La battaglia di Fidene. Prima guerra fidenate

La battaglia di Fidene fu uno scontro tra i romani e gli abitanti della vicina città laziale di Fidene, preoccupati dell’eccessiva espansione romana. L’esercito, guidato dal re Romolo in persona, sconfisse gli avversari usando la tecnica dell’imboscata e trasformando Fidene in una colonia romana.

Il contesto storico

Dopo la fondazione di Roma sul colle Palatino ad opera di Romolo, i Romani iniziarono ad espandersi militarmente con particolare aggressività ed efficacia. Tito Livio scrive che i Romani erano così potenti da poter “competere militarmente con qualsiasi città intorno a loro“.

Effettivamente, l’esercito romano ottenne delle importanti vittorie sbaragliando prima la città di Caenina, poi quella di Antemnae e infine di Crustumerium. Il secondo grande scontro fu quello con i Sabini guidati dal re Tito Tazio: dopo il famoso Ratto delle Sabine, il rapimento delle donne sabine ad opera dei romani per popolare la loro nuova città e formare le prime famiglie, i Sabini affrontarono i romani nella battaglia del lago Curzio, dove furono sconfitti.

La battaglia di Fidene: la versione dell’attacco a sorpresa

I successivi avversari di Romolo furono gli abitanti della vicina città di Fidenae che, temendo la crescente potenza di Roma, decisero di attaccare i Romani per ridimensionare la loro espansione. Secondo la loro strategia, Roma doveva essere attaccata quando era ancora debole, prima che il suo esercito diventasse ancora più numeroso.

Non abbiamo alcuna informazione su eventuali tentativi diplomatici prima della battaglia. Lo storico Plutarco racconta due versioni del conflitto. Nella prima, Roma sferra un attacco improvviso utilizzando un gruppo di cavalieri, i quali riescono a superare le linee nemiche e aprire le porte della città di Fidenae. Romolo sarebbe improvvisamente apparso con l’intero esercito, cogliendo i Fidenati completamente di sorpresa e occupando la loro città con poco sforzo.

La battaglia di Fidene: la versione dell’imboscata

La seconda versione, sempre raccontata da Plutarco e molto più dettagliata, parla invece di un attacco da parte dei Fidenati, che inviarono degli squadroni di cavalieri armati per devastare le campagne tra Roma e Fidenae al fine di terrorizzare gli abitanti della zona e compromettere i raccolti. 

I Romani reagirono immediatamente con il loro esercito. Lo stesso re Romolo, a capo del contingente romano, si diresse verso nord, seguendo il corso del fiume Tevere, arrivando a un miglio da Fidenae. Lasciando una guarnigione immediatamente fuori dalla città, Romolo decise di spostarsi con il grosso del suo esercito per tendere un’imboscata al nemico in un luogo vicino, una zona boscosa e tranquilla perfetta per cogliere i Fidenati di sorpresa.

Romolo voleva attirare i nemici fuori dalle proprie mura con un piano particolarmente audace. I cavalieri romani si sarebbero dovuti avvicinare alle porte della città, simulando un attacco e poi ritirandosi al momento opportuno. I Fidenati sarebbero stati provocati e attirati fuori dalle mura per poi essere colti di sorpresa.

L’agguato ebbe successo: i Fidenati aprirono le porte della città e si lanciarono contro i cavalieri romani, riuscendo a colpire i primi soldati ma raggiungendo, proprio come voleva Romolo, il luogo designato per l’imboscata, dove il grosso dell’esercito, nascosto, sbucò all’improvviso. I Fidenati vennero respinti facilmente e la loro città fu conquistata.

Le conseguenze della battaglia

Sempre secondo il racconto di Plutarco, Romolo decise di non distruggere Fidenae, ma scelse di farla diventare una colonia romana, inviando 2.500 coloni.

Secondo la tradizione, tuttavia, la guerra scatenata dai Fidenati ebbe l’effetto di una febbre contagiosa, in quanto convinse anche gli abitanti di Veio, che si trovavano ad ovest del Tevere, che Roma stava diventando troppo potente.

Romolo fu quindi costretto a combattere anche contro i Veienti, riuscendo a ottenere una prima vittoria nel territorio dei Septem Pagi, ad ovest dell’isola Tiberina, costringendo i cittadini di Veio a rientrare nei loro confini e a non infastidire i possedimenti romani.