La guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), fu un conflitto combattuto fra Atene e Sparta per l’egemonia nel mondo greco.
Gli storici hanno tradizionalmente diviso la guerra in tre fasi. La prima, chiamata “Guerra dei dieci anni” o “Guerra Archidamica”, dal nome del re Spartano Archidamo II, si basò sull’invasione dell’Attica da parte dell’esercito spartano e dei suoi alleati appartenenti alla Lega del Peloponneso, la rete di alleanze dominata da Sparta.
Atene, adeguatamente difesa dalle cosiddette “Lunghe Mura”, rese questa strategia inefficace, mentre la flotta della lega di Delo, l’alleanza guidata da Atene, fece irruzione sulla costa del Peloponneso per innescare delle ribellioni all’interno di Sparta.
Nel 421 a.C venne firmata la pace di Nicia che durò fino al 413 a.C. Durante questo secondo periodo, si svolsero in realtà diverse battaglie per procura, in particolare la battaglia di Mantinea del 418 a.C, vinta da Sparta contro un’alleanza composta da Elide, da Mantinea, da Argo ed Atene. L’evento principale fu tuttavia la spedizione siciliana tra i 415 e 413 a.C, durante la quale Atene perse quasi tutta la sua marina nel tentativo di catturare la città di Siracusa, alleata di Sparta.
Nella terza fase della guerra, denominata “Guerra Ionica”, l’impero persiano appoggiò Sparta per recuperare la sovranità delle città greche dell’Asia Minore, che erano state inglobate nella lega di Delo alla fine della guerra persiane. Grazie al denaro dei Persiani, Sparta costruì un enorme flotta sotto la guida del generale Lisandro, che vinse una serie di battaglie decisive nel Mar Egeo, in particolare quella di Egospotami nel 405 a.C.
Ormai indifesa, Atene si arrese l’anno successivo, perdendo tutto il suo potere. Lisandro impose una oligarchia a tutti i membri della lega di Delo, con un regime conosciuto come “Trenta tiranni”.
La guerra del Peloponneso venne seguita, dieci anni dopo, dalla “Guerra di Corinto” che aiutò a tenere a riconquistare per lo meno la sua indipendenza da Sparta.
La guerra del Peloponneso ebbe profondi effetti su tutto il mondo greco. Atene, che all’inizio del conflitto era la città-stato più forte della Regione, venne ridotta in uno stato di completa soggezione a Sparta, la quale di contro si affermò come potenza trainante del territorio.
Gli enormi costi economici della guerra fecero sprofondare il Peloponneso nella povertà, e negli anni successivi Atene non riacquistò mai più la sua prosperità. La guerra apportò anche notevoli cambiamenti alla società: il conflitto tra la democrazia di Atene e l’oligarchia di Sparta rese la guerra un evento endemico in tutto il mondo greco per i secoli successivi.
Il mondo greco si trasformò infatti in una lotta a tutto campo tra città-stato rivali: compiendo regolari atrocità su larga scala, devastando vaste aree delle campagne, distruggendo regolarmente intere città, la guerra del Peloponneso segnò la fine dell’età d’oro della Grecia.
Il preludio alla guerra
Lo storico contemporaneo Tucidide, riassunse efficacemente i 50 anni precedenti al conflitto.
Essi erano stati contrassegnati da un continuo sviluppo da parte di Atene come grande potenza del mondo Mediterraneo. Il suo impero era iniziato con un piccolo gruppo di città stato, chiamato “Lega di Delo”, che si erano coalizzate per garantire la fine delle guerre greco-persiane.
Dopo aver sconfitto i Persiani nella loro seconda invasione della Grecia (480 a.C.), Atene guidò la coalizione di città stato greche in ulteriori attacchi nei territori persiani nell’Egeo e nella Ionia.
Nel periodo successivo, Atene divenne sempre più il centro di un impero, conducendo un’aggressiva guerra contro la Persia e imponendo sempre più il suo controllo sulle altre città. Nel giro di pochi anni, Atene aveva portato tutta la Grecia sotto il suo dominio, ad eccezione di Sparta e dei suoi alleati, inaugurando un periodo chiamato “Impero ateniese”.
