La guerra civile tra Mario e Silla fu un conflitto armato che sconvolse la Repubblica Romana tra l’88 e l’82 a.C. Essa vide contrapporsi due fazioni: i populares, guidati da Gaio Mario, e gli optimates, guidati da Lucio Cornelio Silla. Le due fazioni si contendevano il controllo del potere politico e l’influenza sulla politica romana.
Durante la guerra si verificarono degli episodi passati alla storia come la marcia di Cornelio Silla su Roma. Dopo le campagne militari in Oriente di Silla per combattere contro Mitridate, sillani e mariani si scontrarono sul territorio italico.
Silla trionfò nella decisiva battaglia di Porta Collina dell’82 a.C e fu libero di organizzare una grande riforma dello stato romano.
Le origini della guerra civile tra Mario e Silla
L’origine della guerra civile tra Gaio Mario e Lucio Cornelio Silla risiede nella lotta tra la fazione aristocratica degli optimates e quella dei populares, che voleva difendere i diritti della plebe.
La società romana si trovava in serie difficoltà, soprattutto per via di un’emergenza sociale qual era la presenza di una grande massa di ex legionari, che avevano prestato servizio come soldati durante la seconda guerra punica, ma che ritornati nelle loro terre erano economicamente rovinati.
Lo scontro politico era diventato ormai insanaile e la violenza era stata sdoganata sin dall’omicidio dei fratelli Tiberio e Caio Gracco, entrambi tribuni della plebe che avevano cercato di far approvare delle leggi per la ridistribuzione delle terre, pesantemente osteggiati dalla fazione aristocratica.
Nel 132 a.C, Tiberio Gracco venne ucciso dai partigiani degli aristocratici nel cuore di Roma. Di lì a poco, nel 121 a.C, anche Caio Gracco si fece uccidere da uno schiavo per non cadere nelle mani dei nemici politici.
L’ascesa di Gaio Mario, leader dei populares
Gaio Mario, nato ad Arpino nel 157 a.C, era un “Homo Novus”, ovvero un personaggio la cui famiglia non aveva ricoperto cariche politiche rilevanti.
Si distinse durante l’assedio di Numanzia in Spagna e ottenne il favore di Publio Cornelio Scipione Emiliano, il quale appoggiò la sua elezione a tribuno militare.
Mario parteggiò immediatamente per la fazione dei populares, cercando di far approvare delle leggi contro la corruzione e i brogli elettorali. Si impegnò anche agli ordini di Quinto Cecilio Metello per combattere contro Giugurta, il re di Numidia, che si era ribellato all’autorità romana in Nord Africa.
Gaio Mario ottenne delle importanti vittorie contro Giugurta, facendolo retrocedere nelle sue roccaforti, anche se fu il suo pretore, Lucio Cornelio Silla, a convincere Bocco, re di Mauretania, a tradire Giugurta e a consegnarlo ai Romani.
Nonostante la maggior parte della popolazione romana aveva dato merito a Mario per quella vittoria, era stato Silla il vero risolutore della situazione e fu in quel momento storico che nacque la loro rivalità.
Il momento di maggior gloria di Gaio Mario furono certamente le campagne militari per contrastare le invasioni dei Cimbri e Teutoni, due grandi tribù germaniche che erano migrate dai loro territori di origine e si erano scontrate contro i generali romani.
Dopo le prime disastrose sconfitte romane avvenute a Noreia, Agen ed Arausio, Gaio Mario sconfisse i Teutoni nella battaglia di Acque Sextiae (102 a.C) e i Cimbri a Vercelli (101 a.C), nei pressi dei Campi Raudii, salvando Roma da una sicura invasione.
Gaio Mario, diventato l’uomo più popolare di Roma, fu anche l’autore di una fondamentale riforma dell’esercito che, avendo sempre maggior bisogno di nuove reclute, apriva le sue porte anche ai cittadini nullatenenti, trasformandoli in soldati di professione.
Nonostante la sua riforma risolse completamente il problema dell’arruolamento, rendendo l’esercito romano una macchina quasi perfetta, i soldati iniziarono ad essere più fedeli al generale che poteva garantire loro bottino e terre che al Senato romano.
