L’Ucraina è un territorio da sempre conteso da diverse popolazioni: da un continuo andirivieni di tribù di ceppo iranico nel mondo antico, l’Ucraina è stata occupata dalla Rus’ di Kiev, uno dei principali stati monarchici medievali.
Il territorio venne poi conteso tra la confederazione polacco-lituana e i cosacchi, fino all’intervento della Russia. L’Ucraina, entrata nell’orbita dell’Unione Sovietica, subì poi la dominazione dell’Unione Sovietica attraversando anche la drammatica carestia dell’Holodomor, che è stata riconosciuta dalla maggior parte degli studiosi come un crimine contro l’umanità perpetrato da Stalin.
Dopo l’invasione dei nazisti nel corso della Seconda Guerra Mondiale, e aver subìto un olocausto sul territorio, anche grazie ad alcuni collaborazionisti ucraini, e dopo gli eccidi contro i polacchi a opera dell’Esercito Insurrezionale Ucraino, divenne uno Stato indipendente in seno alla dissoluzione della Unione Sovietica.
Gli ultimi presidenti si sono alternati tra filorussi e filo-occidentali, con politiche tra loro diverse fino all’invasione della Crimea da parte della Russia e ad alcuni scontri con separatisti dei distretti del Donetsk e del Luhansk che si sono evoluti in una guerra civile, ancora in corso, fino all’invasione russa guidata da Vladimir Putin.
Il periodo antico e le diverse tribù in Ucraina
La storia antica dell’Ucraina è dominata da una serie di tribù e di popolazioni che si sconfissero l’una con l’altra e molto spesso presero il posto di civiltà precedenti.
Uno dei più antichi popoli attestati nel territorio dell’odierna Ucraina fu quello dei Cimmeri, popolazione indoeuropea organizzata in tribù, che occuparono la zona nel XI secolo a.C. Nel VII secolo a.C, gli Sciti, altri nomadi indoeuropei di ceppo iranico, cacciarono i Cimmeri e costituirono il regno di Scizia. Oggi, di quel regno antico e moderatamente potente, rimangono alcuni tumuli funebri noti come Kurgan.
Gli Sciti vennero cacciati successivamente dai Sarmati, a loro volta allontanati dai Goti e, contemporaneamente alla caduta dell’impero romano d’Occidente, dagli Unni, che nel 370 d.C presero saldamente il controllo del territorio. Più tardi, nel 630 d.C, un’altra popolazione, i Protobulgari, dei seminomadi guerrieri di origine turco-iranica, dominarono il territorio costituendo il Khanato protobulgaro, guidato dalla figura del Khan, un termine che nella cultura asiatica indica il principe, il Monarca.
Nel 668 d.C, il territorio venne conquistato dai Cazari, altri seminomadi guerrieri, i quali subirono la migrazione dei Magiari, gli antenati degli ungheresi, ma che stavolta furono in grado di assimilarli all’interno della loro società senza scontri. Non vi sono delle fonti ufficiali, ma secondo delle leggende popolari raccolte da uno dei più grandi storici ucraini, Mykhalo Hruševs’kyj, fu esattamente in questo periodo che nacque la città di Kiev, attraversata dal fiume Dnepr, che divenne rapidamente il principale centro abitato del territorio.
La Rus’ di Kiev
Dopo una parentesi caratterizzata dal dominio di nomadi turchi noti come Peceneghi, nel Medioevo e precisamente nel 882 d.C, Oleg di Novgorod, principe della popolazione dei Variaghi scandinavi, conquistò Kiev e le zone attorno, favorendo l’immigrazione di una grande quantità di popoli norreni. Nei decenni successivi si aggiunsero delle tribù scandinave e delle popolazioni slave che andarono ad arricchire il territorio e la sua economia. In quel periodo, Kiev conobbe una importante crescita come centro per i commerci di tutta la zona.
Si formò così un vero e proprio stato monarchico medievale noto come Rus’ di Kiev.
