Storia della guerra di Troia. Quanta verità dietro la leggenda?

Di Trevor Bryce, University of Chicago
Traduzione e adattamento di: Fabio Saverio Gatto

I visitatori che si recano per la prima volta a Hisarlik a vedere le rovine della città di Troia e che non sono preparati a ciò che vedranno… potrebbero rimanere delusi

Devono abbandonare le romantiche visioni di un’imponente fortezza che svetta sulle pianure circostanti. Oggi il basso tumulo di Hisarlik, situato vicino ai Dardanelli nella Turchia nordoccidentale e ritenuto il sito di Troia, è a malapena distinguibile dai suoi dintorni. 

La cittadella copre un’area non molto più grande di un campo da calcio (circa 200 metri di diametro) e si presenta al viaggiatore moderno come un crocicchio di pavimenti rotti, fondamenta di edifici e frammenti di mura sovrapposti e incrociati. 

Oggi la caratteristica più dominante di Hisarlik è un enorme cavallo di legno, di recente costruzione, probabilmente l’elemento più fotogenico del sito, e inteso ad assicurarci che questa era davvero la favolosa Troia, città del re Priamo, che ospitò la regina spartana Elena e alla fine soccombette alle forze greche assedianti radunate sotto la guida del potente Agamennone.

Qui, ci viene fatto credere, si svolse il conflitto decennale tra Greci e Troiani immortalato nel racconto epico della Guerra di Troia, narrato da un poeta cieco di nome Omero che visse ad Anatolia, sulla costa ionica occidentale, o nelle sue vicinanze. 

La narrazione poetica che compose, e che conosciamo come Iliade, fu recitata per la prima volta al pubblico all’alba stessa della letteratura greca. Per l’antico mondo greco divenne ciò che la Bibbia è per il mondo giudeo-cristiano

E dal tempo della sua composizione, circa ventotto secoli fa, è servita come una delle maggiori fonti di ispirazione per successive generazioni di artisti, poeti e drammaturghi. Tra gli stessi antichi greci, episodi del racconto omerico della guerra fornirono temi per la tragedia greca, per la poesia, per racconti narrativi, per la pittura e la scultura

La tradizione fu mantenuta viva dai Romani nella loro arte e letteratura. Fu, in particolare, il punto di partenza per il grande capolavoro letterario di Virgilio, l’Eneide, scritta per volere dell’imperatore Augusto

Ancora oggi la tradizione riemerge costantemente. Molti di noi hanno imparato da bambini le storie di Elena e Paride, dei grandi eroi Odisseo, Achille ed Ettore, e soprattutto del cavallo di Troia. Quest’ultimo in particolare ha catturato l’immaginazione popolare, in contesti che vanno dai film epici e documentari televisivi a battute banali (come la storia del soldato greco che si ammalò mentre era chiuso nel ventre della creatura e chiese ai suoi compagni se ci fosse un medico nel cavallo), a nomi in codice per piani di fuga di prigionieri di guerra e virus informatici.

Le domande degli studiosi

Gran parte del nostro fascino per la tradizione nasce da una serie di domande che sono state poste sin da quando Omero recitò per la prima volta il suo racconto di Troia

La Guerra di Troia è realmente accaduta? Una donna ne è stata la causa?

C’erano altre ragioni per il conflitto? Ci fu un lungo assedio prima della caduta di Troia? C’è stato davvero un cavallo di Troia?

Gli scrittori greci antichi riflettevano su tali questioni quasi quanto gli studiosi hanno fatto in tempi più recenti. Tra gli stessi antichi greci, vi era solo una ristrettissima cerchia a non credere al reale accadimento della guerra di Troia.

Ma alcuni di coloro che ne sostenevano l’esistenza erano tutt’altro che convinti che Omero avesse fornito una testimonianza vera e accurata della guerra o degli eventi che avevano portato allo scontro.