Senza che Mario potesse sospettarlo, la sua riforma aveva trasformato l’esercito romano nel braccio armato della guerra civile.
L’ascesa di Lucio Cornelio Silla, leader degli Optimates
Lucio Cornelio Silla nacque nel 138 a.C a Roma. Fu presente al comando di Quinto Cecilio Metello, a fianco di Gaio Mario, nella guerra contro Giugurta, ottenendo la consegna di quest’ultimo alle autorità romane.
Servì come generale, sempre assieme a Gaio Mario e Lutazio Catulo, anche nella già citata battaglia di Vercelli contro i Cimbri.
Silla fu anche protagonista di un incontro diplomatico con i Parti; i Romani e l’Impero dei Parti avevano avuto delle prime relazioni amichevoli, ma c’era bisogno di ratificare in maniera ufficiale il confine tra le due grandi potenze.
Silla venne messo a capo della spedizione diplomatica che doveva stabilire sul fiume Eufrate il confine. In quell’occasione, Silla si incontrò con Orobazo, ambasciatore del re dei Parti, e con Ariobarzane, re di Cappadocia, stabilendo la propria autorità sui territori.
Ma il vero trionfo di Lucio Cornelio Silla avvenne in occasione della “Guerra sociale” (91 – 88 a.C), quando gli alleati italici, che collaboravano con la potenza di Roma ma non avevano sufficienti diritti né potevano votare, si ribellarono, causando una guerra su tutto il territorio italico.
Silla, posto dagli ottimati a capo degli eserciti, si dimostrò il miglior generale sul campo, in grado non solo di superare e vincere le forze dei soldati italici, ma oscurando le capacità e la gloria di Gaio Mario.
La lotta per la missione contro Mitridate
I rapporti tra Gaio Mario e Cornelio Silla erano ormai sempre più tesi ed ognuna delle due fazioni, gli ottimati e i popolari, si aspettava che il loro leader eliminasse l’altro.
L’occasione del primo scontro tra i due avvenne per colpa di un grave problema che affliggeva le province orientali della repubblica. L’elevata ed eccessiva tassazione dei romani in oriente aveva provocato un forte malcontento nella popolazione.
Di questa situazione di debolezza aveva approfittato Mitridate VI, il Re del Ponto, che sognava di ricostruire la gloria del suo antico impero. Mitridate iniziò ad attaccare i possedimenti romani e il suo esercito in poco tempo fece partire una vera e propria caccia all’uomo: tutti i cittadini romani, i loro alleati e anche coloro che parlavano vagamente latino vennero massacrati.
80.000 persone vennero brutalmente trucidate in quelli che sono passati alla storia come “Vespri asiatici”.
Roma non poteva rimanere ferma ed era necessario organizzare al più presto una campagna militare per sconfiggere Mitridate VI.
In quel momento Silla era console e dunque legittimo incaricato della campagna. Ma Mario non poteva accettare che il suo principale nemico politico potesse conquistare tanta gloria e convinse il tribuno della plebe, Sulpicio Rufo, a far approvare una serie di leggi in favore dei populares.
Uno degli effetti di queste nuove leggi sarebbe stata una votazione che avrebbe certamente assegnato il comando della missione militare contro Mitridate a Mario piuttosto che a Silla, il quale si trovava già a Nola ad organizzare la spedizione.
Due tribuni vennero incaricati di presentarsi di fronte all’esercito di Silla per imporgli il ritorno a Roma. Ma questi vennero uccisi e Silla si ritrovò nella condizione di dover forzare la mano.
Consapevole degli effetti della riforma di Mario, parlò ai suoi soldati, facendogli capire che era necessario marciare su Roma e riprendere il controllo politico. Solamente gli ufficiali si rifiutarono di eseguire un ordine tanto spericolato, mentre i legionari, ai quali Silla poteva garantire il futuro, decisero di seguirlo.
La marcia su Roma di Silla
Con sei legioni, Silla si mosse contro Roma, compiendo un’azione che passò alla storia. Egli oltrepassò il confine sacro del pomerium, che nessuno poteva superare in armi.
