La battaglia di Okinawa. La strenua resistenza giapponese agli USA

La battaglia di Okinawa fu un’importante battaglia della Seconda Guerra Mondiale che si svolse sull’isola giapponese di Okinawa, dal 1° aprile al 22 giugno 1945. La battaglia vide opposti l’Impero giapponese e le forze alleate, principalmente gli Stati Uniti.

La battaglia di Okinawa fu l’ultima grande battaglia terrestre della guerra nel Pacifico e fu caratterizzata da una forte resistenza giapponese. Fu anche uno dei conflitti più sanguinosi della guerra, con un elevato numero di vittime tra le forze alleate e i civili okinawensi.

Alla fine, le forze alleate riuscirono a conquistare l’isola, ma a un costo molto elevato. La battaglia di Okinawa fu un fattore importante che portò alla decisione degli Stati Uniti di utilizzare la bomba atomica contro il Giappone per porre fine alla guerra.

Progettazione e operazioni preliminari

Mentre la spedizione su Iwo Jima si avvicinava alla fine nel marzo 1945, i comandanti statunitensi dispiegarono potenti forze terresti, aeree e navali in preparazione dell’operazione Iceberg, che prevedeva l’invasione di Okinawa.

L’isola, che misura circa 60 miglia (circa 100 km) di lunghezza e non più di 20 miglia (32 km) di larghezza nel suo punto più ampio, era stata completamente fortificata da una guarnigione giapponese di circa 100.000 uomini sotto il comando del tenente gen. Ushijima Mitsuru.

Prevedendo che la battaglia per Okinawa avrebbe molto probabilmente superato le pesanti perdite avvenute a Iwo Jima, i generali americani speravano di sopraffare i giapponesi con un massiccio bombardamento iniziale e con il più grande sbarco anfibio effettuato dagli Stati Uniti durante la Guerra del Pacifico.

I bombardamenti aerei e navali che precedettero l’invasione erano iniziati già nell’ottobre 1944 e le operazioni aeree alleate effettuate nel marzo 1945 dalla flotta di portaerei Task Force 58 sotto il comando di Marc Mitscher, avevano già distrutto centinaia di aerei giapponesi.

Sebbene queste perdite ridussero la capacità dei difensori giapponesi di confrontare gli americani nei cieli di Okinawa, i giapponesi mantennero una forza aerea sufficiente per organizzare devastanti attacchi suicidi contro le unità navali alleate.

Il 26 marzo gli americani cercarono di reagire effettuando uno sbarco sulle isole Kerama, dove erano state assemblate circa 350 piccole imbarcazioni giapponesi per eseguire attacchi suicidi. Un altro sbarco preparatorio fu effettuato su Keise, un insieme di isolotti corallini a sole 11 miglia (18 km) a sud-ovest delle principali spiagge dove sarebbe avvenuta l’invasione. Da Keise, le batterie di artiglieria americane Long Tom da 155 mm avrebbero potuto fornire supporto alle truppe di invasione.

L’invasione di Okinawa

Nei giorni finali di marzo, le avanguardie americane di demolizione subacquea e i dragamine rimossero gli ostacoli dalle spiagge per permettere lo sbarco. L’operazione venne guidata dall’Ammiraglio Chester Nimitz, comandante della quinta flotta, dall’Ammiraglio Raymond Spruance, supervisore degli sbarchi e dal Tenente. Simon Bolivar Buckner, Jr., capo delle truppe di terra statunitensi.

L’invasione iniziò il 1 aprile 1945, quando un contingente di truppe di terra statunitensi sbarcò a Hagushi, sulla costa occidentale del centro di Okinawa. Prima del tramonto, circa 50.000 uomini della 10a armata statunitense, sotto il comando di Buckner, erano sbarcati e avevano stabilito una testa di ponte lunga circa 5 miglia (8 km).

Entro il 4 aprile, le truppe e i marines dell’esercito americano avevano diviso l’isola in due. Il primo grande contrattacco giapponese avvenne il 6-7 aprile sotto forma di attacchi suicidi da parte di oltre 350 aerei kamikaze e della corazzata Yamato.

I giapponesi speravano che la Yamato potesse distruggere la flotta americana dopo che questa era stata indebolita dall’onda di kamikaze, ma, senza copertura aerea, la corazzata nipponica era facile preda degli aerei USA, che affondarono la Yamato.

L’affondamento della corazzata giapponese, avvenuto il 7 aprile, segnò definitivamente la fine dell’era delle corazzate ultra-armate della guerra navale. Complessivamente, si erano infatti rivelate ben più efficaci le armi giapponesi “Baka”, un missile da crociera pilotato, che fece il suo debutto proprio a Okinawa.