Entro la metà del secolo, i persiani erano stati completamente cacciati dall’Egeo e avevano dovuto cedere il controllo di vasti territori ad Atene. La città aveva accresciuto sempre più la propria potenza, costringendo gli alleati a pagare regolari tributi.
Con queste tasse, venne finanziata la costruzione di una potentissima flotta e furono eseguiti imponenti lavori pubblici per tutta la città, provocando un profondo risentimento in tutta la lega di Delo.
Nel frattempo, si era sviluppato l’attrito fra Atene e Sparta. Dopo la partenza dei Persiani della Grecia, Sparta aveva inviato ambasciatori per convincere Atene a non ricostruire le sue mura, ma la loro richiesta venne respinta. Effettivamente, senza le mura, Atene sarebbe stata completamente indifesa contro un attacco di terra e quindi soggetta al controllo spartano.
Secondo Tucidide, anche se gli Spartani non intrapresero alcuna azione militare, si sentivano profondamente addolorati.
Il conflitto conobbe un peggioramento nel 465 a.C, quando a Sparta scoppiò la “rivolta degli Iloti” ovveri dei loro schiavi. Gli Spartani convocarono tutte le forze dei loro alleati, inclusa Atene, per reprimere la ribellione. Atene inviò un considerevole contingente, circa 4000 opliti, ma al loro arrivo i soldati furono congedati dagli Spartani, mentre le unità degli altri alleati ebbero il permesso di rimanere.
Secondo Tucidide, gli Spartani avrebbero preso questa decisione per paura che gli ateniesi cambiassero schieramento, sostenendogli gli Iloti. Gli ateniesi, profondamente offesi, ripudiarono la loro alleanza con Sparta.
Quando infine i ribelli furono costretti ad arrendersi e fu loro concesso di evacuare Sparta, gli ateniesi presero con loro contatti e li stabilirono nella città strategica di Naupatto, sul Golfo di Corinto.
Nel 459 A.C era scoppiata intanto una guerra tra Megara e Corinto, entrambi alleati degli spartani. Atene approfittò della situazione per stringere un’alleanza con Megara, ottenendo un punto d’appoggio importante sull’istmo di Corinto. Ne seguì un conflitto di quindici anni, comunemente noto come “Prima guerra del Peloponneso”, in cui Atene combatté a intermittenza contro Sparta, Corinto, e altre città.
Per un periodo di questo conflitto, Atene controllò non solo Megara ma anche tutta la Beozia. Ma alla fine, una massiccia invasione spartana dell’Attica costrinse Atene a cedere le terre che aveva conquistato sulla terraferma. Atene e Sparta riconobbero il reciproco diritto di controllare i propri alleati, senza l’interferenza l’uno dell’altro.
La guerra fu conclusa con la “Pace dei trent’anni”, firmata nell’inverno del 446 a.C.
La rottura della pace dei trent’anni
La pace dei trent’anni venne messa a dura prova nel 440 a.C, quando Samo, dapprima alleata di Atene, si ribellò contro di loro.
I ribelli si assicurarono il sostegno di un Satrapo persiano e Atene fu sul punto di dover affrontare una serie di rivolte in tutto il suo impero. Gli Spartani, il cui intervento sarebbe stato utile ad innescare una massiccia guerra all’interno del territorio atenese, convocarono un congresso dei loro alleati per discutere la possibilità di una guerra su vasta scala.
Corinto, potente alleata di Sparta, era contraria all’intervento e il congresso votò contro la guerra con Atene. Gli ateniesi repressero la rivolta e la pace si mantenne.
Gli eventi successivi portarono ad una guerra tra Atene e Corinto. Una delle colonie di Corinto, Corcyra, si ribellò e sconfisse i corinzi in battaglia. Corinto iniziò allora a costruire una forza navale. Allarmata, la colonia di Corcyra cercò un’alleanza con Atene. Atene discusse sia con Corcyra che con Corinto e decise infine di stringere un’alleanza difensiva con Corcyra.
Nella battaglia di Sibota, un piccolo contingente di navi ateniesi impedì a una flotta Corinzia di catturare Corcyra. Tuttavia, per non vanificare la pace dei trent’anni, ai generali ateniesi fu ordinato di non intervenire nella battaglia a meno che non fosse chiaro che Corinto avrebbe invaso Corcyra.
