La battaglia del lago Curzio rappresenta il primo scontro militare nella storia romana, svoltosi tra il regno monarchico di Roma e i Sabini, a seguito del rapimento delle donne sabine da parte dei Romani, noto come “Ratto delle Sabine”
Contesto storico
Roma fu fondata dal re Romolo sul Colle Palatino e presto prosperò, attirando numerosi nuovi cittadini e diventando progressivamente più grande e potente, diventando inevitabilmente una rivale nei confronti delle città limitrofe del Lazio.
Roma si trovava di fronte ad un serio problema sociale: la popolazione era prevalentemente composta da giovani guerrieri maschi e con pochissime donne da sposare. Secondo le fonti antiche, in particolare Tito Livio, senza donne per i giovani romani, Roma “sarebbe scomparsa nell’arco di una generazione”.
Seguendo il consiglio del Senato, Romolo inviò ambasciatori alle vicine città della regione, proponendo alleanze e chiedendo il diritto di poter contrarre matrimoni misti per la nuova comunità. Gli ambasciatori romani furono accolti sfavorevolmente ovunque: le loro proposte furono sistematicamente respinte, per via di un generale sentimento di allarme e diffidenza nei confronti di Roma.
Di fronte all’impossibilità di una soluzione pacifica, Romolo decise di ricorrere ad un inganno: annunciò una festa in onore del dio Conso, invitando i cittadini delle città vicine come Caenina, Antemnae, Crustumerium e tutta la Sabinia.
Durante i festeggiamenti, gli uomini di Romolo rapirono le ragazze presenti, in un episodio storico che sarebbe divenuto noto come “Ratto delle Sabine”, causando lo scoppio delle ostilità con tutte le città circostanti. Roma sconfisse rapidamente Caenina, Antemnae e Crustumerium. I Sabini, invece, emersero come un nemico ben più formidabile e molto più organizzato.
Romani e Sabini si prepararono al conflitto per un anno: Roma rafforzò le sue difese e ottenne rinforzi da soldati albani inviati dal re Numitore, oltre a mercenari guidati da un amico di Romolo, il comandante Lucumone. Nonostante gli ultimi tentativi di risoluzione diplomatica, l’esercito sabino attaccò Roma.
L’ingresso dei Sabini in città
Il re dei Sabini, Tito Tazio, decise di ricorrere all’astuzia, contattando la vergine vestale Tarpeia, figlia del comandante della cittadella di Roma, Spurio Tarpeio, e offrendole una grande quantità di oro e argento in cambio della sua collaborazione per permettere ai soldati sabini di entrare in città.
Secondo i cronisti Fabio Pittore e Dionigi di Alicarnasso, Tazio riuscì a convincere Tarpeia ad aprire le porte della città in cambio di braccialetti d’oro. Tarpeia accettò di tradire i suoi, consentendo così l’ingresso dell’esercito sabino nel cuore di Roma. Tuttavia, una volta dentro la città, i Sabini decisero di punire il tradimento di Tarpeia, uccidendola e schiacciandola sotto un mucchio di scudi.
Un’altra versione, riportata da Lucio Pisone, sostiene invece che Tarpeia non avesse intenzione di tradire i Romani, ma che stesse in realtà ingannando i Sabini, i quali l’avrebbero uccisa dopo essersi accorti della trappola.
Tito Livio, invece, riporta sia la versione secondo la quale la ragazza fu corrotta dall’oro dei Sabini sia la possibilità che questa fosse sempre rimasta fedele ai romani.
Gli eserciti si radunarono nella valle tra i colli Palatino e Capitolino, in uno spazio che in futuro sarebbe diventato il Foro Romano, circondato dalle colline. I Sabini, guidati dal generale Mettio Curzio, e i Romani, comandati da Osto Ostilio, dopo alcuni scontri minori, si disposero sul campo di battaglia, dimostrando grande valore ma subendo anche ingenti perdite da entrambe le parti.
