La battaglia del fiume Frigido, combattuta il 5 e 6 settembre 394, rappresenta uno degli scontri decisivi del tardo Impero romano.
La battaglia vide contrapporsi le forze dell’imperatore d’Oriente Teodosio I e quelle dell’usurpatore occidentale Eugenio, supportato dal generale franco Arbogaste. Lo scontro avvenne presso il fiume Frigido, oggi noto come il Vipacco, situato nell’attuale Slovenia.
La battaglia fu il culmine di un conflitto politico e religioso. Eugenio e Arbogaste, pur essendo pagani, cercavano di riaffermare il paganesimo all’interno dell’Impero, in contrasto con la politica cristiana di Teodosio. La vittoria di Teodosio ottenuta con l’ausilio di un improvviso cambiamento climatico che sfavorì le truppe di Eugenio, consolidò il cristianesimo come religione dominante dell’Impero Romano.
La leggenda narra che una tempesta di vento e pioggia si abbatté sul campo di battaglia, ostacolando le truppe di Eugenio e facilitando la vittoria di Teodosio.
Dopo la battaglia, Eugenio fu catturato e giustiziato, mentre Arbogaste si suicidò. La vittoria di Teodosio al fiume Frigido fu un momento cruciale che determinò l’orientamento religioso e politico dell’Impero nei secoli successivi, segnando il definitivo tramonto del paganesimo romano e la supremazia del cristianesimo.
La fine di Valentiniano II e il potere di Arbogaste
Il protagonista della battaglia è certamente Arbogaste, un generale franco al servizio dell’Impero Romano, che ebbe un ruolo importante nella politica romana durante il regno dell’imperatore Valentiniano II.
Valentiniano II, salito al trono giovanissimo nel 375, era sotto la tutela di Arbogaste, che esercitava un’influenza sempre più spregiudicata sulla sua corte. Valentiniano II, pur essendo formalmente l’imperatore, si trovava spesso a dover sottostare alla volontà del suo potente generale.
I rapporti tra i due furono sempre tesi, poiché Valentiniano II, crescendo, desiderava affermare la propria autorità, mentre Arbogaste, pagano convinto, ambiva a controllare l’imperatore per mantenere e consolidare il proprio potere.
La tensione tra i due culminò tragicamente nel 392, quando Valentiniano II, ormai ventenne, cercò di liberarsi dal controllo di Arbogaste.
La fine di Valentiniano II fu avvolta nel mistero e nel sospetto. Nel maggio del 392, il giovane imperatore fu trovato morto nella sua residenza a Vienne, in Gallia. Le circostanze della sua morte furono sospette: ufficialmente si parlò di suicidio, ma molti storici dell’epoca e moderni ritengono che possa essere stato assassinato su ordine di Arbogaste, desideroso di eliminare un imperatore che non poteva più controllare.
Con la morte di Valentiniano II, Arbogaste nominò come nuovo imperatore Eugenio, un ex insegnante di retorica, sperando di poterlo manovrare facilmente.
Eugenio fu proclamato imperatore d’Occidente il 22 agosto 392, ma la sua legittimità fu subito contestata dall’imperatore d’Oriente Teodosio I, che si preparò a sconfiggerlo per riaffermare la propria autorità sull’intero Impero Romano e per difendere la causa del cristianesimo contro il revival pagano sostenuto da Arbogaste e Eugenio.
La missione diplomatica per convincere Teodosio
Dopo l’ascesa al trono di Eugenio nel 392, Arbogaste e il nuovo imperatore intrapresero una missione diplomatica nel tentativo di ottenere il riconoscimento ufficiale da parte di Teodosio I, l’imperatore d’Oriente.
La premesse erano negative: Teodosio, profondamente cristiano, era fortemente contrario alla politica pro-pagana di Eugenio e Arbogaste.
La delegazione, guidata da importanti funzionari e accompagnata da ricchi doni, aveva l’obiettivo di convincere Teodosio che il nuovo regime non rappresentava una minaccia per l’unità dell’Impero. Eugenio cercò di presentarsi come un leader moderato, disposto a tollerare il cristianesimo pur mantenendo il paganesimo come religione ufficiale.