Tuttavia, le navi ateniesi decisero di partecipare attivamente alla battaglia, e sull’orlo della sconfitta furono salvate solo dall’arrivo di ulteriori triremi ateniesi, il che convinse i Corinzi a non sfruttare la vittoria e lasciare scappare la flotta ateniese in rotta.
Umiliata dai corinzi, Atene ordinò alla città di Potidea, alleata tributaria di Atene ma colonia di Corinto, di abbattere le sue mura, inviare degli ostaggi ad Atene, licenziare tutti i suoi magistrati Corinzi e rifiutare i magistrati che Corinto avrebbe inviato in futuro.
Indignati, i Corinzi incoraggiarono Potidea, e gli assicurarono che se si fossero ribellati ad Atene avrebbero potuto contare sulla loro alleanza. Così fu: e durante la successiva battaglia tra Potidea ed Atene, i Corinzi aiutarono ufficiosamente Potidea, introducendo di nascosto degli uomini durante l’assedio della città da parte degli ateniesi.
Questo violava apertamente la pace dei trent’anni, che stabiliva che la lega di Delo e la lega del Peloponneso avrebbero rispettato l’autonomia e gli affari reciproci.
Arrivati a questa fase, Atene decise di compiere una aperta provocazione contro gli Spartani. Nel 433 a.C impose delle sanzioni commerciali ai cittadini di Megara: queste sanzioni, note come “decreto megalese”, non vengono riportate da Tucidide, ma alcuni storici moderni ritengono che vietare a Megara di commerciare con il prospero Impero atenese sarebbe stato per loro disastroso. Gli storici attribuiscono la responsabilità della guerra a questa specifica decisione di Atene.
Così, su richiesta di Corinto, gli Spartani convocarono in città tutti i membri della Lega del Peloponneso, in particolare quelli che avevano rancori con Atene, per presentare le loro lamentele all’assemblea. A questo dibattito partecipò anche una delegazione di Atene, seppur non fosse stata formalmente invitata, che chiese di parlare.
Tucidide riferisce che i Corinzi condannarono l’inattività di Sparta fino a quel momento, avvisando che se Sparta fosse rimasta passiva, sarebbe presto rimasta senza alleati. In risposta, gli ateniesi ricordarono agli Spartani i successi militari che Atene aveva ottenuto contro la Persia, e li avvertirono che affrontare una città così potente sarebbe stato per loro pericoloso, incoraggiando piuttosto Sparta a mantenere fede alla pace dei trent’anni.
Il re Spartano Archidamo II parlò contro la guerra, ma nell’assemblea spartana prevalsero le argomentazioni di chi voleva il conflitto. Infine, l’assemblea spartana deliberò che gli ateniesi avevano rotto la pace di trent’anni, dichiarandogli essenzialmente guerra.
La fase Archidamica: l’invasione dell’Attica da parte di Sparta
La prima fase della guerra del Peloponneso è nota come “Fase Archidamica”, dal nome del re di Sparta, Archidamo II.
Sparta e i suoi alleati, eccetto Corinto, avevano forze quasi esclusivamente terrestri, in grado di assemblare degli eserciti di fanteria quasi imbattibili, grazie alle leggendarie forze spartane.
L’impero ateniese, sebbene dominasse la penisola dell’Attica, si estendeva attraverso le Isole del Mar Egeo e traeva la sua immensa ricchezza dai tributi pagati dagli alleati. La sua forza era prevalentemente navale, pertanto le due potenze, viste le loro differenze militari, erano incapaci di combattere battaglie decisive.
La strategia spartana fu quella di invadere i territori coltivabili intorno ad Atene. Questa invasione privò gli ateniesi di gran parte delle aree fertili intorno alla loro città, ma Atene, mantenendo i suoi rifornimenti via mare, non ne soffrì eccessivamente. Molti cittadini dell’Attica abbandonarono le loro fattorie e si trasferirono all’interno delle lunghe Mura della città, che collegavano Atene al suo porto, il Pireo.