Il Senato, paralizzato dalla paura, inviò dei messaggeri per cercare di comprendere le reali intenzioni di Silla. Questi rispose che si stava semplicemente occupando di “liberare la città dai tiranni”, definendo la sua marcia un intervento di “ordine pubblico”.
Silla occupò Roma mentre i cittadini, osservando quell’azione con estrema preoccupazione, lanciavano oggetti contro i soldati che perlustravano la città.
Il primo provvedimento di Silla fu quello di rimuovere Mario dal comando della missione militare in Asia, annullando le leggi del tribuno della plebe Sulpicio Rufo.
Mario fu costretto a fuggire per la sua salvezza e si rifugiò dapprima nella città di Minturnae, dove alcuni, ritenendolo finito sia militarmente che politicamente, decisero di affidare a un guerriero dei Cimbri il compito di ucciderlo. Per sua fortuna, il guerriero Cimbro non ebbe la forza di uccidere un uomo così carismatico e Mario venne aiutato dalla popolazione di Minturnae a scappare in Africa.
Nonostante la sua azione violenta e fuorilegge, Silla decise di rispettare le istituzioni della Repubblica, dando il via a delle libere elezioni per la nomina di nuovi consoli, che vennero vinte da Cornelio Cinna, leader dei Populares e braccio destro di Gaio Mario, e da Gneo Ottavio, che si era dimostrato imparziale.
Dopodiché, riconsegnò Roma al governo del Senato e, con i suoi soldati, si diresse in Oriente per combattere contro Mitridate.
Silla in Oriente e le violenze dei Populares a Roma
Silla dimostrò la potenza del suo esercito contro Mitridate ottenendo straordinarie vittorie. Innanzitutto, attaccò la città di Atene, colpevole di essersi schierata dalla parte di Mitridate e di avergli fornito supporto militare.
L’azione di Silla contro Atene fu eccezionalmente violenta: la città fu quasi completamente distrutta insieme al Pireo, il suo porto. Successivamente, il suo esercito ottenne una grande vittoria nelle battaglie di Cheronea e di Orcomeno (entrambe combattute nell’86 a.C), sgominando i principali generali di Mitridate, fra cui Archelao, che fu costretto a rinunciare per sempre ai suoi sogni di dominio sull’Oriente romano.
Nel frattempo, a Roma, i Populares ritornarono al potere. Cinna organizzò un esercito in Campania e Mario ritornò dall’Africa assieme al suo contingente militare. Ottavio, che in seguito si schierò dalla parte dei sostenitori di Silla, divenne il principale nemico di Cinna, ma risultò sostanzialmente impotente di fronte alla sua superiorità militare.
Ne seguirono violente repressioni anti-sillane: tutti i principali leader della fazione di Silla vennero brutalmente uccisi e trascinati per le strade di Roma, che si riempì di violenza e conobbe momenti estremamente atroci, mentre la popolazione viveva nel terrore.
La situazione subì però una svolta con la morte di Gaio Mario, ormai 71enne, nell’86 a.C. Cinna rimase console per i due anni successivi, ma una volta che Silla terminò le proprie campagne militari in Oriente, fu pronto a ritornare a Roma.
E la guerra civile si intensificò più che mai.
Lo sbarco di Silla in Apulia
Lucio Cornelio Cinna e Papirio Carbone, i due generali che guidavano l’esercito dei Populares, radunarono i loro uomini nei pressi della città di Ancona. Non conosciamo esattamente le motivazioni, ma Cinna stabilì evidentemente un cattivo rapporto con i soldati tanto da essere ucciso dai suoi stessi legionari, mentre Carbone fu costretto a scappare.
Nel frattempo Silla si dimostrò molto più organizzato. Partì dalla città di Efeso con il suo esercito e raggiunse in pochi giorni il Pireo, il porto della città di Atene, spostandosi poi ad Atene stessa nell’arco delle poche settimane successive.
Eseguì un efficiente arruolamento di nuovi soldati fino ad costituire cinque legioni a pieni ranghi: si recò così presso la città di Durazzo da dove salpò verso Brindisi con 1200 navi da guerra.
