio.
Filippo l’Arabo, sentendosi inadeguato per affrontare una situazione tanto complessa, tentò di “dimettersi” da imperatore di Roma, ma il Senato rigettò le sue dimissioni in quanto voleva assolutamente evitare, in un momento tanto delicato, un vuoto di potere. Lo stesso Decio, uno dei più grandi sostenitori di Filippo l’Arabo, lo incoraggiò a prendere le armi contro le tribù germaniche.
Filippo rimase in carica, ma scelse di inviare proprio Decio sul Danubio, ben conscio delle sue capacità militari, per riprendere il controllo della situazione, reprimere la ribellione delle legioni ed espellere le tribù invasori dai confini romani.
L’intervento di Decio fu salvifico: già nel 249 d.C aveva riportato i legionari sotto il suo controllo, ristabilito l’ordine nelle aree settentrionali dell’impero e tranquillizzato la situazione.
Ma nel frattempo qualcosa era cambiato: le legioni stanziate sul Danubio, dopo aver osservato l’operato di Decio e apprezzando i suoi importanti successi militari, decisero di destituire Filippo l’Arabo e proclamare proprio Decio al suo posto.
Decio mosse così il suo esercito verso Roma nella primavera del 249 d.C. Alla notizia del suo arrivo, il sostegno nei confronti di Filippo l’Arabo, soprattutto da parte del Senato, è gratis ebbe un tracollo, e i due contingenti militari si incontrarono vicino a Verona nell’estate del 249 d.C
A onor del vero, Decio cercò di negoziare per risparmiare il sangue di migliaia di cittadini romani, e probabilmente anche per dare una via d’uscita ad un uomo con cui aveva collaborato e che gli aveva dimostrato fiducia.
Tuttavia, le loro posizioni non potevano conciliarsi, e alla fine le due forze militari non poterono evitare lo scontro. Decio uscì come netto vincitore della battaglia e Filippo fu ucciso nel corso dei combattimenti: forse venne abbattuto dai suoi stessi soldati, che desideravano porre fine al conflitto e proclamare Decio come suo successore.
Con la morte di Filippo, Decio venne proclamato dai legionari come nuovo imperatore.
Il regno dell’imperatore Decio
I primi atti di Decio come imperatore furono mirati a consolidare la sua autorità personale ma anche a ripristinare il potere il funzionamento dello Stato romano. Da un lato intensificò le campagne militari contro le tribù germaniche del nord, tentando di rendere i confini più sicuri e meno esposti alle continue invasioni, dall’altro promosse una serie di leggi per recuperare valori e tradizioni religiose popolari.
Decio ripristinò anche la magistratura del censore, un vecchio ruolo tipico del periodo repubblicano, che era deputato al controllo della morale pubblica. Probabilmente questa mossa da parte di Decio venne decisa per accontentare l’aristocrazia senatoria, ma è anche perfettamente in linea con la sua politica di ripristino della vecchia religione di stato.
Decio permise al Senato di scegliere direttamente il nuovo censore, e i senatori votarono all’unanimità per una giovane promessa della politica del tempo, Valeriano, che tuttavia preferì declinare l’offerta, adducendo delle difficoltà e delle complicazioni personali che gli impedivano di svolgere la carica. Probabilmente si trattò di una mossa di prudenza, dal momento che Valeriano aveva percepito una instabilità nel governo romano.
Nel frattempo, Decio commissionò una serie di progetti di costruzione e di manutenzione delle principali infrastrutture di Roma. Iniziò la costruzione delle Terme che avrebbero portato il suo nome, ma queste non furono completate fino alla sua morte, nel 252 d.C.
Decio diede anche ordine di riparare il Colosseo, danneggiato da diversi anni e oppresso dall’incuria: l’anfiteatro Flavio aveva ormai 170 anni, ed essendo stato recentemente colpito da un fulmine, necessitava di interventi immediati.
L’imperatore Decio contro i cristiani
Come tutti gli imperatori del suo periodo, Decio dovette affrontare il problema dei cristiani.
L’imperatore stabilì una data precisa entro la quale tutti i membri delle comunità cristiane cittadine erano tenute a compiere dei sacrifici in onore degli Dei del Pantheon romano, alla presenza di un magistrato. Coloro che avrebbero completato il sacrificio, avrebbero ricevuto un certificato a dimostrazione del rispetto dell’editto di Decio.
Questo obbligo, ovviamente, metteva in crisi le comunità cristiane, le quali, essendo monoteiste, non concepivano sacrifici agli Dei romani.