Gli Spartani occuparono l’Attica per periodi relativamente brevi, non più di tre settimane alla volta: nella tradizione della guerra oplita, infatti, i soldati dovevano tornare a casa per partecipare al raccolto. Inoltre, gli schiavi spartani dovevano continuamente essere tenuti sotto controllo e non potevano essere lasciati incustoditi a lungo. Tanto è vero che la più lunga invasione spartana durò appena 40 giorni.
Nel frattempo, la strategia ateniese, guidata dal loro generale Pericle, si basava sull’evitare la battaglia aperta contro degli opliti spartani molto più numerosi e meglio addestrati, affidandosi invece alla propria flotta navale. Le navi ateniesi passarono così all’offensiva, vincendo una prima battaglia a Naupatto.
Nel 430 a.C, ad Atene, la convivenza forzata di decine di migliaia di persone all’interno di un perimetro relativamente ristretto, provocò lo scoppio di una pesante pestilenza. Oltre 30.000 cittadini, marinai e soldati, tra cui Pericle e i suoi figli, morirono.
La manodopera ateniese venne drasticamente ridotta e persino i mercenari stranieri si rifiutarono di combattere per una città piena di malati. La paura della peste si diffuse così tanto che gli stessi spartani decisero di rinunciare all’invasione dell’Attica, dal momento che le truppe non erano disposte a rischiare il contatto con il nemico.
Con la morte di Pericle, gli ateniesi decisero di cambiare la loro strategia attendista e puntarono ad un approccio più aggressivo contro Sparta ai suoi alleati. Nella democrazia ateniese si fece avanti il nome del politico Cleone, mentre il nuovo leader militare era Demostene, che grazie ad una serie di incursioni navali nel Peloponneso segnò alcuni punti a favore di Atene.
La città estese le sue attività militari in Beozia ed Etolia, represse la rivolta di Mitilene e iniziò a fortificare nuove postazioni intorno al Peloponneso. Una di queste nuove postazioni si trovava sull’isola di Sfacteria, dove un primo combattimento si risolse a favore di Atene.
Particolare importanza ebbe l’avamposto ateniese di Pilo, che iniziò ad attrarre schiavi spartani fuggiaschi. Il timore di una rivolta di Iloti, sobillata dai vicini ateniesi, convinse gli Spartani ad attaccare. Demostene sconfisse gli Spartani nella battaglia di Pilo del 425 a.C ma, settimane dopo il primo risultato, si dimostrò incapace di ottenere una vittoria risolutiva.
Nel frattempo, Cleone annunciò all’assemblea ateniese di poter porre fine alla guerra con una grande battaglia: si giunse così alla battaglia di Sfacteria, che segnò un momento importante per tutta la storia militare greca. Trecento opliti spartani, completamente circondati dalle forze ateniesi, si arresero. Per la prima volta, il mito dell’invincibilità spartana era stato incrinato.
Gli ateniesi imprigionarono gli ostaggi e minacciarono di giustiziare tutti gli Spartani catturati nel caso in cui un nuovo esercito dal Peloponneso avesse invaso l’Attica.
Gli Spartani avevano però dalla loro parte un nuovo intraprendente generale, Brasida, che riuscì in poco tempo ad organizzare un esercito di alleati e di iloti, marciando per tutta la Grecia fino alla colonia ateniese di Anfipoli, in Tracia.
Anfipoli controllava diverse miniere d’argento che fornivano gran parte dei fondi necessari alla guerra ateniese. Una forza militare guidata da Tucidide venne subito inviata per contrastare gli avversari, ma egli arrivò troppo tardi per impedire a Brasida di catturare la città. Seguirono una serie di violenti combattimenti, con i quali gli ateniesi cercarono di riconquistare Anfipoli, e proprio durante questi scontri sia a Cleone che Brasida trovarono la morte.
Con la scomparsa dei due leader che più spingevano per la guerra, spartani ed ateniesi accettarono di scambiarsi i reciproci ostaggi e firmarono una tregua.
Dalla pace di Nicia alla battaglia di Mantinea
L’accordo tra Spartani ed ateniesi, noto come “Pace di Nicia”, durò sei anni.
Tuttavia continue scaramucce minarono la pace nel Peloponneso. Mentre gli Spartani si astenevano effettivamente dall’intraprendere azioni militari, alcuni dei loro alleati iniziarono a parlare di rivolta.