La situazione strategica degli ottimati e dei popolari era molto diversa. Mentre a Roma, il cui Senato era dominato ancora dai mariani, Silla era stato dichiarato nemico pubblico, le fonti antiche riferiscono che i popolari potevano contare su 15 generali e 450 coorti pronti a combattere.
Tuttavia questi contingenti erano abbastanza disorganizzati e molto spesso guidati da generali che avevano opinioni contrastanti. Comunque, il quartier generale dei popolari venne attestato presso la città di Rimini.
Nel frattempo Silla era sbarcato a Brindisi con i suoi 40.000 soldati. Da un lato si trattava di uomini veterani che lo avrebbero seguito con estrema fiducia, dall’altro il suo percorso nel territorio italico sarebbe stato particolarmente pericoloso: gli italici avrebbero quasi certamente appoggiato i popolari che potevano garantirgli la cittadinanza, mentre Silla, intransigente aristocratico, sarebbe stato visto con sospetto.
Complice la loro disorganizzazione, le forze popolari non posizionarono nè inviarono nessun contingente per la protezione della Puglia, che venne conquistata da Silla senza nemmeno combattere.
Il leader degli ottimati decise quindi di muoversi verso la Campania, mandando messaggi per rassicurare gli italici e garantendogli che gli avrebbe fornito non solo vicinanza e appoggio politico, ma che gli avrebbe concesso la cittadinanza a cui agognavano da tempo.
L’accorta marcia di Silla ottenne i primi successi: diversi generali decisero di unirsi al suo esercito, tra cui Metello Pio, che veniva dalla Liguria, Marco Licinio Crasso dall’Africa, diversi generali mariani che decisero di cambiare schieramento e soprattutto il giovane generale Gneo Pompeo che, originario del Piceno, reclutò da solo tre legioni a pieni ranghi, sconfisse il generale popolare Damasippo e si presentò trionfante a Silla.
Le battaglie del Monte Tifata e di Teano
Gli scontri decisivi della prima fase delle guerre civili tra Mario e Silla si verificarono nella regione della Campania. La prima battaglia, quella del Monte Tifata (83 a.C), avvenne tra le forze di Silla e quelle del generale popolare Norbano. Silla si dimostrò nettamente superiore rispetto all’avversario, costringendo Norbano a scappare e a rifugiarsi nella città di Capua, che venne immediatamente posta sotto assedio dai Sillani.
Diversa fu la situazione vicino a Teano (83 a.C). Silla dovette affrontare Cornelio Scipione, altro generale popolare. Silla decise di intavolare delle trattative per risolvere il conflitto senza l’utilizzo della forza. Durante i delicati incontri diplomatici, però, i legionari Mariani e Sillani iniziarono a fraternizzare, fino a che Silla riuscì a convincere quasi tutte le forze di Scipione a cambiare schieramento e ad unirsi alle sue file.
Scipione fu costretto a scappare e Silla aveva vinto senza nemmeno combattere.
Gli scontri finali e la battaglia di Porta Collina
Nonostante le due vittorie, Silla era consapevole che i popolari avevano ancora un grande quantitativo di forze militari.
Silla decise allora di dividere il suo esercito in due linee di attacco: la prima, guidata da Metello Pio e Gneo Pompeo si sarebbe diretta verso nord per conquistare l’Etruria e la Gallia Cisalpina, nelle mani delle forze popolari.
Silla in persona avrebbe marciato attraverso la Campania per attaccare Roma da sud.
La risposta dei popolari fu quella di dividere l’esercito. Papirio Carbone cercò di intercettare l’esercito sillano guidato da Pompeo nella zona dell’Etruria, ma inferiore, sia numericamente che come capacità sul campo di battaglia, preferì rinchiudersi nella città etrusca di Chiusi, dove venne immediatamente assediato.
Anche Mario il Giovane, figlio di Gaio Mario, cercò di intercettare la marcia di Silla, ma anche lui fu costretto a rinchiudersi presso la città di Preneste, a sud-est di Roma, assediato dai sillani.
Le forze popolari avevano quindi compiuto il loro più grande errore: quello di dividere i contingenti militari.