L’Editto di Decio provocò così una specie di caccia ai cristiani: molti magistrati, ma anche approfittatori che si volevano arricchire, si presero la responsabilità di smascherare quei cristiani che non avevano rispettato l’editto.
Tutti coloro che si rifiutarono di sacrificare agli Dei romani, nonostante le insistenti richieste dei magistrati, vennero giustiziati. A cadere nel corso di queste persecuzioni diversi personaggi importanti di quel periodo, tra cui Papa Fabiano e i vescovi di Gerusalemme e di Antiochia.
L’impero di Decio fu gravato anche da una terribile epidemia: già sotto Marco Aurelio la cosiddetta peste Antonina aveva pesantemente decimato la popolazione dell’impero. Durante il regno di Decio si verificò una seconda grave ondata di epidemia, che i medici di oggi identificano probabilmente con il vaiolo: questa orribile piaga non sarebbe finita che 15 anni dopo, nel 266 d.C.
Centinaia di persone morivano ogni giorno a Roma, e spesso i cadaveri si accumulavano per le strade, in un clima letteralmente infernale. Molti accusarono i cristiani di diffondere la peste e per questo motivo gli editti di Decio vennero confermati anche dagli imperatori che lo seguirono, fino a quando furono revocati nel 260 d.C, durante il regno di Gallieno.
La guerra di Decio contro i Goti
Decio dovette affrontare anche le implacabili invasioni barbariche, che partivano dal fiume Danubio e si diffondevano in tutto il territorio romano, gravando in maniera particolare sulle province di Mesia e Tracia. Dal momento che Roma stava affrontando una pesante instabilità finanziaria e non poteva permettersi di sostenere ulteriori spese militari, Decio decise di compiere una campagna militare risolutiva.
L’intenzione dell’imperatore era quella di attaccare la tribù dei Goti, che in quel periodo erano guidati dal loro Re Cniva. Ma la campagna venne ritardata dalla presenza di alcuni usurpatori al trono: un governatore provinciale, di nome Tito Giulio Prisco, decise di allearsi con i Goti e si dichiarò imperatore. Decio non dovette preoccuparsi a lungo: Prisco fu immediatamente ucciso dai suoi alleati, poco dopo la sua ribellione, probabilmente per gelosie personali e per una strenua lotta per il potere.
Ma di lì a poco un altro usurpatore fece il suo ingresso nella storia: si chiamava Giulio Valente Liciniano: insorse con una parte dei legionari sfidando l’autorità di Decio. Liciniano aveva alcuni alleati tra l’aristocrazia di Roma e rappresentava una minaccia molto più pericolosa rispetto a Prisco. Fortunatamente la ribellione fu rapidamente repressa per conto di Decio da Publio Licinio Valeriano.
Una volta soffocate le ribellioni, Decio potè concentrare tutti i suoi sforzi contro i Goti.
Gli uomini di Cniva stavano razziando la città di Nicopoli, vicino al Danubio: Decio lanciò un un attacco a sorpresa, costringendoli alla fuga. La campagna militare sembrava mettersi per il meglio, quando i Goti , anziché scappare e ritornare nei loro territori, decisero di operare un contrattacco contro le forze romane, vincendole e riuscendo a conquistare la città di Filippopoli, nell’odierna Bulgaria, che venne saccheggiata.
La morte di Decio
Decio cercò in ogni modo di vendicare il saccheggio di Filippopoli: mise rapidamente in piedi un nuovo esercito e portò con sé suo figlio, Erennio Etrusco, oltre ad un illustre generale di nome Treboniano Gallo. Le forze romane si scontrarono nuovamente contro quelle dei Goti nel giugno del 251 d.C, vicino alla città di Abritto, nell’odierno Nordest della Bulgaria .
Cniva attirò l’esercito romano in una palude, dove fu in grado di intrappolare i legionari, che vennero massacrati fino all’ultimo. Durante il combattimento, il figlio di Decio morì sul campo di battaglia colpito da una freccia e lo stesso Decio scelse di cadere armi in pugno .
Alcune fonti antiche hanno avanzato il sospetto che Treboniano Gallo si fosse messo in realtà d’accordo con i Goti al fine di eliminare Decio e prendere il suo posto sul trono, ma non ci sono conferme definitive di questa teoria.
Fatto sta che le legioni danubiane, rimaste senza generale, proclamarono nuovo imperatore proprio Treboniano Gallo.
La figura di Treboniano stava per scontrarsi con quella di Ostiliano, l’altro figlio di Decio, che era rimasto a Roma e mirava a succedere al padre. Fortunatamente, Treboniano dimostrò un buon senso dello stato, e anziché scatenare una nuova guerra civile, decise di adottare Ostiliano e di condividere il governo con lui.