L’assedio di Masada. Così i romani sconfissero la fortezza degli ebrei

L’assedio della fortezza di Masada, tra la fine del 72 d.C e il 73 d.C, nella antica Giudea sud-orientale, è l’ultimo atto della prima guerra giudaica, dove il comandante Lucio Flavio Silva sconfisse, in un memorabile assedio, il capo della fazione estremista degli ebrei, i sicarii, Eleazar Ben Yair.

E’ indubbiamente uno dei momenti più epici di tutta la storia romana, in cui l’esercito di Roma diede prova di capacità che vanno oltre ogni limite dell’immaginazione.

Roma ottenne una vittoria schiacciante ed eseguì un’operazione che è rimasta nei secoli. Ma, come vedremo, anche l’avversario dimostrerà tanto onore e un implacabile orgoglio.

I rapporti tra i romani e gli ebrei

I rapporti tra i romani e gli ebrei iniziarono in maniera consistente, all’epoca di Pompeo Magno, che mosse guerra nel 66 a.C. contro Mitridate VI, il Re del Ponto, una zona nordorientale dell’Asia Minore, oggi in Turchia.

Pompeo ottenne una serie di vittorie militari, fino allo scontro con la popolazione degli ebrei sulla quale ebbe facilmente la meglio.

Pompeo riuscì persino a conquistare la loro capitale, Gerusalemme, ma in quell’occasione, anche ammirato dalla bellezza della città e riuscendo a percepire la sacralità di quel luogo, decise di non distruggerla.

Anzi, il generale romano dimostrò di avere rispetto e si limitò, una volta ritiratosi, a fondare la nuova provincia di Siria.

La zona diventò dapprima uno stato cliente di Roma, poi un protettorato, fino a che, all’epoca di Augusto, divenne ufficialmente una provincia sotto il completo controllo romano.

I rapporti tra i romani e gli ebrei furono, in questo primo periodo, abbastanza buoni. Sia sotto Augusto che sotto Tiberio non vi furono gravi problemi.

Ma la situazione, negli anni successivi, conobbe dei gravi cambiamenti. Si tratta di episodi che incrinarono fortemente i rapporti: uno di questi fu compiuto dall’imperatore Caligola, che dispose di creare una enorme statua che lo raffigurava come un Dio, con l’ordine di posizionarla direttamente nel tempio di Gerusalemme.

Questo atto fu un’offesa gravissima, soprattutto perché gli ebrei erano esclusivamente monoteisti. L’entrata nel loro tempio di un Dio estraneo era totalmente inconcepibile.

Si trattò di un primo episodio che incrinò sensibilmente il rapporto tra i romani e gli ebrei. Ma il caso si chiuse spontaneamente con la morte di Caligola.

Il più profondo motivo della rivolta, va probabilmente identificato nel malgoverno citato da alcune fonti da parte dei governatori romani.

Ad esempio il governatore Gessio Floro, decise di prelevare 17 talenti d’oro, sempre dal tempio di Gerusalemme. Anche questa apparve come una inaccettabile violazione di un luogo sacro.

Un atto che suscitò negli ebrei, e soprattutto nella fazione degli zeloti che da sempre cospiravano contro la dominazione romana, uno sgomento enorme. Fu la miccia di una ribellione importante.

Così si accesero spontaneamente una serie di guerriglie e di agguati tra i romani e gli ebrei e nel corso degli anni si sviluppò una dinamica molto importante per la comprensione di questo periodo storico.

Gli ebrei avevano una religione molto antica: erano soliti consultare continuamente le sacre scritture e in particolare il libro di Daniele.

Interpretando le parole dei profeti, gli ebrei sentivano di appartenere ad un periodo della storia detto di “tribolazione“, in cui avrebbero subìto delle terribili ingiustizie da parte dell’impero romano, che venne visto come l’incarnazione del male.

Nel momento in cui gli ebrei avrebbero resistito all’invasore, superando le tribolazioni, sarebbe arrivato un periodo santo, un periodo d’oro, con la comparsa di un messia.

Nacque così in questo popolo, un accanito fanatismo religioso che portò gli ebrei a scatenare una guerra totale, senza esclusione di colpi, senza possibilità di mediazione e senza alcuna apertura nei confronti dell’avversario.

Fu così che questa guerra assunse rapidamente dei contorni estremamente feroci.

Vespasiano, Tito e la presa di Gerusalemme

L’allora imperatore Nerone, incaricò Vespasiano, il suo miglior generale, di combattere la prima guerra giudaica.