Tra questi, spicca lo storico greco del V secolo Erodoto. Seguendo una versione della storia riportata dai sacerdoti egizi, Erodoto (Storie 2.112-18) affermò che la nave su cui Paride ed Elena erano fuggiti dalla Grecia fu spinta da venti violenti sulla costa dell’Egitto. Qui il re egizio Proteo trattenne Elena, fino a quando suo marito Menelao non poté riportarla a casa. 

Pertanto, la Guerra di Troia fu dovuta a nient’altro che a un malinteso. Lungi dal difendere eroicamente la donna fuggita con il loro principe, i Troiani, quando sfidati dai Greci a restituire Elena, dichiararono, con tutta verità, di non poterlo fare, semplicemente perché non era né mai era stata a Troia

Questa, secondo Erodoto, era la vera versione della storia, come Omero stesso ben sapeva. 

Ma mancava di potenziale drammatico. Usandola, Omero avrebbe privato la sua storia di un grande filone romantico. E così la rifiutò.

Eppure, pochi commentatori antichi dubitavano che Elena esistesse realmente e che il suo rapimento da parte del principe troiano Paride fosse la causa fondamentale della guerra tra Greci e Troiani. I commentatori moderni sono generalmente più scettici

Alcuni sono disposti ad ammettere la possibilità di un’Elena storica; ma sicuramente ci è voluto più di un bel viso per varare mille navi e innescare un conflitto decennale

Lungi dal fornire il casus belli il rapimento di una bella regina greca, la guerra deve essere stata combattuta per qualcosa di molto più pratico e sensato, come i diritti di pesca contesi nell’Ellesponto. Ma in realtà le nostre prove dimostrano che un re dell’Età del Bronzo poteva entrare in guerra in risposta al rapimento di uno qualsiasi dei suoi sudditi, per non parlare dei membri della sua famiglia.

Ad ogni modo, l’opinione accademica è ancora molto divisa sulla questione di quanta verità storica sia incorporata nella tradizione omerica. Da un lato, ci sono coloro che hanno una profonda fede nella fondamentale affidabilità storica della tradizione, al punto che l’Iliade viene usata quasi come un libro di testo di storia o un manuale archeologico per ricostruire sia la storia del periodo che l’ambientazione materiale in cui si sono svolti gli eventi narrati da Omero.

L’opinione espressa da Carl Blegen, che scavò a Hisarlik dal 1932 al 1938, attrae ancora molto sostegno: “Non si può più dubitare, quando si esamina lo stato delle nostre conoscenze oggi, che ci sia stata realmente una vera e propria Guerra di Troia storica, in cui una coalizione di Achei, o Micenei, sotto un re la cui supremazia era riconosciuta, combatté contro il popolo di Troia e i loro alleati”. 

Dall’altro lato, Hiller ci ricorda che “La nostra fede in una guerra di Troia storica si fonda soprattutto su Omero, ma Omero non è uno storico. Prima di tutto è un poeta; ciò che racconta non è storia ma mito”. 

Una visione intermedia comunemente sostenuta è che la tradizione omerica si sia quasi certamente sviluppata da un nucleo di verità storica, anche se gran parte dei dettagli della tradizione deve essere attribuita alla vivace e fertile immaginazione di un grande poeta, la cui preoccupazione principale era quella di raccontare una buona storia.

Certo, c’è molto nella storia che deve provenire direttamente dall’immaginazione del poeta, o che incorpora elementi standard di una tradizione narrativa che risale a ben prima di Omero. L’elemento dell’interazione divina con l’umanità, in questo caso con gli dei schierati a sostegno dei Greci o dei Troiani, fa la sua prima apparizione nel genere epico, e nella tradizione narrativa in generale, nel mondo orientale, molto prima della genesi dell’epica omerica. 

Il soprannaturale forniva una dimensione essenziale alle storie raccontate su larga scala. Tralasciandolo, un narratore avrebbe lasciato il suo pubblico profondamente deluso. Così anche una serie di rituali che Omero conserva sia nell’Iliade che nel suo seguito l’Odissea, come quello in cui Odisseo evocava gli spiriti dei morti, furono chiaramente importati da altri contesti culturali.