La battaglia del Lago Curzio
Il campo di battaglia fu colpito da un temporale che trasformò rapidamente il terreno in un pantano. Romolo e Lucumone stavano attaccando con successo le ali dell’esercito sabino, ma furono costretti a interrompere l’offensiva per soccorrere i loro compagni, poiché il centro della linea romana era vicino al collasso.
Di fronte all’avanzata dei Sabini, guidata dal generale Mettio Curzio, Romolo e Curzio decisero di confrontarsi direttamente in un duello. Curzio fu ferito e cadde, ma mentre Romolo stava per guidare i suoi uomini contro i rimanenti Sabini, Mettio riuscì a salvarsi all’ultimo momento, sollevandosi dal fango e tornando incolume al suo accampamento.
La battaglia prese una svolta drammatica quando Romolo fu colpito alla testa da una pietra, perdendo conoscenza. Senza la guida del loro comandante, i soldati romani vacillarono, e la situazione peggiorò ulteriormente quando un giavellotto uccise Lucumone. Romolo si riprese appena in tempo e grazie al supporto di rinforzi provenienti da Roma riuscì a contenere l’attacco dei Sabini, ristabilendo la compattezza delle linee romane. Al tramonto, i Sabini si ritirarono e i Romani cessarono il combattimento.
Il giorno seguente, Romolo si trovò nuovamente in difficoltà: i Sabini esercitavano una forte pressione sui soldati romani, ormai sull’orlo del crollo. In quel momento critico, Romolo promise solennemente a Giove che, in cambio del suo aiuto per respingere l’attacco sabino e rinvigorire il coraggio dei Romani, avrebbe costruito e dedicato un tempio in suo onore.
Con un potente grido, Romolo guidò il suo esercito contro i Sabini, mettendoli finalmente in fuga. Durante la ritirata, il generale sabino Mettio cadde nuovamente nella palude insieme al suo cavallo.
L’intervento delle donne Sabine
I Sabini opposero nuovamente resistenza, anche se ormai l’esercito romano aveva preso il sopravvento ed era sul punto di annientare l’avversario.
All’improvviso, le figlie dei Sabini, che erano state rapite l’anno prima dai Romani, si precipitarono sul campo di battaglia, ponendosi in mezzo tra i due eserciti e dividendo i combattenti. Le donne implorarono entrambe le parti di fermare quello spargimento di sangue, dicendo di non voler perdere né i loro padri né i loro mariti.
Effettivamente, le donne Sabine erano ormai rimaste incinte dei Romani, i quali si erano dimostrati ottimi mariti e padri di famiglia. Così Romolo e Tito Tazio decisero di porre fine ai combattimenti e di costituire una nuova società mista che avrebbe unito l’elemento romano con quello sabino.
Plutarco fornisce ulteriori dettagli sull’intervento delle donne Sabine, spiegando che non solo posero fine alla battaglia separando i contendenti, ma portando loro anche cibo e acqua, oltre a prendersi cura dei feriti. Per decisione sia dei Romani che dei Sabini, le donne Sabine non avrebbero avuto altro dovere che “filare la lana per i loro mariti”.
Dopo la battaglia, entrambe le parti decisero di firmare un trattato di pace che univa i due popoli, trasferendo il potere amministrativo a Roma. I cittadini di Roma divennero noti da quel momento come Quirites, dal nome della città di Cures, mentre Tito Tazio avrebbe comandato i suoi uomini in un regno congiunto con Romolo.
In onore del sacrificio del condottiero sabino Mettio Curzio, la zona dove si era svolta la battaglia fu ribattezzata Lacus Curtius.
FONTI
- Dionigi di Alicarnasso.Libro II, capitolo 38.
- Livio Storia romana: Libro I, capitolo 9
- Plutarco , Vita di Romolo , capitolo 14, paragrafi 2–6
- Eutropio . Riassunto della storia romana: Libro I , capitolo 2