Vespasiano ottenne una prima importante vittoria, conquistando Iotapata, una città molto ben fortificata e strategica nella guerra contro gli ebrei.

Ma fu suo figlio Tito, nel 70 d.C, a compiere l’assalto, l’assedio e la conquista di Gerusalemme, della capitale. Fu un assedio molto duro, estremamente feroce, che si protrasse per diversi giorni.

Anche oltre le intenzioni di Tito, i soldati romani, esacerbati dalla crudeltà del combattimento, si lasceranno andare a notevole ferocia. Gerusalemme venne totalmente rasa al suolo, assieme al suo tempio.

Il simbolo principale della distruzione di Gerusalemme è certamente quello dei soldati romani che trafugano il candelabro a sette bracci, sacro per gli ebrei, fuori dal tempio, come un trofeo.

Il dettaglio venne riprodotto con precisione nel bassorilievo dell’arco di trionfo di Tito, eretto proprio in occasione della sua vittoria.

Il dettaglio dell’arco di Tito con il furto da parte dei romani del sacro candelabro a sette bracci degli ebrei

L’arrivo dei Sicarii

La guerra si era conclusa, ma la situazione non era ancora totalmente risolta.

Soprattutto perché gli ebrei diedero luogo a una guerriglia, ad uno stato di agitazione costante, che sottopose l’esercito romano ad uno sforzo tremendo, un dispendio di tempo, di denaro e di soldati davvero ingente.

Con un paziente e costoso lavoro di sottomissione da parte dei romani, la situazione sembrò comunque andare verso una pacificazione. Ed è proprio in questa fase che un gruppo di ebrei estremisti, i sicarii, emersero alla ribalta.

I Sicarii erano una frangia estremista che combatteva sia i romani, sia gli ebrei che dimostravano di accettare la loro presenza. Il capo di questo gruppo, Eleazar Ben Yair, decise, con i suoi uomini, di arroccarsi a Masada, una enorme fortezza che si affacciava sul Mar Nero, straordinariamente difficile da raggiungere e da espugnare.

Eleazar, con i suoi soldati e con i suoi fedelissimi, avrebbero combattuto fino al loro ultimo respiro. Senza resa.

La fortezza di Masada

Masada si trova nell’odierno Israele. Ancora oggi la zona è visibile in tutto il suo splendore: si riesce a capire, nonostante il passare del tempo, quale straordinaria fortezza doveva essere.

Era un grande altopiano, con pareti di roccia alte centinaia di metri. Erano immensamente ripide e assolutamente impossibili da superare o da scalare, anche per il più moderno e provetto degli alpinisti.

Il Re Erode il Grande, diversi decenni prima, aveva fatto scavare una serie di cisterne che permettevano di raccogliere l’acqua piovana il che rendeva Masada totalmente autosufficiente.

E non solo: Erode aveva radunato una grande quantità di cibo e di armi, diligentemente stipate e organizzate. Quando il capo dei sicarii si trovò di fronte questo spettacolo, capì di poter opporre ai romani una resistenza difficile da spezzare.

Quali sono gli unici punti di accesso di Masada?

Il primo lo troviamo a est: è il famoso “sentiero del serpente“. Si chiama così perché si dipana, proprio come un serpente, ed era estremamente ripido e stretto.

Era veramente molto difficile da attraversare e alla fine, chi fosse riuscito a percorrere questo sentiero, sarebbe arrivato in prossimità della porta orientale. Rigidamente controllata.

L’unico altro punto di accesso, era una via posizionata più a occidente. Questa era però dominata da una grande torre, che sempre Erode aveva fatto costruire. La torre impediva l’accesso, con un tiro dall’alto, ad ogni tipo di avversario.

Masada era veramente qualcosa di straordinario e di inespugnabile: così i romani si trovarono di fronte ad una delle più grandi sfide dell’arte dell’assedio che siano si siano mai verificate nella storia umana.

L’idea della rampa

Come fecero i romani a risolvere una situazione così enigmatica?

Tutto nacque dalla capacità di osservazione degli esploratori. Il loro generale, Silva, inviò degli esperti per capire quale poteva essere un punto debole da cui tentare una scalata.

Dopo qualche giorno di ricognizione, i soldati romani si resero conto che esisteva nella zona occidentale uno spuntone di roccia che veniva chiamato, secondo Flavio Giuseppe, “Bianca“. Questo spuntone era già una ottima base di partenza per colmare il dislivello e per arrivare fino alla sommità di Masada.

I romani spostarono tutte le loro forze in prossimità di “Bianca” e decisero di costruire un enorme terrapieno: spostarono a mano o con piccoli strumenti una quantità gigantesca di terra, sabbia, pietre e massi.