Teodosio, però, era ben consapevole delle reali intenzioni di Eugenio e Arbogaste. I rapporti degli inviati e delle spie dell’imperatore d’Oriente avevano già evidenziato il tentativo di restaurazione pagana e l’influenza dominante di Arbogaste sul nuovo imperatore. Inoltre, la morte sospetta di Valentiniano II aveva già fatto scattare sospetti e indignazione nella corte di Teodosio.
Il fallimento della missione diplomatica fu inevitabile. Teodosio rifiutò di riconoscere Eugenio come legittimo imperatore, vedendo nella sua figura e in quella di Arbogaste una minaccia non solo politica, ma anche religiosa.
Così, Teodosio dichiarò Eugenio come un usurpatore, e si scatenò la guerra civile.
La marcia di Teodosio verso il Frigido
L’esercito di Teodosio I era composto da una varietà di unità provenienti da diverse regioni dell’Impero Romano d’Oriente. Questa forza eterogenea comprendeva soldati romani, truppe federate e contingenti di alleati barbari. Tra i più importanti alleati vi erano i Visigoti, guidati dal loro re Alarico I, che giocavano un ruolo cruciale nelle strategie militari di Teodosio. L’esercito includeva anche unità di cavalleria pesante, fanteria leggera e arcieri, ciascuna con un ruolo specifico nel campo di battaglia.
Nel 394, Teodosio iniziò la sua marcia verso l’Occidente per affrontare Eugenio e Arbogaste. La marcia dell’esercito orientale fu un’impresa logistica notevole, che richiese l’attraversamento di ampie distanze e territori difficili. Teodosio attraversò i Balcani, una regione montuosa che presentava numerose sfide, tra cui terreni accidentati e condizioni climatiche avverse.
Durante la marcia, Teodosio cercò di mantenere alto il morale delle sue truppe e assicurarsi l’appoggio delle popolazioni locali. Questo fu possibile grazie alla sua reputazione di imperatore giusto e devoto cristiano, che gli assicurò il sostegno delle comunità cristiane lungo il percorso. Inoltre, Teodosio utilizzò la diplomazia per mantenere buoni rapporti con i leader tribali e garantire che il suo esercito potesse attraversare i territori senza incontrare resistenze significative.
Superata la regione della Pannonia, Teodosio si avvicinò al fiume Frigido, situato nell’attuale Slovenia. La scelta del campo di battaglia non fu casuale: il fiume Frigido, con il suo terreno accidentato e i passaggi stretti, offriva vantaggi tattici a un esercito esperto come quello di Teodosio.
Qui, l’imperatore d’Oriente si preparò per lo scontro decisivo con le forze di Eugenio e Arbogaste, consapevole che la vittoria avrebbe consolidato la sua autorità su tutto l’Impero Romano e assicurato la supremazia del cristianesimo.
La battaglia del fiume Frigido: il primo giorno
Eugenio e Arbogaste avevano disposto il loro esercito nelle pianure, adottando una strategia attendista per contrastare l’esercito numericamente superiore di Teodosio. Occupando gli stretti passi delle Alpi, avevano inviato distaccamenti per tendere imboscate alle truppe orientali.
Teodosio attaccò quasi immediatamente, mandando per primi i suoi alleati goti. Oltre che per affrontare il nemico, l’avanzamento dei contingenti di Goti serviva per indebolirli, dal momento che Teodosio nutriva forti dubbi sulla loro fedeltà.
Zosimo e Orosio raccontano che molte delle truppe alleate di Teodosio furono massacrate, e Orosio specifica che 10.000 foederati goti, schierati in prima linea, perirono nello scontro, sostenendo che “la loro perdita era certamente un guadagno e la loro sconfitta una vittoria”.
Il magister militum Bacurio, facente parte dell’esercito di Teodosio, intervenne con l’avanguardia per soccorrere i foederati goti in difficoltà, riuscendo a mettere in fuga i nemici, ma finendo anch’egli ucciso in un contrattacco.
La giornata si concluse con una difesa vittoriosa delle truppe di Eugenio. Arbogaste, inoltre, inviò un distaccamento, guidato dal comes Arbizione, per chiudere il passo alle spalle di Teodosio, che si trovò circondato e senza vie di fuga.