Quello stato conobbe rapidamente una buona crescita economica e militare, diventando uno dei principali attori dell’Europa medievale. Addirittura, nel 941 d.C, la Rus’ fu in grado di dichiarare guerra all’Impero bizantino: il principe Igor di Kiev sbarcò con la sua flotta sulle coste della Bitinia e avviò una guerra di quattro anni contro l’Impero Bizantino.
Gli scontri furono piuttosto sanguinosi e terminarono con un trattato tra i due stati, anche grazie al pagamento da parte dell’Impero bizantino di una cospicua somma di denaro per comprare la pace.
Nel corso del XI secolo d.C la rus’ di Kiev era la confederazione più grande d’Europa, ed esattamente in questo periodo nacque il nome di “Ucraina”: il primo significato è quello di “Entroterra” ma ben presto fu aggiornato con l’accezione di “Terra di passaggio” o “Terra di confine”.
Un importante punto di svolta per la Rus’ fu lo sviluppo del Cristianesimo, introdotto dal sovrano Vladimir Il Grande. Sì verificò dunque una conversione religiosa di massa che unificò ulteriormente le popolazioni. Tuttavia, una serie di rivolte e di lotte politiche interne cominciarono a flagellare il territorio: la capitale, Kiev, venne conquistata e persa più volte in poco tempo, in quello che si configurava pienamente come il declino della Rus’ di Kiev.
L’invasione dei mongoli
Il colpo di grazia a quello stato monarchico medievale venne dato, nel XIII secolo, dall’arrivo dei Mongoli: la capitale Kiev venne conquistata e messa a ferro e a fuoco, le popolazioni furono massacrate e scapparono in massa. Delle cronache che ci sono giunte da Giovanni dal Pian del Carpine, un intellettuale e missionario francescano italiano, ci riferiscono di una Kiev dominata dalla desolazione, dai teschi dei morti che erano sparsi per le strade e da circa 200 famiglie, le sole rimaste delle migliaia che popolavano la capitale.
I Mongoli imposero il pagamento del tributo a tutto ciò che rimaneva della Rus’di Kiev, soprattutto alle regioni della Galizia e della Volinia. Il dominio di quest’ultimi venne però messo in discussione, nel XIV secolo, dagli eserciti della Polonia e della Lituania, che con una serie di sanguinosi scontri, furono in grado di cacciare l’esercito mongolo.
L’Ucraina entrò dunque in un nuovo periodo caratterizzato dal potere della Lituania e della Polonia.
Dal Granducato di Lituania all’oppressione polacca
Inizialmente, la zona fu sottoposta al controllo prevalente del Granducato di Lituania: gli ucraini vennero trattati in maniera positiva. I loro aristocratici potevano occupare posizioni di potere all’interno del Granducato, si diffuse il Cristianesimo ortodosso e fu concesso di parlare liberamente ucraino e di coltivare la cultura Ucraina senza problemi, in un ottimo esempio di collaborazione tra lituani e popolazioni del luogo.
Successivamente, il potere si spostò nelle mani della corona di Polonia: il trattamento riservato all’Ucraina si modificò radicalmente. Si verificarono immigrazioni di massa di tedeschi, ebrei ed ulteriori popolazioni lituane. Gli ucraini vennero confinati, anche geograficamente, all’interno della regione ed iniziò da parte dei polacchi una oppressione evidente e a tratti spietata.
La situazione precipitò quando gli ucraini, sfiniti dalla discriminazione perpetrata dai polacchi, iniziarono a organizzare delle ribellioni di massa, supportate dai Moldavi, che furono incarnate al meglio da Petro Mukha, uno dei protagonisti della Resistenza Ucraina contro i polacchi.
La confederazione polacco lituana e la lotta contro i cosacchi
Nonostante i tentativi di ribellione e d’indipendenza, il potere della Polonia e della Lituania era ancora molto forte sul territorio. Con il Trattato di Lublino, del 1569, la Polonia e la Lituania costituirono una vera e propria federazione, che controllava direttamente anche tutti i territori dell’Ucraina.