I missili Baka fecero la loro prima vittima, affondando il cacciatorpediniere USS Abele, nei mari al largo di Okinawa il 12 aprile.

I membri della decima armata si mossero lentamente verso nord e avevano pacificato quasi completamente i due terzi settentrionali dell’isola entro il 22 aprile.

Durante questo periodo, le forze statunitensi subirono probabilmente la loro più importante perdita durante la battaglia, quando il giornalista Ernie Pyle fu ucciso in azione. Pyle, che aveva documentato il conflitto in Europa e si era guadagnato la stima come uno dei corrispondenti di guerra più amati della Seconda Guerra Mondiale, aveva seguito la 77° divisione di fanteria durante un attacco a “Ie”, un’isola a ovest di Okinawa. L’18 aprile, mentre si stava dirigendo verso un centro di comando avanzato, Pyle fu mortalmente ferito dal fuoco di una mitragliatrice giapponese.

Il crollo della resistenza giapponese

Le forze della decima Armata, che erano avanzate verso sud e raggiunto i principali centri abitati di Naha e Shuri, incontrarono una resistenza estremamente feroce.

Come a Iwo Jima, i giapponesi combatterono con una grande determinazione e riuscirono a infliggere pesanti perdite agli americani. La guarnigione giapponese che difendeva l’area di Naha-Shuri contava circa 60.000 uomini e, dal 1 maggio, queste truppe furono confinate in un’area di circa 90 miglia quadrate (circa 230 km quadrati) all’estremità meridionale dell’isola.

Il combattimento in questo settore era caratterizzato da una guerra di posizione; entrambe le parti si muovevano per linee fisse e i difensori avevano il chiaro vantaggio di combattere da posizioni ben protette. I giapponesi fecero ampio uso delle grotte di Okinawa, che offrivano un ottimo riparo contro i bombardamenti americani.

Da un punto di vista tattico, gli americani si basavano molto sulla superiorità quantitativa e qualitativa del loro equipaggiamento. Di giorno, eseguivano attacchi frontali alle posizioni nemiche con il supporto di pesante artiglieria. I carri armati lanciafiamme guidavano i fanti contro le caverne giapponesi, che dovevano essere distrutte una per una.

Di notte, le attività di terra erano limitate a operazioni di pattugliamento e bombardamenti di artiglieria. Poiché i giapponesi non facevano prigionieri né generalmente si arrendevano, i combattimenti ravvicinati su Okinawa furono brutali e condotti fino alla morte.

La durezza della campagna si espresse al massimo durante i combattimenti per la conquista della “Chocolate Drop Hill”, una collina fortificata giapponese che difendeva gli accessi a Shuri.

Le truppe americane tentarono di conquistare la base di questa collina di 40 metri per tre volte in cinque giorni ma furono puntualmente respinte. In sei ore, cannoni navali e terrestri spararono 30.000 proiettili sulla collina, mentre i bombardieri la colpirono con tonnellate di esplosivi ad alto potenziale.

Tutti gli sforzi per eliminare i giapponesi furono inutili e le truppe di terra dovettero demolire ogni singola fortificazione nipponica, un’operazione noiosa, costosa e pericolosa. Solo da un lato della collina, infatti, i giapponesi avevano costruito circa 500 ingressi per le loro postazioni sotterranee e per chiudere questi accessi dovevano essere usate ogni volta diverse cariche di dinamite.

Infine, le forze statunitensi conquistarono la collina il 16 maggio.

La linea di difesa giapponese, pesantemente fortificata, si estendeva da Naha sulla costa occidentale fino a Yonabaru sulla costa orientale, passando per Shuri. Molti attacchi delle forze americane erano stati respinti, ma il 12 maggio le truppe USA riuscirono ad entrare nei sobborghi di Naha e a combattere casa per casa.

Ancora più intensa fu la battaglia per Shuri, che rappresentava una chiave importante nelle difese giapponesi. Shuri cadde il 1 giugno, e il 6 giugno gli americani conquistarono l’aeroporto di Naha.

Nonostante la rottura della principale linea difensiva giapponese, l’opposizione non accennava a diminuire e i difensori continuarono a combattere con tenacia. Tuttavia, la forza militare giapponese si stava esaurendo rapidamente e a metà giugno la maggior parte della guarnigione era stata uccisa in azione.

Le principali operazioni di combattimento si sono concluse il 21 giugno.