Persino alcune delle figure umane nelle storie si sarebbero basate su prototipi storici, anche se l’elaborazione dei loro caratteri e delle loro situazioni è stata opera del poeta stesso. All’immaginazione del narratore possiamo attribuire l’astuzia di Odisseo, la petulanza e l’ira di Achille, la fiera belligeranza di Sarpedonte e la struggente commozione dell’ultimo addio del nobile Ettore a sua moglie Andromaca e al figlioletto Astianatte.

Ma dopo aver filtrato tutti gli elementi attribuibili alla creatività dell’artista, a un repertorio standard di formule narrative o a prestiti culturali da altri luoghi e altre epoche, ci rimane una tradizione fondamentale basata su fatti storici

Qual è l’essenza attuale di questa tradizione? Nella sua forma più essenziale, è un resoconto di un conflitto prolungato tra Greci e Troiani, nel periodo che chiamiamo Tardo Bronzo, che si concluse con la distruzione e l’abbandono di una città chiamata Troia nell’Anatolia nordoccidentale

Abbiamo prove concrete di un tale conflitto? Nel tentativo di rispondere a questa domanda, dobbiamo essere sicuri che qualsiasi prova produciamo sia completamente indipendente dall’epica omerica stessa, poiché non possiamo usare Omero per provare che il racconto omerico della Guerra di Troia si basi su fatti.

Individuare i luoghi della guerra

Il nostro primo compito è stabilire se abbiamo un contesto fisico chiaramente identificabile per il conflitto. 

Tale possibilità fu respinta da molti scettici nel diciannovesimo secolo che vedevano l’Iliade come una pura fantasia letteraria. Persino coloro che rimanevano aperti alla questione non riuscivano ad accordarsi su una precisa ubicazione della guerra. 

In realtà, i Greci e i Romani del periodo classico non avevano dubbi sul fatto che l’insediamento abbandonato di Hisarlik corrispondesse alla Troia omerica. Conosciuta come Ilion dai Greci delle epoche successive e come Nuovo Ilio dai Romani, la città ricevette omaggi da diverse figure storiche di rilievo.

Tra questi, il re persiano Serse, che sacrificò mille buoi sul sito prima di invadere la Grecia continentale, e Alessandro Magno, che, sbarcato a Troia all’inizio della sua campagna contro l’Impero persiano, dedicò la propria armatura ad Atena Troiana e depose una corona sulla tomba di Achille nella pianura troiana.

In effetti, la regione in cui si trovava Troia era chiamata la “Troade” dagli scrittori greci e romani, nella convinzione che un tempo fosse stata soggetta al controllo di Troia

Ma la Troia dell’Età del Bronzo precedeva di alcuni secoli il successivo insediamento del primo millennio a Hisarlik e non si poteva avere la certezza che l’identificazione dei Greci classici con il sito della Guerra di Troia fosse corretta. 

Infatti, lo stesso Heinrich Schliemann, la persona il cui nome è più strettamente associato all’identificazione Hisarlik-Troia, a quanto pare favorì altre località prima di stabilirsi su Hisarlik, su suggerimento dell’espatriato britannico Frank Calvert che aveva acquistato parte del sito. 

Ancora oggi, un certo numero di studiosi rimane scettico. Ma sebbene non possiamo escludere altri possibili candidati per Troia, nessuna alternativa è stata seriamente proposta, costantemente sostenuta o, quantomeno, generalmente accettata, da quando Schliemann iniziò gli scavi a Hisarlik nel 1871

Tuttavia, anche se l’identificazione fosse corretta, resta aperta la questione su quale delle varie Troia presenti nel sito corrisponda alla Troia di Omero e a quella della guerra. Il tumulo infatti conserva nove principali livelli di occupazione, ognuno ulteriormente suddiviso in diversi sotto-livelli.