Una massa di contadini polacchi cattolici, cominciò a prendere possesso forzatamente dei terreni ucraini. Se l’aristocrazia Ucraina accettò i nuovi arrivati e soprattutto la loro religione cattolica, la gran parte dei contadini ucraini non sopportava né l’oppressione dei polacchi né, essendo cristiani ortodossi, il loro cattolicesimo.
Così, si organizzarono in gruppi noti come cosacchi: contadini-guerrieri che lottavano contro i polacchi per la Libertà dell’Ucraina.
Inizialmente la confederazione polacco lituana, resasi conto dell’efficienza dei cosacchi, li arruolò all’interno del loro esercito regolare per difendere i confini del territorio, anche contro le pressioni della Russia. I cosacchi servirono fedelmente, soprattutto per evitare l’intromissione di nuove entità all’interno della zona.
Ma quando, dopo aver servito militarmente per la confederazione, chiesero nuovamente a gran voce l’autonomia, la confederazione polacco lituana li confinò a “Servi della gleba”, senza alcuna possibilità di riscatto.
Ricominciarono dunque le ribellioni da parte dei cosacchi, che nel frattempo si organizzarono in uno stato noto come Etmanato: nel 1648, i cosacchi si trovavano tuttavia in una situazione molto delicata. Non solo dovevano combattere contro i polacchi ma anche contro le intromissioni dei Turchi ottomani. Per questo motivo, pensarono di ottenere l’appoggio della nazione più potente del territorio, la Russia.
Con il Trattato di Peryeslav, i cosacchi giurarono fedeltà allo Zar Alessio I di Russia, in cambio di un appoggio nella lotta contro i polacchi. In questo modo, grazie all’apporto del nuovo potente alleato, si scatenarono altri 13 anni di guerra contro la confederazione polacco lituana.
Tuttavia, al termine del conflitto, la federazione polacco lituana prese l’iniziativa: venne dunque organizzato un accordo tra polacchi, lituani e russi, dove i cosacchi non vennero nemmeno invitati a partecipare. In quella situazione, il territorio venne spartito secondo le esigenze delle grandi potenze. La Russia ottenne il controllo della parte orientale, polacchi e lituani mantennero il potere sulla zona più occidentale dell’ Ucraina mentre l’Etmanato autonomo dei cosacchi venne riconosciuto come indipendente.
In realtà, l’Etmanato fu sottoposto alla crescente oppressione e ingerenza dei russi: i cosacchi presero nuovamente le armi per opporsi alla Russia, ma questa volta i loro eserciti vennero rapidamente annientati e la loro resistenza stroncata.
Il nazionalismo ucraino contro la Russia
Nell’Ottocento, la situazione si era modificata: la parte più occidentale dell’Ucraina era ora sotto il controllo dell’impero austro-ungarico mentre la zona a est era dominata dai russi. In questo periodo, nacque un profondo sentimento nazionalista ucraino, coltivato da una intera generazione d’intellettuali. Questo movimento culturale preoccupò in maniera particolare la Russia, che temeva delle nuove ribellioni.
La Russia decise dunque di stroncare questo nazionalismo, impedendo la diffusione della cultura Ucraina e vietando di studiare e di parlare l’ucraino in quei territori. Alcuni intellettuali cedettero alle pressioni adeguandosi a una propaganda filorussa, mentre altri, scappati in esilio per proteggere la propria sicurezza, continuarono a coltivare il sentimento d’indipendenza dell’Ucraina.
Questi movimenti portarono tra il 1917 e il 1920 allo scoppio di un caos completo in tutta la regione. Gran parte degli storici moderni concordano nel definire questo periodo come l’esempio più riuscito di completa e totale anarchia. Decine di fazioni diverse, ucraini, russi, cosacchi, correnti interne ai singoli movimenti politici, si contendevano il controllo del territorio. Ben sei eserciti differenti lottavano costantemente nelle principali città e in un solo anno la capitale Kiev venne conquistata e persa per cinque volte.
