La battaglia di Ilipa, 206 a.C: il capolavoro di Scipione

La battaglia di Ilipa è uno scontro della seconda guerra punica, in cui i legionari guidati da Publio Cornelio Scipione sconfissero i generali Asdrubale Giscone e Magone Barca. Si tratta di una battaglia tatticamente importante, poiché rappresenta la prima dimostrazione pratica della comprensione, da parte di Scipione, delle manovre utilizzate da Annibale e del loro miglioramento a danno del nemico. Durante lo scontro, infatti, venne utilizzata una formazione letteralmente inversa rispetto a quella adottata a Canne.

La battaglia di Ilipa rese impossibili ulteriori invasioni via terra verso l’Italia e iniziò a intaccare seriamente il dominio della famiglia di Annibale nella penisola iberica.

Contesto storico

Dopo la battaglia di Baecula e la partenza di Asdrubale Barca, fratello di Annibale, verso l’Italia, i cartaginesi inviarono ulteriori rinforzi, che sbarcarono nella penisola all’inizio del 207 a.C. I soldati di Annone si unirono rapidamente a quelli di Magone Barca, il fratello più giovane di Annibale. Insieme, i due formarono un esercito potente e iniziarono a reclutare mercenari dalla regione della Celtiberia. Nel frattempo, un altro generale cartaginese, Asdrubale Giscone, fece avanzare il suo esercito da Gades verso l’Andalusia.

Scipione si trovava quindi di fronte a due forze nemiche congiunte, che si davano manforte a vicenda e che aumentavano rapidamente i loro effettivi. Dopo un’attenta analisi della situazione, Scipione decise di inviare un distaccamento dei suoi legionari, sotto il comando di Marco Giunio Silano, per attaccare a sorpresa Magone, il generale più giovane e meno esperto. 

Marciando a grande velocità attraverso il territorio iberico, Silano riuscì ad attaccare il nemico, prendendolo completamente alla sprovvista:  gli accampamenti cartaginesi furono distrutti, i contingenti dei Celtiberi dispersi e, nel caos generale, Silano riuscì addirittura a catturare il generale Annone.

Asdrubale rimase così solo ad affrontare l’esercito di Scipione: il generale cartaginese, che iniziava ad essere in difficoltà, cercò di adottare una strategia attendista, dividendo le sue truppe fra le città fortificate della penisola iberica per costringere l’avversario a frazionare le sue forze e indebolirsi.

Disposizione degli eserciti

La primavera successiva, i cartaginesi avviarono una serie di campagne militari per cercare di recuperare tutti i loro possedimenti iberici. Magone fu raggiunto presso la città di Ilipa da un rinforzo di circa 74.000 uomini, guidati da Asdrubale Giscone. In questo modo, i cartaginesi avevano un vantaggio numerico rispetto a Scipione, il quale poteva contare solo su 48.000 soldati, tra cui un contingente di alleati iberici, fedeli ma meno esperti rispetto ai legionari.

Le cifre fornite da Tito Livio ridimensionano l’esercito cartaginese a 50.000 fanti e 4.500 cavalieri, mentre attribuiscono a Scipione una forza di 55.000 uomini. In questa versione della cronaca, i cartaginesi avevano quindi solo un leggero vantaggio numerico.

All’arrivo dei Romani, Magone scatenò un audace attacco contro l’accampamento romano, utilizzando la maggior parte della sua cavalleria sotto il comando dell’alleato numida Massinissa. Scipione, che aveva ampiamente previsto questa mossa, aveva nascosto la sua cavalleria dietro una collina. Da lì, i cavalieri romani poterono caricare improvvisamente sul fianco cartaginese, respingendo il nemico e infliggendo pesanti perdite all’esercito di Magone.

Nei giorni successivi, gli avversari si osservavano a vicenda. I cartaginesi uscivano per primi dal loro accampamento, disponendo l’esercito e preparandosi allo scontro. Solo dopo aver compreso la formazione del nemico, Scipione comandava ai suoi legionari di uscire dall’accampamento per contrapporsi ai cartaginesi. Poi, dopo qualche tempo, entrambi i contingenti rientravano ai loro posti.

Durante questi giorni di studio reciproco, la formazione romana si posizionava sempre con le legioni al centro e gli alleati iberici sulle ali. Scipione voleva infatti convincere Asdrubale e Magone che quella sarebbe stata la formazione definitiva che avrebbe schierato per la battaglia decisiva.

Svolgimento della battaglia

Scipione, convinto di aver ingannato gli avversari, fece la sua mossa. I legionari furono svegliati ancora prima dell’alba ed ebbero il tempo di nutrirsi e prepararsi adeguatamente. Dopodiché, Scipione inviò le sue truppe di cavalleria e la fanteria leggera contro gli avamposti cartaginesi. Nel frattempo, la gran parte dell’esercito usciva ordinatamente dall’accampamento per posizionarsi sul campo di battaglia.

Quel giorno, a differenza di quanto avvenuto in precedenza, le legioni erano posizionate sulle ali, mentre gli alleati iberici erano stati schierati al centro.