Questo spiega il complesso intreccio di muri e livelli che i visitatori del sito si trovano davanti oggi. Ciò che molti potrebbero non immaginare è che il tumulo, formato dai numerosi strati di occupazione, un tempo si ergeva maestoso sulle pianure circostanti. Nella sua impazienza di individuare il livello “omerico”, che riteneva appartenere ai primi insediamenti, Schliemann ordinò ai suoi operai di scavare una vasta trincea attraverso il tumulo, distruggendo così gran parte dei livelli più recenti.

Molto è già stato scritto sui metodi archeologici, le scoperte e le conclusioni di Schliemann. Basti qui dire che il livello che identificò come quello della Guerra di Troia, designato come livello II, apparteneva all’Antica Età del Bronzo, mille anni troppo presto per qualsiasi data concepibile per la Guerra di Troia di Omero

Questo infatti fu ciò a cui giunse il socio di Schliemann, Wilhelm Dörpfeld. Questi propose Troia VI, sottolivello h, come il candidato più probabile. Era una conclusione che lo stesso Schliemann arrivò ad accettare non molto tempo prima della sua morte.

Successivamente, il professor Carl Blegen sostenne che la Troia di Omero fosse la prima fase del settimo livello principale di Troia: Troia VIIa

Oggi, grazie alle testimonianze ceramiche, sappiamo che quel livello è troppo tardo per essere collegato a un grande assalto greco dell’età del Tardo Bronzo. Inoltre, l’insediamento di piccole e modeste abitazioni presenti sulla cittadella in quel periodo contrasta con l’imponente immagine di Troia descritta nei poemi omerici.

Oggi vi è un ampio consenso sull’identificazione proposta da Dörpfeld, secondo cui il livello VIh corrisponderebbe alla città di Priamo, a condizione che Hisarlik sia davvero il sito di Troia e che la guerra narrata da Omero sia un evento storico reale. Sebbene gran parte di questo insediamento sia andata perduta a causa degli scavi di Schliemann, i resti ancora visibili indicano che si tratta della fase di massimo splendore di Troia, durata per diversi secoli nel secondo millennio a.C

Il grande bastione nord-orientale di questo livello richiama l’imponente torre di guardia descritta nei poemi omerici, mentre l’inclinazione caratteristica delle mura di Troia VI sembra dare credibilità al racconto dell’Iliade, in cui Patroclo tenta di scalare le fortificazioni correndoci sopra.

Ma dobbiamo ancora una volta sottolineare che l’Iliade non è né un manuale di archeologia né una guida turistica. In effetti, le corrispondenze dettagliate tra la descrizione omerica di Troia e i resti effettivi del sito sono molto scarse

La posizione di Hisarlik, la topografia dei suoi dintorni e la natura dell’ultima fase del suo sesto livello sono sufficienti per fornirci un contesto storicamente plausibile per il conflitto descritto da Omero. Ma questo di per sé non è una prova che un tale conflitto abbia effettivamente avuto luogo. Dobbiamo cercare altrove tali prove.

La ceramica rinvenuta sul sito indica che il livello “Troia VIh” risalirebbe all’inizio del XIII secolo a.C. Poiché è il candidato più plausibile per la Troia di Omero, una possibile data per la guerra potrebbe collocarsi intorno al 1250 a.C. 

Questo dato coincide sorprendentemente con quello fornito da Erodoto (Storie 2.145), il quale, scrivendo a metà del V secolo a.C., affermava che la Guerra di Troia avvenne circa ottocento anni prima del suo tempo. 

Considerando che Omero visse tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII secolo a.C., significa che compose l’Iliade oltre mezzo millennio dopo gli eventi a cui si ispira. Questo lungo intervallo comprende gli ultimi decenni del Tardo Bronzo e il periodo successivo, che per secoli è stato chiamato, sebbene sempre meno appropriatamente, l’Età Oscura.

Quanto possiamo essere sicuri che l’epica omerica ci fornisca un racconto autentico di fatti svoltisi almeno cinquecento anni prima e conservato solo oralmente attraverso almeno venti generazioni?