Il risultato di queste straordinarie lotte fu la costituzione di due entità: la prima era nota come “Territorio libero dell’Ucraina “. Si trattava di una società completamente anarchica e apolide, dove non esisteva un governo, né leggi né istituzioni, e che veniva tecnicamente autogestita direttamente dalla popolazione.
La seconda zona, venne invece costituita come “Repubblica socialista Sovietica dell’Ucraina”, che in breve tempo entrò nell’orbita dell’Unione Sovietica.
La tragedia dell’Holodomor
La parte dell’Ucraina entrata sotto il controllo dell’Unione Sovietica subì tra il 1932 e il 1933 una gravissima ed improvvisa carestia. Il cibo scarseggiava ovunque e nel corso di un solo anno morirono tra le 6 e le 8 milioni di persone, di cui 5 milioni solamente ucraine. I racconti del tempo mostrano migliaia di persone che fuggono dai loro territori alla ricerca di cibo, morti per le strade, episodi di cannibalismo, situazioni estreme.
Proprio in quegli anni, nei decenni successivi ed ancora ai giorni nostri, l’Ucraina ha tuttavia lanciato una grandissima accusa: quella carestia non fu provocata da eventi meteorologici avversi o da condizioni puramente naturali, ma venne imposta dal capo dell’Unione Sovietica di allora, Iosif Stalin, all’interno del suo progetto politico d’industrializzazione dell’Unione Sovietica.
Quella carestia, fu dunque organizzata da Stalin anche per punire coloro che non collaboravano al nuovo corso che si voleva imprimere all’Unione Sovietica. Secondo queste denunce, Stalin avrebbe volontariamente requisito il cibo destinato alle popolazioni ucraine, imponendo l’interruzione dei rifornimenti e causando la fame e la morte di milioni di persone.
La comunità internazionale ha reagito in maniere diverse di fronte a queste denunce: gli Stati Uniti, con una risoluzione della loro congresso, hanno immediatamente riconosciuto l’Holdomor come un crimine contro l’umanità. Anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite, con una dichiarazione ufficiale e il Parlamento Europeo, confermano che l’Holodomor fu un atto volontario portato avanti dalle politiche di Stalin.
La maggior parte degli storici ritiene assolutamente sufficienti le prove finora raccolte per definire quella carestia come un atto voluto e criminale nei confronti del popolo ucraino.
Solo una piccola parte degli studiosi ritiene che l’Holodomor sia una propaganda Ucraina, mentre alcuni stati come Germania, Francia e Italia, sebbene abbiano votato a favore nei consessi internazionali, non hanno ancora riconosciuto l’Holodomor come crimine contro l’umanità nei rispettivi parlamenti.
L’Ucraina durante la Seconda Guerra Mondiale
Nel 1941, le forze dell’Asse, e prevalentemente la Germania e l’Italia, avviarono l'”Operazione Barbarossa”, che prevedeva l’invasione dell’Unione Sovietica aprendo il cosiddetto “fronte orientale.” In quella situazione, i tedeschi invasero anche l’Ucraina.
La reazione degli ucraini fu duplice: una parte identificò immediatamente i soldati tedeschi della Wermacht come degli oppressori e degli invasori, dando luogo ad una lotta partigiana condotta con metodi di guerriglia.
Un’altra parte degli ucraini, vide invece nei tedeschi dei possibili liberatori dall’influenza e dal potere dell’Unione Sovietica, schierandosi a fianco dell’esercito tedesco e collaborando militarmente con le loro azioni. Fu questo contingente, costituito in parte dell’esercito tedesco e in parte dai collaborazionisti ucraini, che perpetrò l’olocausto degli Ebrei nel paese. Un milione e mezzo di ebrei vennero deportati e uccisi, ammassati in fosse comuni, nel più grande sterminio mai verificato nel territorio dell’Ucraina.
Negli anni immediatamente successivi, una parte degli ucraini che avevano collaborato con i tedeschi iniziò a rendersi conto che questi non si ponevano come dei liberatori, ma che erano semplicemente dei nuovi oppressori e invasori. Si sviluppò quindi una nuova corrente guidata dai generali Bandera e Sucevic.
