L’assedio di Iotapata, giugno del 67 d.C, fu un assedio condotto dal generale romano Tito Flavio Vespasiano assieme a suo figlio Tito, nei confronti della città di Jodfat o Iotapata, nella Galilea del nord, odierno Israele, guidata dai ribelli Giudei comandati dal generale Giuseppe Flavio.
L’assedio si concluse con la vittoria dei romani di Vespasiano, la completa devastazione della città e l’uccisione della gran parte degli abitanti. Si trattò di una vittoria fondamentale per reprimere la rivolta della provincia romana di Giudea, e che fu seguita da altri assedi importanti come quello di Giscala, Gamala e Gerusalemme.
La ribellione dei Giudei del 66 d.C
I romani avevano cercato di gestire la provincia di Giudea coordinando i propri amministratori con le massime autorità giudaiche, come il Sommo sacerdote, il capo del collegio sacerdotale ebraico, e il Sinedrio, la riunione dei saggi, che aveva attività e funzioni di governo del territorio.
I governatori romani, tuttavia, compirono diversi errori e soprusi nei confronti della popolazione giudaica. Molto spesso l’esibizione dei simboli del potere militare di Roma e il censimento per poter imporre le imposte, avevano provocato una violenta reazione da parte dei Giudei.
La situazione precipitò sotto il governatorato di Gessio Floro, il quale, oltre a non onorare alcuni impegni presi di fronte ai leader Giudei, diede ordine di prelevare 23 Talenti direttamente dal tesoro custodito nel tempio di Gerusalemme, per poter finanziare delle opere di manutenzione. Nonostante l’intermediazione dell’aristocrazia Giudea filoromana, una parte sempre maggiore di rivoltosi si organizzò per scacciare i romani.
Il primo episodio di violenza si verificò nella stessa città di Gerusalemme: il contingente romano fu assediato e ridotto allo stremo. Quando i legionari si arresero e si dichiararono disposti a consegnare le armi, i Giudei attesero che i legionari fossero disarmati per poi attaccarli a tradimento e sterminarli.
Venuto a sapere dell’accaduto, il legato di Siria, Cestio Gallo intervenì militarmente per sedare la rivolta, ma i suoi uomini subirono parecchie perdite a causa degli attacchi mordi e fuggi dei Giudei, fino alla disastrosa sconfitta di Beth Horon, sempre nel 66 d.C
Nella prima parte del 66, la provincia romana di Giudea era totalmente fuori controllo.
L’allora imperatore Nerone incaricò così uno dei suoi migliori generali, Tito Flavio Vespasiano, di sedare la rivolta.
Vespasiano poteva contare su due legioni veterane, la X Fretensis e la V Macedonica, mentre suo figlio Tito aveva il compito di convergere con la XV Apollinaris. Supporto militare sarebbe stato garantito anche dal nuovo governatore di Siria, Licinio Muciano.
L’avvicinamento di Vespasiano a Iotapata
Con le sue legioni Vespasiano si mosse verso Cesarea Marittima, la base romana in Giudea. Lì radunò un nutrito contingente di cavalleria, particolarmente adatto a contrastare gli improvvisi attacchi tipici della guerriglia giudaica.
Inoltre ottenne la collaborazione dei mercenari Sebasteni, che erano dotati di una ampia conoscenza del territorio, elemento particolarmente utile in una zona complicata come la Giudea.
Il suo legato, Placido, riuscì ad entrare rapidamente nella città filoromana di Sepphoris, e tentò un primo sommario attacco a Iotapata, che non ottenne successo.
Vespasiano continuò comunque a marciare ordinatamente sul territorio: una delle principali cause delle precedenti disfatte romane risiedeva in un ordine di marcia non sufficientemente prudente che si prestava alle imboscate dei guerriglieri Giudei.
Vespasiano avanzò invece sul territorio con un ordinatissimo ordine di marcia, provocando, alla sola vista dei suoi uomini, la paura dei ribelli guidati dal generale Giuseppe Flavio.
Mano mano i Giudei, anziché attaccare i romani in campo aperto, preferirono radunarsi in città fortificate.
Divenne quindi fondamentale per Vespasiano attaccare ed espugnare Iotapata, la principale roccaforte della Galilea settentrionale.
L’accerchiamento di Iotapata
Giunto sul posto, Vespasiano stabilì il suo accampamento a nord di Iotapata. La città sorgeva su una collina circondata su tre lati da ripidi pendii del tutto inattaccabili. L’unico accesso, abilmente fortificato e presidiato, si trovava sulla parte settentrionale.
Iotapata poteva inoltre contare su una poderosa cinta muraria, ottime riserve di cibo e una buona, anche se limitata, disponibilità d’acqua.
