La cavalleria romana. I cavalieri nell’antica Roma

La cavalleria Romana era un importante elemento tattico da impiegare durante una battaglia.

Nonostante l’esercito romano avesse nella fanteria il suo pilastro, la cavalleria era in grado di fornire una copertura estremamente utile sui fianchi degli eserciti e poteva essere utilizzata come tattica d’urto per scompaginare la fanteria avversaria, per compiere accerchiamenti o inseguire il nemico durante la confusione della ritirata.

Per questo motivo, molte delle battaglie dell’epoca romana furono vinte o perse a seconda delle prestazioni dei soldati a cavallo. Sempre più impiegati nel corso dei secoli, i cavalieri si diversificarono e si svilupparono diversi tipi di cavalleria.

Breve storia della cavalleria romana

La primissima unità di cavalleria romana fu costituita da figure simil-leggendarie chiamate “trossoli“. Si trattava di un corpo di cavalieri formato da 300 uomini, costituiti direttamente dai Re di Roma nelle primissime legioni cittadine.

Il loro numero aumentò progressivamente fino a 600. Erano dotati di lance e i cavalli erano decorati e protetti da dischi di argento chiamati “Falere”.

Il Sesto Re di Roma, Servio Tullio (578 -535 a.C.), aumentò ulteriormente il corpo di cavalleria portandolo a 1800 membri.

Si trattava di soldati scelti che avevano diritto di voto nelle assemblee cittadine. Il loro cavallo e l’equipaggiamento erano forniti direttamente dallo Stato e godevano di uno status civico piuttosto elevato.

Intorno al 400 a.C, la cavalleria fu ulteriormente ampliata grazie a cavalieri che acquistavano il cavallo di tasca propria, si chiamavano “Equites Privati”, anche se non godevano degli stessi privilegi degli equites più anziani.

Nonostante questo, i membri della cavalleria ricevevano mediamente una retribuzione più alta rispetto alla fanteria. Sebbene il corpo degli equites fosse fondamentale per l’esercito, nel II secolo a.C la cavalleria italica fu gradualmente sostituita da ausiliari stranieri.

Nel I secolo a.C, ormai, erano prevalentemente gli alleati a fornire forze di cavalleria quando necessario.

Erano classificati come “Auxilia“, e formavano le cosiddette “Ali di cavalleria”. Erano fondamentalmente di due dimensioni: La “Quigenaria“, con 512 uomini, e la “Miliaria” con 768 membri.

Una truppa di cavalleria, la cosiddetta “Turma“, era composta da 30 uomini con due ufficiali e comandata da un “Decurio” ma esistevano anche coorti miste di fanteria e cavalleria chiamate “Coorti Equitate”.

In realtà, le turme di cavalleria potevano essere modificate a seconda delle esigenze, del nemico e del terreno dello scontro. Conosciamo ad esempio una Turma posizionata in Siria nel III secolo d.C che era composta da alcuni membri di cavalleria e altri cavalieri a cammello.

Il comando di queste unità rimase quasi sempre nelle mani degli ufficiali romani, con il titolo di “Praefecti“, ma nel corso dei secoli la differenza tra ausiliari e legionari regolari divenne sempre meno marcata.

La cavalleria aumentò progressivamente di importanza addentrandosi nei secoli. Specialmente nel tardo impero, quando divenne necessario pattugliare con efficacia i popoli di frontiera, sempre più irrequieti, con una maggiore mobilità delle truppe.

Dai tempi del regno di Diocleziano in poi, la cavalleria costituiva forse un terzo dell’esercito romano, ed era organizzata in unità di 500 cavalieri noti come “Vexillationes“, che controllavano le frontiere settentrionali. Tuttavia, dal V secolo d.C., il dominio militare romano iniziò a incrinarsi e l’impero subì diversi attacchi particolarmente dannosi.


In questa fase della sua storia, i romani subivano l’effetto degli arcieri di cavalleria armati alla leggera degli Unni che permisero al loro capo, Attila, di saccheggiare diverse città romane. L’uso della cavalleria sopravvisse tuttavia alla caduta dell’Impero romano, e divenne un elemento importante degli eserciti Bizantini e medievali.

Il cavallo

I romani ereditarono la conoscenza dei cavalli dai greci, ma ben presto elaborarono una serie di competenze nuove nella gestione della cavalleria, con più efficaci metodi di addestramento e attrezzature più resistenti, oltre a pratiche veterinarie che consentivano di allungare la vita degli animali.

I più apprezzati stalloni provenivano dalla Partia, Persia, Armenia, Cappadocia, Spagna e Libia. I cavalli erano selezionati dagli esperti non solo in base alla loro grandezza e prestanza fisica, ma anche a seconda del loro temperamento, alla resistenza agli ambienti estremi e alla capacità di sopportare la fame.

Venivano nutriti generalmente con l’orzo: secondo Polibio, un cavallo ne mangiava circa 1kg e mezzo al giorno.

Cavalli e cavalieri si addestravano insieme, in recinti appositamente costruiti e abbastanza lontani dai centri abitati. Si passava a lunghe marce e all’insegnamento di manovre come cariche e contro-cariche, su una vasta gamma di terreni diversi. Vi erano addirittura dei tornei, che permettevano ai cavalieri di divertirsi e di perfezionare le abilità alla guida.

L’addestramento assicurava che i cavalli fossero in grado di raggrupparsi facilmente, di non essere spaventati dall’utilizzo delle armi e dai rumori della battaglia e nemmeno dalla presenza di altri animali come gli elefanti, che il nemico avrebbe potuto schierare.

Per controllare meglio il cavallo, i cavalieri utilizzavano dei morsi che erano posti direttamente nella bocca del cavallo e collegati attraverso delle redini alle mani del cavaliere.