Questo nuovo movimento si proponeva d’istituire una Ucraina totalmente indipendente da qualsiasi forza estera e un paese completamente puro: solo cultura Ucraina, solo lingua ucraina, senza alcuna interferenza. Questo movimento, costituì l’esercito insurrezionale ucraino, che cominciò a combattere sia contro i soldati dell’Unione Sovietica, sia contro i tedeschi, adesso diventati nemici, sia contro i polacchi.
Fu in questo contesto che si verificò un orribile massacro: l’esercito insurrezionale ucraino riteneva che le zone della Volinia e della Galizia orientale, abitate prevalentemente da gente ucraine, fossero indebitamente sotto il potere polacco. Per questo motivo si arrivò al massacro della Volinia e della Galizia orientale: gli insurrezionalisti ucraini massacrarono, stuprarono, uccisero, fecero a pezzi e gettarono in fosse comuni improvvisate dai 50.000 ai 100.000 polacchi.
Una parte dei contadini ucraini appoggiò l’esercito insurrezionale nel compiere questo orribile massacro. Altri, che si rifiutarono, vennero probabilmente uccisi, secondo la teoria dello storico Snyder.
Questo aspetto è tuttavia ancora controverso.
L’indipendenza dell’Ucraina e il disfacimento dell’Unione Sovietica
All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, l’Ucraina era ancora una delle 15 Repubbliche Socialiste di cui l’Unione Sovietica era composta. Tuttavia, il paese godeva di una buona libertà d’iniziativa nella politica internazionale, tanto da essere tra i membri fondatori dell’ONU. Questo aspetto favorì anche l’Unione Sovietica in quanto, fino a quel momento, i paesi facenti parte di questa nuova organizzazione erano prevalentemente del blocco occidentale.
Il popolo ucraino, desiderava però la completa Indipendenza. Nel 1990, 300.000 ucraini costituirono un vero e proprio corteo umano che si snodava dalla capitale Kiev fino alla città di Leopoli, una manifestazione che impressionò il mondo intero. Nell’agosto del 1991, il Parlamento ucraino dichiarò l’indipendenza dall’Unione Sovietica e annunciò ai cittadini che non avrebbe accettato alcuna legge o provvedimento dai sovietici.
Così, il primo dicembre del 1991 si tenne un referendum dove i cittadini ucraini, con il 90,3% delle preferenze, votarono a favore della completa indipendenza. L’Ucraina divenne così uno stato autonomo dall’Unione Sovietica e nominò nello stesso giorno Leonid Kravchuk come primo presidente dell’Ucraina indipendente.
Di lì a poco, il 26 dicembre del ’91, i presidenti di Russia, Ucraina e Bielorussia firmarono la dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Il governo di Leonid Kravchuk e di Kučma
Leonid Kravchuk, primo presidente dell’Ucraina indipendente, venne definito dai contemporanei come uomo astuto e diplomatico. Promosse una politica di collaborazione con gli Stati Uniti: firmò infatti un accordo che prevedeva lo smantellamento di qualsiasi arma nucleare sul territorio dell’Ucraina in cambio di un donazione da parte dell’allora presidente statunitense George W. Bush Senior di 110 milioni di dollari, che potevano essere spesi per acquistare beni americani a prezzo agevolato.
Il punto debole della sua presidenza fu costituito però dall’economia: una forte corruzione ed alcune scelte non indovinate portarono ad un calo del 10% dell’economia Ucraina, che toccò il 20% nel 1994. Uno scandalo economico che colpì la gestione Kravchuk fu quello della Black Sea Shipping Company: si trattava della seconda flotta mercantile più grande del mondo e la prima in Europa.
Il gruppo venne volutamente portato al fallimento della politica corrotta per dividere l’azienda e venderla all’estero. Così, tutti i marinai che erano in quel momento imbarcati sulle navi in qualsiasi parte del mondo persero immediatamente il lavoro e lo stipendio, impiegando anni per ritornare in patria.