Analisi della battaglia di Okinawa

In ultima analisi, la caduta di Okinawa è stata determinata dal fatto che i giapponesi non avevano più caverne e postazioni da cui combattere, né uomini da impiegare. Per capire la resistenza giapponese basta guardare le date: dal 4 aprile al 26 maggio, le forze statunitensi nel sud di Okinawa avanzarono di soli 6,4 km. Ci volle quasi un mese, dal 26 maggio al 21 giugno, per coprire i restanti 16 km fino alla punta meridionale dell’isola.

Nonostante gli americani considerassero Okinawa una delle loro maggiori vittorie durante la campagna del Pacifico, il prezzo pagato da entrambe le parti fu enorme. Le vittime americane furono circa 12.000, oltre a 36.000 feriti.

Buckner, il comandante di terra degli Stati Uniti, fu ucciso in azione il 18 giugno mentre visitava un posto di osservazione avanzato. Fu l’ufficiale statunitense di grado più alto ucciso dal fuoco nemico durante la seconda guerra mondiale.

Il 22 giugno, Ushijima, il comandante giapponese, e il suo capo di stato maggiore, il tenente generale Cho Isamu, preferirono suicidarsi durante un rituale piuttosto che arrendersi agli americani.

In totale, furono uccisi circa 110.000 soldati giapponesi, mentre meno di 8.000 si arresero. La popolazione civile di Okinawa fu ridotta di un quarto; 100.000 uomini, donne e bambini di Okinawa morirono nei combattimenti o si suicidarono su ordine dell’esercito giapponese.

In alcuni casi, alle famiglie veniva fornita una bomba a mano da far esplodere quando la cattura da parte degli americani sembrava imminente.

Nel corso della battaglia di Okinawa vennero inoltre impiegati gli aerei kamikaze, che erano stati utilizzati per la prima volta nella battaglia del Golfo di Leyte.

Questi velivoli vennero utilizzati dai generali giapponesi come arma estrema per tentare di immobilizzare la flotta statunitense e impedire l’invasione del territorio. Inizialmente, i funzionari della marina degli Stati Uniti minimizzarono l’efficacia degli attacchi kamikaze.

L’ammiraglio Mitscher affermò fino al 5 giugno che gli attacchi erano poco significativi e che solo l’1% di essi aveva raggiunto l’obiettivo. Tuttavia, questa valutazione si rivelò essere davvero riduttiva.

Pur evitando pericolose esagerazioni, diversi ufficiali USA ammisero che l’uso di questa nuova arma richiedeva dei cambiamenti nelle tattiche di combattimento statunitensi e nella progettazione delle navi. Di fatto, i kamikaze furono estremamente efficaci, causando il naufragio di 26 delle 34 navi colpite nella battaglia.

Anche il numero di vittime tra il personale della marina degli Stati Uniti fu molto elevato, con 4.907 marinai uccisi su un totale di 12.281 americani morti nella campagna di Okinawa.

A seguito del blocco navale messo in atto dagli alleati, le isole giapponesi si trovarono di fatto impedite dall’importare beni dall’estero. Inoltre, l’esercito giapponese, nonostante la distruzione di molte città a seguito della campagna di bombardamenti strategici di Curtis LeMay, rifiutò di prendere in considerazione la resa.

Gli strateghi statunitensi, basandosi sull’esperienza di Okinawa, valutarono che un’ipotetica invasione del Giappone avrebbe comportato la perdita di 225.000 vite umane da parte degli Stati Uniti. Tuttavia, stime più pessimistiche fecero salire tale cifra a 1.000.000.

Così, dopo essere succeduto alla presidenza degli Stati Uniti in seguito alla morte di Franklin D. Roosevelt il 12 aprile 1945, il nuovo presidente Harry S. Truman venne a conoscenza del Progetto Manhattan, un programma top secret volto alla realizzazione della bomba atomica.

Truman confidò al suo staff di riporre molte speranze nel fatto che una bomba atomica avrebbe potuto scongiurare situazioni come quella di Okinawa su tutto il territorio giapponese. Questo, senza dubbio, ebbe un ruolo di rilievo nella sua decisione di utilizzare l’arma atomica.

Ad inizio Agosto 1945, le forze statunitensi sganciarono due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, che portarono alla resa dei giapponesi il 2 Settembre 1945.

Okinawa rimase sotto occupazione statunitense per circa 27 anni, e l’amministrazione giapponese poté riprendere il controllo dell’isola soltanto il 15 maggio 1972. Dopo il trasferimento di poteri, gli Stati Uniti decisero comunque di mantenere una presenza militare significativa a Okinawa fino al XXI secolo.