Teodosio, consapevole della situazione disperata, si prostrò al suolo pregando il Signore per un intervento divino. Subito dopo, gli ufficiali delle truppe di Eugenio stazionate in imboscata sulle alture inviarono messaggeri a Teodosio, dichiarando la loro intenzione di defezionare in suo favore in cambio di posti onorevoli nel suo esercito.
Teodosio accettò l’offerta, scrivendo su tavolette i ruoli di comando che avrebbe conferito loro. Così, gli ufficiali passarono dalla parte dell’imperatore legittimo.
Dopo una notte insonne, Teodosio notò il vuoto lasciato dalle truppe di Arbogaste e decise di attaccare di nuovo. Su cosa avvenne in seguito, le versioni pagana e cristiana differiscono.
La battaglia del Frigido: la versione cristiana dello scontro
La versione cristiana della battaglia, tramandata da Orosio e altri scrittori ecclesiastici, descrive il secondo giorno dello scontro in modo drammatico e miracoloso.
Mentre i soldati di Eugenio si riposavano, sicuri della vittoria, Teodosio sfruttò il momento di confusione e l’abbassamento della guardia per lanciare un attacco a sorpresa. La versione cristiana della battaglia sostiene che un evento miracoloso avvenne proprio in quel momento: un forte vento, noto come bora, iniziò a soffiare dalle schiere di Teodosio contro quelle nemiche, trasformando dardi e frecce in armi contro chi le aveva lanciate.
Questo vento impetuoso, interpretato come un intervento divino, sfavorì decisamente i soldati di Eugenio, che si trovarono in grande difficoltà nel difendersi dagli attacchi.
Orosio e Sant’Agostino riportano che questo fenomeno meteorologico straordinario era visto come un chiaro segno della provvidenza divina che sosteneva Teodosio e il cristianesimo. Anche il poeta pagano Claudiano, sebbene ostile al cristianesimo, riconobbe nei suoi versi l’intervento provvidenziale della bora a favore di Teodosio, attribuendo la vittoria dell’imperatore al favore degli dei.
Approfittando del caos creato dalla tempesta, le truppe di Teodosio avanzarono rapidamente, rompendo le linee difensive di Eugenio e seminando il panico tra i soldati nemici.
Le forze di Eugenio, già demoralizzate dalla defezione di alcune unità e dalla furia della bora, non riuscirono a riorganizzarsi e crollarono sotto l’assalto dell’esercito orientale.
La battaglia del Frigido: la versione pagana dello scontro
La versione pagana della battaglia del Frigido, tramandata da Zosimo, offre una narrazione molto diversa degli eventi del secondo giorno. Secondo questa versione, la vittoria di Teodosio non fu il risultato di un intervento divino, ma di una serie di circostanze strategiche e tattiche, oltre a un colpo di fortuna sfruttato dall’imperatore orientale.
Convinto che Teodosio non sarebbe stato in grado di lanciare un nuovo attacco imminente, Eugenio concesse ai suoi soldati il meritato riposo, senza temere un’azione a sorpresa da parte del nemico.
Teodosio approfittò di questa sicurezza e della relativa tranquillità delle truppe di Eugenio. All’alba del secondo giorno, mentre i soldati di Eugenio stavano ancora riposando, Teodosio lanciò un attacco a sorpresa con tutte le sue forze.
Questo colpo improvviso colse completamente impreparato l’esercito di Eugenio, che fu incapace di organizzare una difesa efficace. I soldati di Teodosio massacrarono numerosi nemici mentre erano ancora nei loro accampamenti, sfruttando l’effetto sorpresa e la disorganizzazione degli avversari.
La versione pagana non menziona l’intervento di una tempesta o della bora durante la battaglia. Al contrario, Zosimo riferisce di un’eclissi di sole che avrebbe oscurato il campo di battaglia durante il primo giorno di scontri, contribuendo a rendere la battaglia ancora più drammatica.