I cartaginesi, innervositi dagli attacchi nemici, si precipitarono fuori dai loro accampamenti senza nutrirsi e preparandosi il più in fretta possibile. Convinto che Scipione avrebbe disposto le sue forze come al solito, Asdrubale schierò le truppe africane più forti al centro e i mercenari spagnoli sulle ali. Il generale cartaginese si accorse troppo tardi del drastico cambio di formazione dell’avversario e, essendo i legionari di Scipione ormai troppo vicini, non vi era più alcuna possibilità di apportare modifiche allo schieramento.

Quando Scipione decise di attaccare, richiamò le truppe leggere, che attraversarono gli spazi lasciati tra i manipoli per posizionarsi dietro le legioni. L’ordine generale di Scipione prevedeva che gli iberici al centro avanzassero lentamente, mentre le ali, composte dai legionari, si avvicinavano al nemico a un passo decisamente più rapido.

In questo modo, Scipione fu in grado di formare una linea di battaglia concava, esattamente opposta alla disposizione di Annibale a Canne. Proprio per questo motivo, gli storici militari definiscono la battaglia di Ilipa anche “Canne rovesciata”.

Le truppe leggere si posizionarono sui fianchi dei legionari, estendendo ulteriormente le ali dell’esercito romano e accerchiando l’intera linea cartaginese su entrambi i lati.

Durante la manovra, Asdrubale si rese conto di trovarsi in un vicolo cieco: se avesse distolto le sue forze per contrastare le ali romane, avrebbe scoperto il centro, permettendo così agli alleati iberici di Scipione di attaccare facilmente, sfondando le sue linee. Ma, mantenendo la situazione invariata, le lunghe ali romane avrebbero finito per circondare il suo esercito.

Inoltre, Scipione era riuscito a contrapporre le proprie truppe più forti, costituite dai legionari, agli alleati, più deboli, di Asdrubale. Il centro cartaginese perse ogni coraggio, anche a causa degli elefanti, che, impazziti, iniziarono a devastare le stesse linee di Asdrubale. Spinti verso il centro dalla cavalleria romana che attaccava sui fianchi, gli elefanti finirono per distruggere quel che rimaneva delle difese cartaginesi.

Oltre alla fame e alla stanchezza, i cartaginesi videro il loro generale completamente circondato e disorientato. Asdrubale non poté fare altro che ordinare ai suoi uomini di ritirarsi ordinatamente verso l’accampamento, l’ultima frontiera di salvezza.

Scipione, intuendo la mossa del nemico, ordinò al centro iberico di accelerare il passo e attaccare ciò che rimaneva dell’esercito cartaginese.

Il contingente punico collassò e iniziò un massacro da parte dei legionari romani, che sarebbe stato pari a quello di Canne, se non fosse scoppiato un improvviso acquazzone, che bloccò tutte le azioni sul campo e permise ai cartaginesi rimasti di trovare rifugio nel loro accampamento.

Gli eventi successivi alla battaglia

Le truppe cartaginesi sopravvissute non riuscirono a riposare durante la notte successiva. Consapevoli che il mattino seguente i romani avrebbero inevitabilmente attaccato, trascorsero le ore notturne a rafforzare le loro difese. Ma nel corso della notte, un numero sempre crescente di mercenari iberici iniziò ad abbandonare Asdrubale, fuggendo disordinatamente verso le pianure circostanti.

Approfittando dell’oscurità, Asdrubale tentò di far uscire gli ultimi uomini a lui fedeli, cercando di sfuggire ai romani. Scipione, che aveva disseminato il territorio di vedette, si accorse immediatamente della manovra e ordinò un inseguimento. Guidato dalla cavalleria, l’intero esercito romano si mise sulle tracce di Asdrubale.

Quando i romani raggiunsero finalmente l’esercito cartaginese, si scatenò una vera e propria carneficina.

Asdrubale rimase con soli 6.000 uomini, che si rifugiarono su una montagna vicina, senza alcuna riserva d’acqua. Questo ultimo contingente cartaginese si arrese poco dopo.

Scipione aveva così ottenuto una vittoria decisiva, e soprattutto aveva portato l’intera cultura militare romana ad un nuovo livello.

Le conseguenze della battaglia di Ilipa

Dopo lo scontro, Asdrubale Giscone partì per l’Africa per incontrare il potente re numida Siface. Iniziò così una vera e propria “gara” diplomatica con Scipione, nel tentativo di assicurarsi per primo il favore dei Numidi, il cui contingente poteva risultare determinante sul campo di battaglia. Magone Barca, invece, fuggì verso le isole Baleari, da dove sarebbe salpato in direzione della Liguria, tentando un’invasione dell’Italia settentrionale.

Scipione, completata la campagna iberica, tornò a Roma, dove fu eletto console nel 205 a.C. con una nomina quasi unanime. Dopo aver ricevuto il consenso del Senato, ottenne il controllo della Sicilia come proconsole. Da lì, avrebbe organizzato e lanciato la sua invasione del Nord Africa.