In questo modo, bastavano dei piccoli strattoni per ottenere una risposta immediata dell’animale, e vi sono ampie prove archeologiche che i cavalieri indossassero degli speroni per incitare l’andamento del cavallo.



I cavalli potevano essere muniti di una piccola museruola per evitare che si mordessero l’uno con l’altro quando erano in formazione ravvicinata. La sella romana, invece, era costituita da legno rivestito in pelle e aveva due corna anteriori e due posteriori, per mantenere il cavaliere in posizione, elemento particolarmente importante in un mondo in cui non erano state ancora inventate le staffe.

All’occorrenza, a questi corni si potevano appendere parti dell’equipaggiamento di un cavaliere, alleggerendolo notevolmente.

Nonostante le cure a cui erano sottoposti, i cavalli incorrevano spesso in problemi di salute: la più comune era certamente la zoppìa, in gran parte dovuta al fatto che i cavalli non erano ferrati, come accade invece ai giorni nostri.

Ma forse più dei colpi delle armi, erano pericolose le infezioni, che facevano ammalare l’animale in maniera, il più delle volte, irrimediabile.

Armi e armature del cavaliere romano

Sebbene le armi potessero dipendere da tanti fattori diversi e cambiare a seconda delle circostanze, la cavalleria romana standard indossava armature di maglia o a scaglie e portava uno scudo esagonale, piatto o curvo, ovale, rotondo o anche allungato, impreziosito da piccoli disegni beneauguranti.

I cavalieri indossavano un elmo simile a quello della fanteria, ma normalmente questi erano dotati di una protezione extra per le orecchie ed erano più decorati.

Le armi includevano una spada lunga, detta “Spatha” che poteva arrivare fino a 90 cm, o lance corte. I cavalieri potevano anche trasportare delle armi aggiuntive, come asce e mazze chiodate.

La dotazione della cavalleria tuttavia, poteva variare notevolmente. Alcuni potevano essere dotati di una lunga lancia che poteva essere scagliata all’occorrenza, mentre altri indossavano una armatura più leggera e bersagliavano il nemico con arco e frecce.


Diversa era la cavalleria pesante, costituita dai cosiddetti “catafratti”: sia il cavaliere che il cavallo indossavano armature metalliche utilizzate specialmente nelle province orientali.

Dal II al V secolo d.C., l’armatura era composta da un doppio strato di lino con scaglie di rame o ferro cucito. Il cavallo era così protetto sia sui fianchi che sul collo, ma anche la testa, il petto e le gambe erano ricoperti da una armatura in metallo o in pelle.

Il Cavaliere indossava un’armatura articolata per proteggere la schiena e il torace e spesso una maschera di metallo e protezioni ulteriori per le cosce e gli stinchi. La sua arma era il “Contus“, una lancia pesante di 3 metri e mezzo di lunghezza che richiedeva addirittura due mani per essere impugnata efficacemente.

Si trattava di una dotazione estremamente pesante, tanto che i cavalieri corazzati si guadagnarono il soprannome di “Clibanarii” che significa “uomini da forno”, facendo riferimento all’enorme calore che dovevano sopportare.

L’utilizzo della cavalleria In battaglia

I Romani impararono dall’esperienza greca, ma spesso furono surclassati da altri popoli, specialmente nel primo periodo della Repubblica e in particolare dai cartaginesi.

Ad esempio, la cavalleria numidica di Annibale contribuì ad infliggere una clamorosa sconfitta ai romani nella Battaglia della Trebbia nel 218 a.C e di nuovo al lago Trasimeno nel 219 a.C.

Asdrubale, al comando di 10.000 cavalieri celtici assieme ai 40.000 di Annibale affrontò i 6000 cavalieri e gli 80.000 fanti di Roma nella battaglia di Canne nel 216 a.C, e ottenne un successo incredibile.

Secondo Polibio, a Canne la forza di cavalleria romana fu ridotta a soli 370 sopravvissuti.

I Romani, però, migliorarono enormemente l’utilizzo della cavalleria, tanto da vincere contro lo stesso Annibale nella battaglia di Zama nel 202 a.C, anche se in quell’occasione l’utilizzo della cavalleria numidica dell’alleato Massinissa si rivelò fondamentale.

Nonostante la sconfitta subita da Marco Licinio Crasso per mano dell’abile cavalleria dei parti a Carre nel 53 a.C, la cavalleria continuò a svolgere un importante ruolo come parte dell’esercito di Giulio Cesare nelle guerre galliche.

Cesare reclutò cavalieri da ogni luogo, persino dalle stesse tribù galliche che erano passate dalla sua parte. Migliorò anche le armi, adottando delle lance con una punta su ciascuna estremità e aumentando la dimensione degli scudi dei suoi cavalieri.

La cavalleria era tipicamente schierata sui fianchi, disposta nelle loro “Turme” in tre ranghi e utilizzata per proteggere e schermare i fianchi della fanteria nelle fasi iniziali della battaglia.

Solitamente era progettata per combattere direttamente contro la cavalleria dei nemici, e in caso di vittoria, i cavalieri avevano la possibilità di attaccare lo schieramento avversario sui fianchi e sul retro, causando il suo collasso.

I cavalieri, sia in posizione che durante un attacco, si disponevano in una formazione a scaglioni, dove ogni cavallo tendeva ad essere protetto dallo scudo del cavaliere di fronte.

Nelle fasi finali della battaglia la cavalleria era in grado di inseguire e annientare l’esercito nemico in ritirata. Le manovre di battaglia erano orchestrate da alfieri e trombettieri, che tramite suoni codificati, trasmettevano gli ordini del generale.

Articolo originale: Roman Cavalry di Mark Cartwright (World History Encyclopedia, CC BY-NC-SA), tradotto da Federico Gueli.