Carbone e Mario Giovane cercarono di aiutarsi l’un l’altro, ma le forze sillane furono in grado di intercettare i loro movimenti.
Dopo una serie di vittorie sillane si giunse allo scontro decisivo che avvenne il 1 novembre dell’82 a.C. Protagonista di questo scontro, tuttavia, non fu né Carbone né Mario Giovane, ma un capo della popolazione dei Sanniti, che sin dai tempi della guerra sociale desiderava l’indipendenza da Roma e vedeva in Silla il peggiore nemico.
Si chiamava Ponzio Telesino, al comando di un esercito misto Lucano-Sannita.
Inizialmente Telesino cercò di liberare la città di Preneste dalle forze sillane ma, sconfitto, decise di cambiare la sua strategia. Abbandonò i combattimenti per Preneste e decise di attaccare direttamente Roma attraverso la via latina, che congiungeva Capua alla capitale, la quale era rimasta con pochissime forze sillane a difenderla.
Telesino si accampò a pochi chilometri a nord-est di Roma presso Porta Collina. Roma precipitò nel terrore: Telesino aveva promesso che l’avrebbe rasa letteralmente al suolo, dicendo, riportano le fonti antiche, che era necessario “stanare dai boschi i lupi romani” per riconquistare l’indipendenza dei popoli italici.
Silla dovette immediatamente abbandonare Preneste per correre in soccorso di Roma, costringendo i suoi soldati a delle estenuanti marce. Contrariamente ai consigli dei suoi generali, che gli suggerivano di far ripostare gli uomini, Silla decise di attaccare subito Telesino.
Fuori dalle mura della capitale si tenne l’ultimo grande scontro tra Ponzio Telesino e Lucio Cornelio Silla.
Inizialmente la battaglia stava volgendo a favore di Telesino, che stava per sfondare il lato sinistro dell’esercito sillano. Comandando personalmente i soldati, Telesino era capace di infondere in loro una grande forza e vitalità.
Ad alcune ore dall’inizio della battaglia, il lato sinistro sillano stava per essere annientato quando Silla, incoraggiando e anche minacciando i suoi uomini, decise di far chiudere le porte di Roma per dimostrare ai suoi legionari che non avrebbero avuto via di scampo.
Così, Silla riuscì a salvare le sorti del lato sinistro dello schieramento che si ricomposero e ripresero il combattimento in maniera ordinata. Nel frattempo, sul lato destro, Licinio Crasso ottenne una netta vittoria contro i Sanniti, costretti a scappare nella vicina città di Antemnae.
La vittoria di Silla nella guerra civile
Lucio Cornelio Silla aveva vinto la guerra civile ed era diventato l’assoluto dominatore di Roma.
Pochi giorni dopo convocò i senatori nel campo di Marte, dove cercò di spiegare i motivi che lo avevano portato ad agire con la forza. Proprio durante quel discorso, lì vicino, si iniziarono ad udire delle orribili grida. Si trattava di 3.000 prigionieri sanniti che venivano orribilmente uccisi per ordine di Silla. Di fronte allo sguardo attonito dei senatori, Silla disse che si trattava semplicemente di criminali che venivano puniti e che non bisognava preoccuparsi più di tanto.
Famose e passate alla storia sono le liste di proscrizione sillane, un elenco di nemici politici, tutti populares, che potevano essere liberamente uccisi da chiunque. In questo caso l’assassino non solo non avrebbe avuto ripercussioni penali ma avrebbe anche intascato la metà dei beni patrimoniali del proscritto, mentre l’altra metà sarebbe finita nelle casse del Senato.
Silla fu autore di una importante riforma dello Stato che aumentò il numero dei senatori da 300 a 600 e concentrò tutti i poteri nelle mani del Senato.
Silla tolse effettivo potere al ruolo dei tribuni della plebe, la cui elezione doveva essere puntualmente approvata dai senatori, svuotando di ogni significato quella carica.
Inoltre, nel tentativo di evitare che il potere potesse essere accentrato nelle mani delle stesse persone, fece promulgare delle nuove leggi per cui qualsiasi magistrato avrebbe dovuto aspettare almeno dieci anni prima di poter ricoprire la stessa carica pubblica.