Secessio Plebis o Secessione della plebe

La Secessio Plebis,  o Secessione della plebe, è stata una protesta generale attuata da parte dei cittadini romani di rango plebeo, simile all’odierno concetto di sciopero generale. 

Durante la secessione, la plebe abbandonò in massa i negozi, le botteghe e le officine, interrompendo il lavoro, le transazioni commerciali e i lavori di manutenzione della città, come forma di protesta contro l’ordine Patrizio. 

Dal momento che i cittadini plebei costituivano la stragrande maggioranza della popolazione di Roma e producevano la maggior parte del cibo e delle risorse, la Secessione della plebe mise più volte in grave crisi l’ordine degli aristocratici, che furono di volta in volta costretti a concedere maggiori diritti e privilegi in favore della parte più povera e lavoratrice della popolazione.

Secessio plebis o Secessione della plebe

La prima Secessione della storia romana: 494 a.C

Attorno al 495-494 a.C, Roma era una città-stato governata da due Consoli e dal Senato, che svolgevano le principali funzioni esecutive e legislative. Questi organi erano composti esclusivamente da aristocratici, i cosiddetti Patrizi, che rappresentavano una ricca minoranza del Popolo romano.

I plebei, già fortemente contrariati dall’incontrastato dominio politico dei Patrizi, iniziarono a manifestare grave insofferenza anche per i debiti, protestando ferocemente contro alcune leggi che autorizzavano le percosse e addirittura l’imprigionamento dei debitori da parte dei loro creditori.

In merito a questo è significativo l’aneddoto raccontato dallo storico romano Tito Livio: un ex ufficiale dell’Esercito romano aveva subito l’incendio dei suoi beni e delle sue terre durante la guerra contro i Sabini. Tornato a casa, fu costretto non solo ad affrontare il disastro economico della sua famiglia, ma addirittura a chiedere un prestito ad un usuraio per poter pagare delle tasse che gli erano state imposte.

L’ufficiale aveva dovuto rinunciare a tutte le proprietà della sua famiglia, comprese le fattorie appartenute a suo padre e a suo nonno. Nonostante le rinunce, l’ufficiale non fu in grado di pagare il suo debito e i suoi creditori riuscirono a portarlo in prigione, facendolo frustare e minacciare di morte.

Esasperato dalla situazione, l’ufficiale scappò nel foro romano, dove gridò a gran voce la sua disperazione, attirando una gran folla che ben presto si trasformò in un tumulto.

Nonostante la situazione fosse così grave, l’allora Console Appio, ignorando quanto stava accadendo, fece approvare alcuni decreti altamente impopolari che rafforzavano la possibilità da parte dei creditori di ottenere l’incarcerazione dei loro debitori.

La situazione, arrivata ad un punto critico, provocò una mobilitazione di massa: su consiglio di Lucio Sicinio Velluto, la massa di plebei abbandonò i negozi e le botteghe, raggiungendo il Monte Sacro, a più di tre miglia da Roma. 

I plebei si barricarono sulle loro posizioni e rimasero in attesa dell’azione del Senato. Senza il loro fondamentale apporto, Roma era completamente bloccata, così come tutte le attività economiche.

Il Senato fu costretto a cedere e a prendere dei provvedimenti per risolvere la questione. Inviando tre ambasciatori per dialogare con i capi della rivolta, il Senato giunse ad una risoluzione. I Patrizi annullarono una parte dei crediti che avevano maturato nei confronti dei plebei, e concessero loro la possibilità di eleggere un magistrato denominato “Tribuno della plebe”.

Sotto l’aspetto sociale si trattava di una vera e propria rivoluzione: nonostante la massima magistratura, il consolato, poteva ancora essere ricoperta solamente da Patrizi, i tribuni rappresentavano la prima importante carica assegnata esclusivamente ai plebei. 

La prerogativa del tribuno della plebe era quella di poter bloccare le leggi che venivano ritenute dannose per la classe plebea, esercitando il proprio diritto di veto. Inoltre, il tribuno era sacrosanto ed intoccabile, il che significa che chiunque avesse tentato di danneggiarlo o di minacciarlo era soggetto alla pena capitale.

La seconda Secessione della plebe: 449 a.C

La seconda Secessione della plebe fu causata dagli abusi compiuti da una commissione di dieci magistrati straordinari chiamati “Decemviri.”

Nel 450 a.C, Roma decise di nominare i decemviri per redigere il primo codice di leggi scritte della repubblica. Alla commissione venne concesso il termine di un anno per svolgere il compito, durante il quale vennero sospese tutte le attività dello Stato. 

Dopo aver emanato le nuove norme, note come “Leggi delle XII tavole”, i magistrati rifiutarono però di dimettersi dal loro incarico e mantennero il loro potere con la forza: un ex tribuno della plebe, che si era opposto venne immediatamente ucciso.

Inoltre, uno dei decemviri, Appio Claudio Crasso, tentò di costringere una donna, Virginia, cittadina romana, a sposarlo, affermando falsamente che si trattava di una schiava. Per evitare l’abuso da parte del magistrato, il padre fu costretto a pugnalare la figlia, con un atto che sconvolse la popolazione.

La serie di soprusi operati dai Decemviri portò ad una serie di disordini: i plebei abbandonarono la città e si spostarono sul colle Aventino.

Il Senato fece immediatamente pressioni sui decemviri affinché si dimettessero, ma questi rifiutarono. Il popolo decise allora di spostarsi di nuovo sul Monte Sacro, come era accaduto durante la prima Secessione. In Senato incolpò i decemviri di questa seconda ribellione generale, e riuscì a costringerli a lasciare il loro incarico.

Smantellato il collegio dei decemviri, vennero poi scelti due senatori, Lucio Valerio Potito e Marco Orazio Barbato, per negoziare con i rivoltosi.