Il Processo di trasmissione orale

Per sua stessa natura, la trasmissione orale è un processo dinamico. Mentre l’essenza stessa di una tradizione che viene tramandata può essere fedelmente preservata, molto altro può essere cambiato, aggiunto o aggiornato da ogni generazione successiva.

Questo ci porta a chiederci: cosa possiamo effettivamente trovare nelle epiche di Omero che risale davvero all’epoca in cui nacquero le tradizioni da lui riportate? Fino a che punto i suoi poemi, l’Iliade e l’Odissea, rappresentano il risultato finale di un corpus di folklore e tradizioni che si è evoluto nel corso di secoli?

Indubbiamente, nelle epiche omeriche sopravvivono alcune autentiche reliquie del passato miceneo, confermate da ritrovamenti archeologici. Un esempio particolarmente significativo è la descrizione, nell’Iliade, di un elmo realizzato con schegge di zanne di cinghiale, montate su un berretto di feltro.

Questa descrizione corrisponde perfettamente a un rilievo in avorio miceneo che raffigura un guerriero con un elmo composto da strati di zanne di cinghiale, nonché ai resti di un elmo simile esposti oggi al Museo Archeologico Nazionale di Atene.

È interessante notare che copricapi protettivi di questo tipo erano completamente sconosciuti ai tempi di Omero, e addirittura per molti secoli prima della sua epoca.

Anche in ambito architettonico emergono paralleli significativi. La disposizione e l’ornamento dei palazzi della tarda età del bronzo, come quelli rinvenuti a Pilo e Micene, richiamano vividamente la scena descritta da Omero quando Odisseo varca la soglia di bronzo del palazzo del re Alcinoo.

La sfarzosa opulenza di questo palazzo è rappresentata con grande vividezza nel Libro VII dell’Odissea, offrendo un’immagine che sembra riflettere la grandiosità dei palazzi micenei.

Ma mentre alcune caratteristiche del mondo miceneo furono preservate nella tradizione orale con poche o nessuna modifica nei secoli precedenti Omero, altre scomparvero del tutto o furono alterate al punto da diventare quasi irriconoscibili, a causa di continui aggiornamenti e adattamenti.

Questo processo ha portato a numerose incongruenze e anacronismi.

Ad esempio, le società altamente burocratizzate della Grecia micenea, come rivelato dalle tavolette in Lineare B, non trovano corrispondenza nei regni apparentemente analfabeti descritti da Omero, governati da signori della guerra.

La semplice struttura simile a un granaio che nell’Odissea funge da palazzo di Odisseo appartiene chiaramente a un’epoca diversa e più recente rispetto alla sontuosa residenza reale di Alcinoo.

Inoltre, in alcuni passi omerici, il ferro è trattato come un metallo raro e prezioso, tipico dell’Età del Bronzo; in altri, invece, sembra essere di uso comune, come lo era ai tempi di Omero.

Allo stesso modo, la lista di toponimi legati alle navi greche nell’Iliade conserva alcune tracce di un passato dell’Età del Bronzo, ma la maggior parte dei nomi riflette un’immagine del mondo greco più vicina all’epoca di Omero.

Tutto ciò è il risultato del processo dinamico della trasmissione orale, un processo che si è protratto per cinque o più secoli.

Una visione ampiamente condivisa è che, nonostante le numerose incongruenze e anacronismi emersi nel corso della trasmissione del racconto, il nucleo dell’Iliade sia effettivamente basato su un conflitto tra Greci micenei e Troiani nell’Anatolia nordoccidentale verso la fine del Tardo Bronzo.

Gli episodi di questo conflitto, insieme alle gesta di singoli eroi, furono inizialmente preservati in ballate e canti eseguiti nelle corti di re e nobili micenei. Questi racconti furono tramandati oralmente durante l’Età Oscura e, probabilmente verso la fine dell’VIII secolo a.C., furono intessuti in un poema narrativo esteso, dotato di una struttura coerente, temi unificanti e una caratterizzazione approfondita.

E tutto questo lo dobbiamo al genio di un poeta cieco di nome Omero.