Gli ucraini si ribellarono e diedero luogo a delle proteste di massa. Si presentò allora come nuovo candidato Leonid Kučma, che promise di annullare la corruzione e di riportare il paese in una buona situazione economica.
Kučma migliorò i rapporti specialmente con la Russia, ma la sua gestione non cancellò minimamente la corruzione e anzi venne compromessa la libertà di stampa. Il Presidente fu coinvolto in un altro scandalo noto come “Scandalo della cassetta “. Venne ritrovata infatti una cassetta audio con la voce del presidente Kučma, in cui veniva ordinato il rapimento di un giornalista scomodo al governo.
Il giornalista venne ritrovato decapitato nel 2000, e sull’onda dell’indignazione, gli ucraini scesero nuovamente in piazza, chiedendo l’immediata rimozione del presidente durante alcune proteste denominate “Ucraina senza Kučma”.
La presidenza di Juščenko e la crisi del gas con la Russia
All’indomani della caduta di Kučma, i nuovi candidati alle elezioni erano Victor Janukovyč, sostenuto dai politici attorno a Kučma e dai filorussi e da Victor Juščenko, più favorevole alla collaborazione con il mondo occidentale.
Le elezioni furono inizialmente vinte da Janukovyč, con la grande gioia di tutto il suo apparato elettorale. Ma i sostenitori di Juščenko accusarono gli avversari politici di aver utilizzato dei brogli elettorali per vincere. Nacquero così una serie di proteste in tutto il paese note come “Rivoluzione arancione”, dal colore che rappresentava Janukovyč e da una striscia arancione che i manifestanti si legavano al braccio.
La grave situazione di instabilità portò la corte suprema ucraina ad annullare l’esito delle elezioni e a decidere per una nuova votazione, che questa volta fu vinta da Juščenko.
Sotto la gestione di Juščenko, il paese si avvicinò nuovamente l’Unione Europea, firmando una serie di importanti accordi commerciali, con la preoccupazione della Russia
E proprio con la Russia si scatenò in questi anni una crisi del gas.
La Russia è uno dei più importanti produttori di gas del mondo, e i suoi gasdotti passano direttamente attraverso il territorio dell’Ucraina per raggiungere i paesi europei. Nel 2006, la Russia accusò l’Ucraina di dirottare parte del gas per i propri interessi personali, anziché consegnare la materia prima ai clienti europei.
Il governo ucraino dapprima negò, ma successivamente, incalzato dai russi, ammise di aver effettivamente dirottato una parte del gas per uno straordinario periodo di freddo che aveva messo in pericolo la popolazione Ucraina.
Si scatenò così una crisi internazionale che durò dal 2006 al 2008. Proprio nel 2006, si arrivò al gesto estremo da parte dei russi, che chiusero completamente per quattro giorni la fornitura di gas all’Ucraina e all’Europa. La crisi comportò un sensibile aumento del prezzo del gas naturale, e la situazione d’instabilità si protrasse fino al 2008.
Infine, nel 2010, il tribunale autonomo di Stoccolma, chiamato a dirimere la questione, giudicò l’Ucraina colpevole di distratto 12 miliardi di metri cubi di gas russo per il proprio territorio, condannando il governo del paese ad un risarcimento.
Nel frattempo, la Russia, valutando l’Ucraina come una paese non affidabile, strinse od accelerò gli accordi con altri paesi fra cui la Germania, con il gasdotto NordStream e la Turchia, con il Turkish Stream.
La presidenza di Victor Janukovyč
Nel 2010, in Ucraina si aprirono delle nuove lezioni. I candidati erano nuovamente Victor Juščenko, filo-occidentale, Victor Janukovyč, filo-russo, e Julija Tymošenko, che costituiva una sorta di alternativa ai due politici.
Questa volta le lezioni vennero vinte saldamente da Janukovyč, senza denunce di brogli o contestazioni in grado di intaccare la sua nomina.