In un primo momento, Vespasiano cercò di condurre un attacco rapido: fece circondare la città da due file di fanti e da una fila di cavalieri, per impedire che i suoi legionari potessero essere attaccati dai lati.
In seguito diede ordine ad un contingente romano di sfondare la porta settentrionale. I Giudei attaccarono i romani con estrema ferocia, sfruttando ripetuti e rapidi attacchi seguiti da improvvise ritirate, che misero rapidamente in difficoltà i legionari.
Così, Vespasiano si rese conto che non poteva conquistare facilmente Iotapata, ma che era necessario procedere con un assedio in piena regola.
La costruzione del Terrapieno
Vespasiano fece nuovamente circondare la città da una fila di armi da getto, che avevano il compito di bersagliare le mura e le sentinelle. Nel frattempo diede ordine di costruire un imponente terrapieno, che doveva colmare il dislivello tra il terreno e le mura.
I legionari si misero immediatamente al lavoro: i Giudei iniziarono ad attaccare dalla sommità delle mura, gettando sui soldati romani qualsiasi oggetto contundente. I soldati si proteggevano grazie ad alcune tettoie montate su ruote (Vinae).
Ma oltre al lancio delle frecce, i Giudei eseguivano regolari sortite che decimavano i legionari e distruggevano sistematicamente buona parte delle fortificazioni. I lavori procedevano quindi con estrema fatica.
Nonostante i tentativi dei Giudei di rallentare i lavori, i soldati riuscirono ad innalzare il loro terrapieno, fino a raggiungere quasi la merlatura delle mura.
Giuseppe Flavio fa alzare le mura
Il generale Giuseppe Flavio si rese rapidamente conto che la situazione stava precipitando e le mura non erano in grado di contenere l’intraprendenza dei romani. Così, pensò di operare uno stratagemma.
Diede ordine di fissare dei pali sulla sommità delle mura e di far stendere delle pelli e delle stuoie di cuoio, opportunamente bagnate, per far credere ai romani che Iotapata non stesse soffrendo la sete.
Agli occhi dei romani questa operazione sembrò una classica contromisura per proteggersi dalle frecce.
In realtà la funzione dei pali era molto più importante: si trattava di un trucco per nascondere alla vista dei romani le operazioni di innalzamento delle mura, che dovevano vanificare il lavoro dei legionari.
Proprio quando i romani ritenevano di essere arrivati alla sommità della cinta muraria, Giuseppe Flavio fece cadere i pali, e i soldati si resero conto che il muro era stato innalzato di altri 9 metri sopra di loro.
Vespasiano dovette gestire lo sconforto dei propri uomini e diede ordine di alzare ulteriormente il terrapieno, comandando agli arcieri di bersagliare con sempre maggiore precisione qualunque Giudeo si fosse affacciato alle mura.
Vespasiano fa intervenire l’ariete
I legionari colmarono gli ulteriori 9 metri che li separavano dalla sommità delle mura. Dopodiché, Vespasiano diede ordine di costruire un ariete per attaccare. La macchina d’assedio fu pronta in pochi giorni ed iniziò ad avvicinarsi, attraverso il terrapieno.
Flavio utilizzò allora un altro stratagemma: fece preparare degli enormi cuscini imbottiti di paglia e, con delle funi, li fece calare dalle mura, in modo tale che questi si frapponessero tra il muro e la testa dell’ariete. In questo modo i colpi inferti dalla macchina d’assedio romana venivano attutiti dalla paglia.
I legionari reagirono attaccando sulla sommità di lunghi pali di legno delle falci ricurve, in modo da tagliare le corde che sostenevano i cuscini senza esporsi al tiro nemico.
Giuseppe Flavio comandò allora di attaccare con delle frecce infuocate direttamente l’ariete. Dalle mura di Iotapata si levarono centinaia di dardi, che uccidevano i legionari e appiccavano fuoco alle parti in legno della macchina. L’ariete arrivò a spezzarsi, e i soldati furono costretti ad un momentaneo ritiro.
Una volta riparato, l’ariete ricominciò ad attaccare le mura. Mano mano, la cinta muraria iniziò a cedere e si aprì una breccia, attraverso la quale i legionari potevano penetrare in città.
Il combattimento corpo a corpo
Ora i legionari potevano affrontare i ribelli Giudei in un combattimento corpo a corpo. La situazione morale di Iotapata era disperata: Flavio fu costretto a far rinchiudere le donne nelle loro case, per evitare che i loro lamenti e i loro pianti disperati potessero abbassare ulteriormente il morale dei combattenti.
Dopodiché si posizionò personalmente di fronte alla breccia aperta dai romani e si schierò in prima linea, con alle sue spalle un contingente di guerrieri.