Gli ateniesi pensarono di sfruttare la situazione, e decisero di offrire il loro supporto alla città di Argo, potente stato del Peloponneso. Con il supporto esterno ateniese, gli argivi formarono una nuova coalizione di stati democratici del Peloponneso alternativa a quella guidata da Sparta, alleanza che comprendeva anche i potenti stati di Mantinea ed Elide.
Gli argivi e i loro alleati, con il sostegno di una piccola forza ateniese guidata dal generale Alcibiade, si mossero per impadronirsi della città di Tegea, vicino a Sparta.
Si arrivò così ad uno dei più grandi scontri terrestri di tutta la guerra del Peloponneso, la battaglia di Mantinea.
Sparta e i suoi alleati dovettero combattere contro una coalizione composta dai soldati di Argo, Atene e Mantinea. Inizialmente, lo scontro fu a favore degli ateniesi e dei loro alleati, ma non riuscendo a capitalizzare i primi successi le più efficienti forze spartane riuscirono infine a sconfiggere gli avversari. Gli Spartani ottennero una vittoria finale definitiva , salvando Sparta.
L’alleanza democratica fu sciolta e la maggior parte dei suoi membri venne reincorporata nella lega del Peloponneso. Con la vittoria di Mantinea, Sparta evitò la totale sconfitta e riconfermò la sua piena egemonia in tutta la regione.
La spedizione in Sicilia e il tradimento di Alcibiade
Nel 17mo anno di guerra, giunse ad Atene la notizia che Segesta, città siciliana alleata, era sotto attacco da Siracusa. Gli ateniesi decisero di aiutare i loro alleati, concretizzando il grande progetto di conquista dell’intera isola.
Siracusa era potente ma battibile, e la conquista della Sicilia avrebbe portato ad Atene delle immense risorse. Venne così organizzata una spedizione militare in grande stile, ma durante gli ultimi preparativi per la partenza, le statue religiose che raffiguravano il dio Ermes, disseminate in tutta Atene, vennero orribilmente mutilate da ignoti, in uno scandalo noto come “Scandalo delle Erme”.
Alcibiade venne immediatamente accusato di crimini religiosi, evidentemente dai suoi avversari politici. Egli chiese immediatamente di avere un regolare processo per potersi difendere prima di partire per la spedizione. Tuttavia, gli ateniesi permisero ad Alcibiade di partire immediatamente.
Arrivato in Sicilia, però, Alcibiade fu richiamato ad Atene per testimoniare. Temendo di essere condannato ingiustamente, Alcibiade disertò, passando dalla parte degli spartani e l’incarico della spedizione siciliana passò al generale ateniese Nicia.
Alcibiade, approdato al servizio del nemico, spiegò agli Spartani che gli ateniesi intendevano utilizzare l’isola come trampolino di lancio per la conquista di tutta l’Italia, fino a Cartagine e che il dominio sulle risorse siciliane avrebbe permesso agli ateniesi di finanziare la guerra fino a conquistare tutto il Peloponneso.
Nonostante la defezione di Alcibiade, la forza ateniese era composta da 100 navi da guerra e cinquemila fanti, oltre a diverse truppe corazzate leggere. La cavalleria, invece, era limitata a sole 30 unità, che non erano minimamente all’altezza della grande e addestrata cavalleria siracusana.
Dopo lo sbarco in Sicilia, diverse città si unirono immediatamente alla causa degli ateniesi. Ma invece di attaccare il nemico, Nicia preferì rimandare le operazioni all’anno 415 a.C, infliggendo a Siracusa solo lievissimi danni. Con l’avvicinarsi dell’inverno, gli ateniesi si ritirarono nei loro accampamenti e trascorsero l’inverno chiamando a raccolta alleati dai territori circostanti.
Il ritardo si dimostrò un grave errore tattico, in quanto permise a Siracusa di chiedere aiuto direttamente a Sparta, che inviò immediatamente il proprio generale Gilippo con dei rinforzi. Gilippo radunò forze militari da diverse città siciliane e andò subito in soccorso di Siracusa.