La presidenza Janukovyč fu comunque travagliata: Janukovyč iniziò ad accusare sistematicamente la Tymošenko, leader del principale partito di opposizione, di alcuni reati. In particolare veniva contestato un accordo stretto da lei in qualità di primo ministro con l’azienda russa Gazprom, che sarebbe stato definito con dei prezzi insolitamente alti per l’Ucraina.
Queste accuse sfociarono in una serie di processi tanto che la Tymošenko venne arrestata ed incarcerata.
La comunità internazionale iniziò a dichiararsi preoccupata: soprattutto gli Stati Uniti e l’Europa consideravano le accuse di Janukovyč puramente strumentali, volte ad eliminare attraverso i giudici l’avversaria politica per instaurare una dittatura.
Il vero e proprio momento di rottura e di crisi si verificò quando Janukovyč, rifiutò di firmare un accordo di associazione tra l’Unione europea e l’Ucraina. Una massa di europeisti ucraini iniziò a protestare.
I manifestanti cominciarono a scendere in strada e ad occupare le piazze, tra cui la più famosa era piazza Indipendenza. La manifestazione prese il nome di “Euro Maidan”, Euro” in quanto guidata dagli europeisti, e “Maidan”, che in ucraino significa “Piazza.” Gli scontri divennero particolarmente violenti, soprattutto con le forze dell’ordine che tentavano di reprimere questi movimenti.
Alla fine, il presidente Janukovyč fu costretto a scappare dall’Ucraina. Il Parlamento, in assenza della sua figura e non potendo ottemperare alle sue funzioni, lo rimosse dall’incarico, proclamando come nuovo presidente ad interim Oleksandr Turčynov.
Janukovyč non fu rintracciabile nei primi momenti, ma si scoprì essere fuggito in Russia, nella città di Rostov-sul-don, da cui inviava comunicati stampa in cui denunciava l’illegalità di quanto accaduto.
La Presidenza Petro Oleksijovyč Porošenko e la svolta europeista dell’Ucraina
Dopo la brevissima presidenza Turčynov, si tennero delle nuove elezioni che vennero vinte da Petro Oleksijovyč Porošenko.
Porošenko firmò innanzitutto l’accordo con l’Unione Europea che era stato rifiutato da Janukovyč. In seguito, dichiarò di essere pronto a chiedere l’ingresso nella NATO, la principale Confederazione militare del blocco occidentale.
Il paese ebbe così una decisa svolta nella collaborazione con l’Unione europea e gli Stati Uniti. Nel frattempo, il presidente ordinò di levare ogni riferimento alla cultura comunista nel paese. Dovevano essere abbattute le statue dei leader comunisti, e i nomi delle strade e delle piazze dovevano essere aggiornati.
Nel corso di quegli anni, diversi giornalisti segnalarono che le ricchezze personali di Porošenko stavano aumentando vertiginosamente, mentre la condizione economica del paese stava precipitando.
L’invasione della Crimea da parte della Russia
La virata dell’Ucraina verso il blocco occidentale, preoccupò grandemente la Russia che decise di rivendicare e prendere il controllo sul territorio della Crimea. Il 27 febbraio del 2014 grandi contingenti di soldati russi invasero il territorio della Crimea. In realtà, non furono utilizzati carri armati, aerei da guerra o armi, ma si trattò di un improvviso spostamento di uomini senza insegne e senza bandiere, quasi anonimi, che gli abitanti dell’Ucraina identificavano con il nome di “Omini verdi”.
Con la presenza di questi uomini sul territorio, pochi giorni dopo, la Crimea dichiarò la propria indipendenza dall’Ucraina. Poi, il 16 marzo del 2014 venne organizzato un referendum, nel quale si domandava ai cittadini della Crimea di passare dalla parte della Federazione Russa. Il referendum venne vinto al 96% dai filorussi, e la Russia dichiarò la Crimea come nuovo territorio appartenente alla propria federazione.