La plebe chiedeva sia il ripristino della figura dei tribuni della plebe, il cui potere era stato recentemente ridimensionato, sia l’istituzione del diritto di appello durante i processi, altra norma che i decemviri avevano soppresso. Le loro richieste vennero subito accettate.

Lucio Valerio Potito e Marco Orazio Barbato divennero Consoli nel 449 a.C: rispettando gli accordi, aumentarono il potere e i privilegi dei plebei.

Secondo gli annali, venne decretata una nuova legge, la Lex Valeria Horatia de plebiscìtis che stabiliva che tutte le leggi approvate dal concilio della plebe fossero vincolanti anche per tutti gli altri cittadini romani, compresi i Patrizi.

Le leggi, una volta promulgate, avevano bisogno dell’approvazione del Senato, che deteneva il potere di veto, ma i plebei avevano comunque ottenuto la grande possibilità di emanare delle leggi in piena autonomia. 

Tutti i provvedimenti decisi dal concilio della plebe dovevano essere messi per iscritto e custoditi nel tempio di Cerere, sorvegliati dagli edili, dei magistrati plebei. Questo significava che sia i tribuni della plebe che gli edili sarebbero sempre stati a conoscenza del contenuto dei decreti, elemento che un tempo era esclusivo appannaggio degli aristocratici.

Secessio Plebis o Secessione della plebe

I decreti divennero così di pubblico dominio, e la loro consultazione non fu riservata solamente a pochi eletti: i consoli non avevano inoltre la possibilità di abrogarli o alterarli senza confrontarsi con il concilio della plebe.

La terza Secessione della plebe del 445 a.C

Dopo l’istituzione delle dodici Tavole del diritto romano, i decemviri avevano stabilito il divieto di celebrare matrimoni misti tra patrizi e plebei: il tribuno della plebe Gaio Canuleio, nel 445 a.C, propose di abrogare questa legge.

La reazione dei Consoli fu dura: questi sostenevano che il tribuno stava proponendo niente meno che il crollo dello stesso tessuto sociale e morale su cui si fondava Roma, in un momento delicato, perchè la città era minacciata da nemici esterni.

Canuleio rispose pubblicamente, ricordando al popolo i contributi dei romani di umile nascita, e fece notare che il Senato stesso aveva volontariamente concesso la cittadinanza anche a dei nemici sconfitti.

Così, Canuleio ripropose la legge per consentire i matrimoni misti e rincarò la dose: chiese infatti di concedere anche ai plebei la possibilità di candidarsi al consolato.

I consoli risposero chiamando in causa la religione: secondo la loro interpretazione, i figli dei matrimoni misti avrebbero potuto scatenare l’ira degli Dei, ribadendo che proporre una legge del genere in un momento tanto delicato significava, da parte dei tribuni, indebolire la città in un momento di grande pericolo.

I plebei ebbero la meglio:  l’opinione pubblica pretese il cambiamento della legge, e fu così abrogato il divieto dei matrimoni misti tra patrizi e plebei.

La proposta che avrebbe consentito ai plebei di candidarsi al consolato, invece, non fu nemmeno portata ai voti.  Questa volta gli ottimati minacciarono di scatenare una crisi sociale e parvero irremovibili. Venne quindi realizzato un compromesso: la creazione di una carica chiamata “Tribuno militare con potere consolare.”

In questo modo i plebei, seppur formalmente non potessero ancora accedere al consolato, avevano la possibilità di ricoprire una carica ed una magistratura che gli conferiva dei poteri simili.

La proposta fu ben accolta, e già l’anno successivo furono eletti i primi tribuni consolari.

La quarta Secessione del 342 a.C

Sulla quarta Secessione del 342 a.C non abbiamo fonti precise. Vi è un rapido accenno da parte dello storico Tito Livio, che scrive tuttavia durante il periodo di Augusto. Probabilmente si trattò di una rivolta militare, forse collegata ad un nuovo tentativo da parte dei plebei di ottenere l’elezione diretta di un loro rappresentante tra i consoli.

La quinta Secessione del 287 a.C

Nel 287 a.C, si verificò l’ultima Secessione plebea nella storia romana. Pochi anni prima, nel 290, gli eserciti romani guidati dai Consoli Manio Curio Dentato e Publio Cornelio Rufino avevano conquistato vasti territori nella Pianura di Rieti a danno dei Sabini.

Ma le terre conquistate vennero distribuite esclusivamente ai Patrizi. I contadini plebei, che avevano combattuto la guerra e avevano contribuito in maniera determinante a vincerla, rimasero senza terre, costretti perdipiù a ripagare gli enormi debiti che avevano contratto nel tempo con i Patrizi.

Messi in crisi, i plebei si ritirarono nuovamente sul colle Aventino. Per risolvere la questione, il Senato nominò il dittatore Quinto Ortensio, che convinse la folla a fermare la Secessione.

Poco dopo, Ortensio promulgò una legge, la Lex Hortensia, che andava a confermare in maniera definitiva la Lex Valeria Horazia, emanata qualche anno prima: tutte le leggi decise dalle assemblee dei plebei avrebbero vincolato per sempre tutti gli altri cittadini romani.

In questo modo, la disparità politica tra le due classi venne completamente annullata, chiudendo il cosiddetto “conflitto degli ordini “, dopo circa 200 anni di lotte.

Nonostante le disuguaglianze economiche e le differenze sociali tra patrizi e plebei rimasero evidenti, la storia politica romana conobbe un punto di svolta decisivo.

Si formò infatti un nuovo tipo di nobiltà mista Patrizia e plebea, la “Nobilitas“, che costituì uno dei principali elementi di forza dell’espansione economica e militare di Roma.