Preso il comando delle truppe siracusane, sconfisse le forze ateniesi in una serie di battaglie e gli impedì di invadere la città. Nicia mandò quindi un messaggio ad Atene, chiedendo ulteriori rinforzi.
Per aiutarlo, venne scelto il generale Demostene, che si mise alla guida di una nuova flotta che raggiunse la Sicilia, unendo le sue forze a quelle di Nicia.
A seguito di altre battaglie, i siracusani e i loro alleati sconfissero nuovamente gli ateniesi. Demostene, comprendendo la situazione, fu il primo a sostenere la necessità di ritirarsi ad Atene, ma Nicia rifiutò. Dopo ulteriori battute d’arresto, dovute sostanzialmente ad incomprensioni sul campo di battaglia e a diverse interpretazioni della guerra, Nicia sembrò finalmente accettare la ritirata.
Questa tuttavia venne ritardata da un cattivo presagio, un’eclissi lunare che sorprese i soldati ateniesi mentre si preparavano per l’imbarco. Di nuovo, il ritardo fu estremamente negativo per gli ateniesi che, sopresi dai siracusani e dagli Spartani, furono costretti ad una battaglia navale nel porto grande di Siracusa.
Nello scontro, gli ateniesi vennero completamente sconfitti. Nicia e Demostene furono costretti a guidare le loro residue forze rimanenti nell’entroterra siciliano alla disperata ricerca di alleati. Ma la cavalleria siracusana li attaccò senza pietà, uccidendo gran parte dei soldati e riducendo i sopravvissuti in schiavitù.
Il contrattacco Spartano in Attica
Dopo la sconfitta ateniese, gli Spartani, su consiglio di Alcibiade, decisero di attaccare nuovamente l’Attica. Il loro primo obiettivo era la fortezza di Decelea, un luogo vicino ad Atene, da cui partivano regolarmente i rifornimenti di cibo per gli ateniesi. L’occupazione della fortezza impedì ai viveri di raggiungere Atene, che fu costretta a ottenere nuovi rifornimenti esclusivamente via mare e a spese maggiori.
Ma il danno peggiore fu la conquista da parte degli spartani delle miniere d’argento della zona del Laurio, che privarono Atene della loro tradizionale ricchezza.
Con pesanti difficoltà di approvvigionamento e avendo a disposizione solamente una riserva di emergenza di mille talenti, gli ateniesi furono costretti ad alzare drasticamente i tributi richiesti ai loro alleati, aumentando ulteriormente le tensioni con le altre città dell’Attica.
Nel frattempo, Corinto, Sparta e altri della Lega del Peloponneso mandarono rinforzi a Siracusa per scacciare definitivamente gli ateniesi, ma anziché ritirarsi, questi inviarono in Sicilia altre 300 navi e cinquemila soldati.
I Siracusani, guidati sempre da Gilippo, sconfissero di nuovo gli ateniesi in alcune battaglie campali e lo stesso Gilippo incoraggiò i siracusani a costruire una propria flotta, in grado di sconfiggere quella ateniese durante le operazioni di ritiro.
Gli ateniesi, in grave difficoltà, cercarono di trovare una via di fuga attraverso città siciliane alleate, ma l’esercito si frammentò in gruppi minori e sconfitto a più riprese. Per gli ateniesi fu una drammatica disfatta: la flotta fu distrutta e l’intero esercito venduto come schiavi.
Si diffuse presso tutta la Grecia l’idea che l’impero ateniese fosse vicino alla fine. Le finanze della città erano quasi vuote, i rapporti commerciali compromessi e molti giovani ateniesi erano morti o prigionieri in Terra straniera.
Il recupero di Atene e la riscossa di Alcibiade
Circondata da ogni parte, il colpo di grazia di Atene venne organizzato dagli Spartani, dai siracusani e persino dagli storici nemici degli ateniesi, i persiani. Tutti erano coalizzati contro di loro, sia direttamente, con l’invio di contingenti militari, che indirettamente, incitando le città stato della regione a ribellarsi contro l’odiato padrone.
Ma Atene si salvò.
Innanzitutto perché i loro nemici mancavano di iniziativa. Sia Corinto che Siracusa furono lente a trasportare le loro flotte presso il Mar Egeo, e anche gli alleati di Sparta mossero con eccessiva lentezza le truppe. Persino i Persiani furono tardivi nell’inviare i fondi e le navi da guerra promesse, deprimendo i piani di battaglia.