Attraverso un lavoro quasi disumano, il terrapieno prendeva forma e andava a colmare ulteriormente il dislivello: a mano a mano, i soldati romani riuscirono a salire verso la sommità di Masada e ad intravedere l’obiettivo.

Nonostante sia già un atto straordinario, questo non bastava ancora. C’era ulteriore spazio da completare e dal momento che il terrapieno non permetteva il posizionamento di armi d’assedio, i romani proseguirono ulteriormente, prelevando e posizionando dei grandi blocchi di pietra, che sono più stabili, innalzando ulteriormente il livello della loro costruzione.

I resti della rampa di assedio di Masada

Dopo altri giorni di sfiancante lavoro, i romani erano arrivati ad una ventina di metri dalle mura. Su questo terzo livello, molto più stabile, i legionari potevano ora muovere delle costruzioni d’assedio. Sempre su ordine di Silva, costruirono e cominciarono a movimentare una enorme torre ricoperta di ferro.

Nonostante tutti i disturbi possibili da parte degli avversari, la gigantesca torre d’assedio riescì a toccare le mura e finalmente a superare la sommità di Masada.

Raggiunti i loro nemici, i romani cominciano a tirare con gli archi, balestre e scorpioni ogni genere di dardi contro i loro avversari.

Silva decise anche di sfondare il muro di protezione con un classico ariete. Ma gli ebrei ebbero la brillante idea di costruire un secondo muro più interno, abbastanza morbido, in grado di attutire i colpi, neutralizzando il tentativo romano.

Il reale momento in cui tutto si decise fu quando i romani usarono il fuoco verso i palazzi di Masada. Al’inizio il vento fu loro contrario, ma di lì a poche ore il vento cambiò direzione iniziando a spirare verso sud.

Il fuoco iniziò dapprima a lambire e poi ad incendiare la rocca di Masada.

Il suicidio di massa

I romani riuscirono ad avere decisamente la meglio sui loro avversari ma non attaccarono immediatamente. Decisero di aspettare il mattino dopo, consapevoli che la situazione era in pugno.

Quando Eleazar, si rese conto che i romani erano riusciti ad espugnare persino Masada e che non c’era davvero più niente da fare, immaginò che cosa i soldati avrebbero fatto alle loro mogli, ai loro figli e alle loro famiglie.

Decise di togliersi la vita: ma per “salvare” i suoi fratelli, concepì un gigantesco e tragico suicidio di massa.

Secondo le cronache, alcuni furono immediatamente dalla sua parte, volenterosi di togliersi la vita pur di non finire nelle mani dei romani. Altri furono dapprima titubanti, ma alla fine tutti si lasciano convincere. Prima che i romani attaccassero di nuovo, i sicarii avviarono, coscientemente, un tragico auto-sterminio.

Gli uomini cominciarono ad abbracciare piangenti le proprie mogli e i propri figli, poco prima di ucciderli. Decine e decine di persone si tolsero la vita a catena: alcuni tagliarono la gola ai loro amici, altri preferirono conficcarsi la spada nell’addome, fino a che, ora dopo ora, rimasero solamente dieci uomini.

L’ultimo fra loro, estratto a sorte, tolse la vita gli altri nove. Infine, si guardò attonito intorno, controllò che nessuno fosse più vivo, e si gettò nel fuoco, anche lui trafiggendosi con la spada.

Quando il giorno dopo i romani salirono sulla loro costruzione per completare la presa di Masada non incontrarono alcuna resistenza.

Stupiti e sospettosi, temendo una trappola e particolarmente guardinghi, iniziarono ad aggirarsi nei dintorni di Masada osservando sgomenti degli orrendi mucchi di cadaveri.

Solamente due donne sopravvissero: una ragazzina e un’anziana scappate per tempo nei bassifondi della rocca. Furono loro a raccontare ai romani quello che era successo.

E i romani vennero presi da grande stupore e ammirazione: questo gesto nell’antichità, veniva ritenuto un atto d’onore. Fu così che i sicarii negarono per sempre ai legionari, la soddisfazione di catturarli.

Una guerra ad alta quota

La presa di Masada entra nella storia per la straordinaria capacità dei romani di compiere l’impossibile per vincere la guerra e per portare a termine il conflitto.

Quello di Roma, è certamente un esercito del tutto irresistibile. Rimane nella storia la potenza romana, senza appelli. Rimane, tuttavia, anche il sacrificio degli ebrei e il loro elevatissimo senso dell’onore.