Vespasiano schierò invece alcuni legionari armati di lunghe lance, che avevano il compito di tenere gli avversari a distanza nel frattempo che la fanteria alle loro spalle penetrava in città.
Lo scontro presso la breccia era furioso: i guerrieri Giudei combattevano aspramente e senza paura, mettendo in difficoltà i legionari, che riuscivano a muoversi a stento. Tuttavia, con il passare del tempo, i soldati romani iniziarono a prevalere in virtù del loro migliore equipaggiamento e della tecnica della “Mutatio”, secondo cui uomini freschi si sostituivano a quelli più stanchi.
Rendendosi conto che i suoi stavano indietreggiando, Giuseppe Flavio iniziò a far bersagliare i legionari dalle frecce. Questi si posizionarono a testuggine per resistere all’attacco dei dardi. Flavio fece allora versare sulle testuggini dell’olio bollente, dando ordine di appiccare il fuoco.
I legionari si trovarono stretti in una situazione terribile: l’olio bollente che colava attraverso gli scudi li ustionava. Nonostante questo, riuscirono ad avanzare.
Flavio fece allora lanciare addosso ai soldati nemici del fieno greco. Si trattava di una pianta ricca di sostanze mucillaginose: i romani iniziarono a scivolare, cadendo dalle mura o venendo finiti dai guerrieri Giudei.
Vespasiano, rendendosi conto della complessità della situazione e capendo che stava perdendo troppi uomini, ordinò una ritirata strategica.
La costruzione delle Tre Torri e la distruzione della città
Vespasiano fu costretto ad aggiornare la sua strategia. Diede così ordine di costruire, accanto al terrapieno, tre altissime torri in legno e ferro. Una volta ultimate, dalla sommità delle torri gli arcieri potevano bersagliare i Giudei, fornendo un fuoco di appoggio che si rivelò fondamentale per i legionari.
Nel frattempo la città era sempre più nel caos e un disertore contattò Vespasiano, avvisandolo che era arrivato il momento giusto per sferrare l’attacco finale.
Vespasiano scelse di incaricare il figlio Tito. Alla testa della sua cavalleria e dei legionari, Tito attaccò nuovamente Iotapata, sempre attraverso la breccia aperta il giorno precedente, e fu finalmente in grado di dilagare in città.
I romani dovettero combattere per le strette stradine di Iotapata, ma riuscirono ad uccidere uomini, donne e bambini, senza ritegno. Si trattò di un autentico massacro, che sterminò quasi tutta la popolazione di Iotapata.
Gli ultimi guerrieri scapparono presso le grotte sotterranee, rifugiandosi negli anfratti pur di sfuggire ai romani.
I legionari li inseguirono, dandogli però la possibilità di arrendersi. La gran parte dei guerrieri preferì attaccarli, morendo da eroi piuttosto che collaborare.
Tra i fuggitivi vi era anche Giuseppe Flavio, che fu raggiunto dai romani in una delle grotte di Iotapata.
Vespasiano diede la possibilità a Flavio di arrendersi, riconoscendo il suo valore militare. I guerrieri che erano con lui minacciarono di ucciderlo, affermando che era meglio morire da eroi che da traditori. Ma Flavio, con notevole capacità diplomatica, iniziò un lungo discorso per convincere i compagni che non era necessario sacrificare la vita di fronte ad un nemico valoroso.
I ribelli non lo ascoltarono e scelsero di suicidarsi, uccidendosi l’un l’altro, mentre Flavio, rimasto ultimo e da solo con un altro combattente, lo convinse a risparmiargli la vita e si consegnò spontaneamente ai romani, che lo trattarono umanamente.
Dal punto di vista storiografico, la salvezza di Giuseppe Flavio rappresenta una vera e propria ricchezza. È infatti lui la principale, e a volte l’unica fonte che abbiamo sulle guerre giudaiche.
Le conseguenze della vittoria di Iotapata
La presa di Iotapata spezzò la resistenza giudaica nella Galilea settentrionale. Di lì a poco altre città, da Giscala a Gamala, caddero nelle mani dei romani.
Vespasiano operò in seguito una strategia che si basava sulla conquista delle città più importanti e delle principali roccaforti, nelle quali posizionava puntualmente un presidio di soldati. Inoltre, faceva regolarmente appiccare incendi alle campagne per devastare i raccolti, obbligando i ribelli ad abbandonare le loro posizioni e a convergere verso Gerusalemme, nella quale, tuttavia, si dibatteva furiosa una guerra civile tra fazioni giudaiche diverse.
In questo modo Vespasiano riusciva ad isolare il nemico e a indebolirlo.
In breve, Vespasiano riuscì ad isolare il resto dei combattenti nella città di Gerusalemme, che venne poi assediata da suo figlio Tito nel 70 d.C