Nel frattempo, già dall’inizio della guerra, gli ateniesi avevano messo da parte del denaro e 100 navi che dovevano essere utilizzate solo come ultima risorsa. Queste navi costituirono il nucleo della flotta degli ateniesi per tutto il resto della guerra.
In questo periodo, ad Atene si verificò una rivoluzione oligarchica, in cui un gruppo di quattrocento aristocratici prese il potere e abolì la democrazia. Questa nuova oligarchia iniziò a lavorare per ottenere una pace con Sparta, ma la flotta ateniese, che faceva base sull’isola di Samo, rifiutò ogni compromesso.
Nel 411 a.C, la flotta, di propria iniziativa, ingaggiò gli Spartani nella battaglia di Syme. La flotta nominò Alcibiade come proprio capo e continuò la guerra in nome di Atene. Così, il comportamento autonomo della flotta militare portò al ripristino di un governo democratico ad Atene in poco meno di due anni.
Alcibiade, sebbene fosse stato condannato come traditore, aveva ancora un grosso peso, a cui si aggiunse un suo capolavoro politico: egli impedì alla flotta ateniese, che si considerava tradita dalla madrepatria, di attaccare la propria città, contribuendo invece al ripristino della democrazia attraverso fini manovre diplomatiche.
Infine, Alcibiade convinse la flotta ad attaccare gli Spartani nella battaglia di Cizico. Durante lo scontro gli ateniesi distrussero completamente la flotta spartana e riuscirono a ristabilire le basi finanziarie su cui si fondava l’impero ateniese.
Tra il 410 e 406 a.C, Atene aveva ottenuto una serie di nuove vittorie, recuperato ampie porzioni del proprio impero ed aveva evitato la disfatta. E tutto ciò era merito di Alcibiade.
La coalizione tra Spartani e Persiani e la rovina di Alcibiade
Un elemento fondamentale per comprendere la guerra del Peloponneso è il ruolo della Persia, o impero achemenide.
Sin dal 414 a.C, Dario II, sovrano dell’impero achemenide, era risentito dal crescente potere ateniese nella zona dell’Egeo. Egli strinse allora alleanza con Sparta contro Atene attraverso il suo Satrapo, Tissaferne, che entrò in contatto con Alcibiade ai tempi in cui era alleato degli spartani. Questo portò alla riconquista persiana della maggior parte della Ionia.
Tissaferne contribuì anche a finanziare la flotta del Peloponneso. Di fronte alla rinascita di Atene, nel 408 a.C, Dario II decise di continuare la guerra contro Atene e aumentare il sostegno agli Spartani. Inviò allora suo figlio, Ciro il Giovane, in Asia minore con il comando assoluto delle truppe persiane. Ciro si alleò allora con il generale Spartano Lisandro.
I due avevano interessi comuni: Ciro sapeva che alla morte di suo padre Dario avrebbe dovuto contendersi il potere in Persia con il fratello Artaserse II, e l’apporto degli spartani guidati da Lisandro gli sarebbe stato utilissimo. Lisandro, attraverso i finanziamenti di Dario, avrebbe invece potuto condurre la guerra contro gli ateniesi e diventare signore assoluto della Lega del Peloponneso.
Grazie a questo utilissimo accordo, Lisandro ottenne una prima vittoria nella battaglia navale di Nozio del 406 a.C. Il suo risultato arrivò sia grazie alle personali capacità di comando, ma anche per colpa di una straordinaria leggerezza da parte di Alcibiade.
Egli lasciò il controllo di una parte importante della flotta al suo aiutante Antioco, con il preciso ordine di non attaccare battaglia. Egli, credendo di trovarsi di fronte ad un’occasione fortunata, decise invece di attaccare gli Spartani, ottenendo una netta sconfitta. Seppure questa disfatta non fosse fondamentale ai fini della guerra, permise alla fazione politica ostile ad Alcibiade di screditarlo.
Alcibiade non fu rieletto generale dagli ateniesi e fu costretto all’esilio.