Eppure i dati astronomici moderni smentiscono l’evento di un’eclissi in quel periodo, suggerendo che gli storici pagani, come Zosimo ed Eunapio, abbiano forse trasformato una forte tempesta in un’eclissi per enfatizzare la drammaticità della battaglia.
Dopo aver travolto le difese nemiche, Teodosio si diresse verso la tenda di Eugenio. Eugenio fu catturato e portato al cospetto di Teodosio, che ordinò la sua immediata decapitazione come punizione per la sua usurpazione.
Arbogaste, vedendo la disfatta completa delle sue forze, fuggì tra le montagne circostanti e si suicidò poco dopo per evitare la cattura.
Anche Virio Nicomaco Flaviano, uno dei sostenitori di Eugenio, seguì lo stesso destino, preferendo il suicidio alla sconfitta.
Le conseguenze della disfatta pagana
La battaglia del Frigido del 394 ebbe conseguenze di lunga durata per l’Impero Romano.
Una delle più immediate e tangibili fu l’abbandono delle difese nelle Alpi Giulie, che permettevano l’accesso alla provincia Venetia et Histria. Secondo il poeta latino Claudio Claudiano, le torri e le mura delle Chiuse (Claustra Alpium Iuliarum), costruite dopo il 284 come difesa contro le invasioni barbariche, furono demolite durante la battaglia.
Di conseguenza, non si ha più notizia di un loro utilizzo né della presenza di truppe romane nelle Alpi orientali durante le successive incursioni di Alarico I in Italia.
La battaglia del Frigido fu anche un momento cruciale per l’evoluzione dell’esercito romano, segnando uno dei primi episodi in cui l’arruolamento massiccio di barbari iniziò a trasformare profondamente la composizione e l’efficacia delle forze armate imperiali.
Dopo la battaglia, i foederati Visigoti, che avevano subito pesanti perdite (circa 10.000 caduti), furono congedati e rispediti nelle loro terre di insediamento in Tracia. Questo evento è soggetto a dibattito tra gli storici: alcuni ritengono che il congedo sia avvenuto nel gennaio 395 ad opera di Stilicone, mentre altri, come la storica Cesa, sostengono che Teodosio non avrebbe permesso a tali alleati di entrare in Italia, datando il loro rientro nell’autunno del 394.
L’alto numero di perdite subite dai Visigoti durante la battaglia aumentò il loro risentimento verso l’Impero. Questi cominciarono a sospettare che Teodosio li avesse deliberatamente schierati in prima linea per indebolirli e privarli dei privilegi di foederati e della loro autonomia.
Questo risentimento portò i Visigoti, una volta tornati in Tracia, a ribellarsi sotto la guida di Alarico, eletto loro capo unico. Il loro scopo era ottenere il rinnovo del trattato del 382 a condizioni più favorevoli e la nomina di Alarico a magister militum dell’esercito romano. Questa rivolta culminò nel sacco di Roma del 410, un evento che scosse profondamente il mondo romano.
Tradizionalmente, la battaglia del Frigido è stata interpretata come uno scontro tra il paganesimo e il cristianesimo, con l’usurpazione di Eugenio vista come un ultimo tentativo di restaurare il paganesimo in Occidente. Secondo questa interpretazione, il risultato della battaglia segnò il quasi definitivo trionfo del cristianesimo, analogamente a quanto accadde con la battaglia di Ponte Milvio del 312.
Questa visione tradizionale è stata contestata da studiosi moderni come Alan Cameron, che ha sostenuto che la nozione di Eugenio e Arbogaste come pagani o sostenitori dei pagani fu in gran parte un’invenzione successiva, mirata a giustificare la campagna di Teodosio.
Secondo Cameron, altre usurpazioni, come quella di Magnenzio, furono etichettate falsamente come pagane dopo la loro sconfitta. La descrizione della battaglia come un conflitto religioso trova la sua origine nello storico cristiano Rufino, e solo le fonti dipendenti da Rufino menzionano questo carattere religioso dello scontro.
La battaglia del Frigido, comunque, non solo consolidò l’autorità di Teodosio su tutto l’Impero Romano, ma contribuì anche a stabilire il cristianesimo come religione dominante, influenzando profondamente la politica e la società dell’Impero nei secoli successivi.