La comunità internazionale, e soprattutto gli Stati Uniti, dichiararono però che tale referendum non era valido, in quanto i cittadini erano intimoriti dalla presenza dei soldati russi. Così, vennero decise per la prima volta delle consistenti sanzioni economiche nei confronti della Russia.
Ancora oggi la questione non è stata chiarita: se la Russia considera ormai la Crimea come facente parte del proprio territorio, la comunità internazionale la definisce come zona autonoma ma ancora sotto il controllo dell’ Ucraina.
La guerra nel Donbass
Nel marzo del 2014, subito dopo la questione Crimea, si verificarono delle nuove ribellioni sul territorio dell’Ucraina. In particolare nella regione del Donbass, e nei distretti di Donetsk e Luhansk, i cittadini filorussi iniziarono ad esprimere la volontà di diventare una repubblica indipendente dall’Ucraina, il che avrebbe significato essere degli Stati satellite della Federazione Russa.
Le proteste aumentarono rapidamente nella loro violenza, fino a diventare una vera e propria ribellione. I separatisti iniziarono ad attaccare gli uffici pubblici ucraini, come i comuni, i municipi e le stazioni di polizia. L’esercito regolare ucraino, lanciò allora una controffensiva per finalità di “antiterrorismo”, riconquistando quasi tutti i territori che erano stati occupati dai separatisti.
Durante questi scontri, l’Ucraina accusò la Russia di aver aiutato i separatisti con l’invio di propri militari. La Russia dichiarò sì di appoggiare i separatisti nel loro progetto politico di indipendenza, ma di aver utilizzato i propri uomini solo per creare dei corridoi umanitari per i cittadini russi.
Gli scontri continuarono serrati fino a che, dopo pochi mesi, vennero definiti dalla comunità internazionale come vera e propria “guerra civile”, e non solo come manifestazioni violente. Le notizie tragiche si susseguirono: i separatisti spesso attaccavano uffici pubblici uccidendo i politici e i funzionari ucraini. I soldati ucraini, invece, vennero ripetutamente accusati di uccidere non solo i separatisti ma anche semplici cittadini disarmati.
Un tentativo di pace fu costituito dal cosiddetto protocollo di Minsk. Si trattava di una serie di riunioni a cui parteciparono i presidenti di Russia, Ucraina, OSCE, e Germania e Francia in qualità di mediatori. L’idea era quella di proclamare un immediato cessate il fuoco e di avviare un processo di pace.
Una possibile soluzione era quella di dichiarare le zone di Donetsk e Luhanks come territori facenti parte dell’ Ucraina ma a statuto speciale.
Purtroppo, i tentativi di pace non funzionarono e i ripetuti cessate il fuoco vennero sistematicamente ignorati. Si giunse anche ad una nuova versione di questi accordi, nota come Minks 2, che prevedeva di fermare il combattimento, smantellare le armi pesanti a disposizione di entrambi gli schieramenti e di avviare un dialogo per delle nuove elezioni. Ma i termini di tale accordo erano talmente complessi da essere sostanzialmente non attuabili.
I separatisti eseguirono allora una nuova ondata di attacchi, facendo perdere parecchio terreno all’esercito ucraino. Gli esperti militari parlano a questo punto di “conflitto congelato”, dove entrambe le parti eseguono delle sortite con diverse vittime, ma senza che alcuno dei due attori riesca a dominare la situazione.
Nel corso di questi incontri si verificarono episodi gravissimi, come l’abbattimento dell’aereo civile “Malaysia Airlines 17” colpito da un missile. I separatisti diedero la colpa agli ucraini e viceversa.
Nel 2018, il conflitto ebbe un importante evoluzione. L’esercito ucraino modificò il nome della missione da antiterrorismo a “Operazione di forze congiunte”. Interrogati sul motivo di quel cambio di denominazione, i generali ucraini risposero che le finalità dell’intervento erano cambiate per via della evidente presenza di militari russi, con i quali ora si era apertamente in guerra.
Nello stesso periodo, gli Stati Uniti ammisero ufficialmente per la prima volta di aver iniziato la fornitura di armi a supporto dell’esercito ucraino.