Con un ultimo sforzo, Atene affrontò nuovamente la flotta spartana presso la battaglia di Arginuse. Gli Spartani, guidati questa volta da Callicratìda, persero 70 navi mentre gli ateniesi solo 25. Ma a causa del maltempo, gli ateniesi non furono in grado di salvare i loro equipaggi naufragati né di annientare definitivamente la flotta spartana.
Così, nonostante una sostanziale vittoria, Atene fu sconvolta da un’ondata di indignazione per l’incapacità dei suoi generali e nacque un controverso processo, durante il quale furono condannati a morte sei dei massimi comandanti, in un clima di lotte intestine e di generale violazione delle normali procedure legali. La supremazia navale di Atene venne alla fine messa in crisi dalla mancanza dei suoi più abili capi militari e da una marina demoralizzata.
La sconfitta definitiva di Atene e il regime dei trenta tiranni
Lisandro, capì perfettamente che doveva approfittare della situazione. Atene era in gravissima difficoltà, e i buoni rapporti personali e l’alleanza con il principe persiano Ciro il giovane, gli avrebbero permesso di diventare signore assoluto del Peloponneso.
La flotta spartana salpò immediatamente verso i Dardanelli, la zona in cui veniva coltivata la maggior parte del grano che riforniva Atene. Gravemente minacciata, la flotta ateniese non ebbe altra scelta che affrontare l’avversario, seppur in una situazione di incomprensioni e di crisi.
Attraverso un’abile strategia, Lisandro sconfisse totalmente la flotta ateniese nel 405 a.C nella battaglia di Egospotami, distruggendo 168 navi. Solo dodici navi ateniesi si salvarono, fuggendo a Cipro.
Lisandro invase l’Attica e mise sotto assedio Atene, che di fronte alla fame e alle malattie si arrese nel 404 a.C. Presto tutti i suoi alleati capitolarono di fronte agli Spartani.
Solo gli alleati di Samo, fedeli fino all’ultimo, resistettero qualche mese fino a che vennero autorizzati a fuggire dagli stessi spartani.
La resa costrinse Atene a condizioni di pace durissime: doveva distruggere le proprie lunghe mura, gli fu fatto divieto di ricostruire la flotta e dovette rinunciare a tutti i suoi possedimenti d’oltremare.
Corinto e Tebe chiesero che Atene fosse rasa al suolo e che tutti i suoi cittadini fossero ridotti in schiavitù. Tuttavia, gli Spartani rifiutarono di distruggere una città che, nonostante nemica, aveva difeso tutta la zona della Grecia di fronte al pericolo persiano nei decenni precedenti.
Atene, secondo gli autori antichi “doveva avere gli stessi amici e nemici di Sparta.”
Le conseguenze della guerra del Peloponneso
L’effetto finale della guerra del Peloponneso fu la sostituzione dell’impero ateniese con l’impero spartano. Sparta rilevò tutti i territori che appartenevano gli ateniesi e mantennero le entrate e i tributi. Tuttavia, gli alleati di Sparta, che avevano fatto i maggiori sacrifici nel corso di tutta la guerra, non ottennero alcuna concessione.
Per un breve periodo, Atene venne governata dai 30 tiranni, un regime autoritario istituito da Sparta e governato dal severissimo Crizia. Atene, nonostante fosse un’ombra del suo passato, non poteva accettare la sua condizione, e nel 403 a.C gli oligarchi vennero rovesciati da una ribellione guidata da Trasibulo, fino alla restaurazione della democrazia.
Così, anche se la sua egemonia era ormai un ricordo, Atene recuperò la sua autonomia nel corso della guerra di Corinto, continuando a svolgere un ruolo attivo nella politica greca.
Sparta fu successivamente sconfitta da Tebe nella battaglia di Leuttra del 371 a.C.
Pochi decenni dopo, la rivalità tra Atene e Sparta terminò quando la Macedonia divenne l’entità più potente della Grecia tramite l’azione di Filippo II, che unificò tutto il mondo greco, tranne Sparta, la quale fu poi soggiogata dal figlio di Filippo, Alessandro Magno nel 331 a.C.
Atene e Sparta hanno firmato un simbolico trattato di pace, 2500 anni dopo la fine della guerra, il 12 marzo 1996.