Ma quanto possiamo essere certi che questo genio sia stato ispirato da un evento specifico realmente accaduto?

La guerra è ambientata nel contesto della penisola anatolica del Tardo Bronzo, ed è proprio a questo elemento che dobbiamo rivolgere la nostra ricerca per trovare una risposta alla nostra domanda.

La città di Troia e il suo contesto

Abbiamo osservato che Hisarlik è il candidato più probabile per identificare la cittadella di Troia, e che la fortezza assediata dai Greci nella tradizione omerica può essere associata in modo plausibile al livello VI, in particolare alla fase VIh, del tumulo.

Questo livello rappresenta il periodo più glorioso e impressionante dell’esistenza di Troia, e la sua distruzione, avvenuta nel XIII secolo a.C., rientra nel range di date proposto per la Guerra di Troia dalle fonti greche classiche.

Rafforzeremmo notevolmente l’identificazione di VIh con la Troia di Omero se potessimo dimostrare che questo livello fu distrutto a causa di un attacco nemico, in linea con la tradizione omerica.

Non c’è dubbio che VIh subì una violenta distruzione, ma non abbiamo prove chiare che indichino se questa fu causata da forze umane o da eventi naturali. Blegen, ad esempio, sosteneva che VIh fosse stata distrutta da un terremoto, basandosi su crepe osservate nella torre e nelle mura della cittadella, nonché su segni di subsidenza nei pavimenti.

Questa convinzione lo portò a proporre che Troia VIIa, il livello immediatamente successivo a VIh, fosse il candidato più probabile per la Troia omerica.

Anche VIIa subì una distruzione violenta, ma anche in questo caso la causa non è chiara. Inoltre, la datazione attuale di VIIa lo colloca in un periodo troppo tardo per essere associato alla Troia descritta da Omero.

Per quanto riguarda le crepe e la subsidenza osservate da Blegen in VIh, è possibile che siano state causate da attività sismica, ma non possiamo essere certi se questi fenomeni si siano verificati nell’ultima fase di Troia VI o nella prima fase di Troia VII, né se siano stati sufficientemente gravi da causare la distruzione dell’intero sito (cfr. Easton 1985: 190-91).

Una proposta di compromesso suggerisce che la distruzione del sito sia stata il risultato di una combinazione di forze umane e naturali. Secondo questa teoria, le fortificazioni della cittadella sarebbero state seriamente indebolite da un terremoto, rendendole vulnerabili a un eventuale attacco nemico.

In questo scenario, sarebbe stata la combinazione di entrambi i fattori a causare la fine della cittadella (ad esempio, Easton 1985: 189).

Questa proposta è stata utilizzata anche per spiegare l’introduzione del cavallo di legno nella tradizione della Guerra di Troia.

Il cavallo era un simbolo ben noto del dio del mare Poseidone. Spesso soprannominato “lo Scuotitore della Terra“, Poseidone (secondo la teoria) inflisse un devastante terremoto alla cittadella, demolendo le sue mura al punto da renderla facile preda dei suoi assedianti.

Fu quindi l’intervento di Poseidone a fornire l’ispirazione per il motivo del cavallo di Troia. In modo più prosaico, un certo numero di scrittori antichi vide il cavallo di Troia come il riflesso di un ariete, o di qualche altro tipo di macchina d’assedio (ad esempio, Plinio, Nat. Hist. VII 202, Pausania 1.23.8).

Per quanto ingegnose possano essere tali speculazioni, in realtà non aggiungono nulla di sostanziale alla nostra indagine.

Infatti, l’episodio del cavallo di Troia, pur essendo indubbiamente un elemento molto antico della tradizione, riceve solo un paio di scarse menzioni in Omero. La preminenza del cavallo nella tradizione in tempi più recenti è dovuta in gran parte al trattamento che Virgilio gli riservò nel Libro II della sua Eneide, circa sette secoli dopo la composizione delle epiche omeriche.

Da allora in poi è servito come un simbolo quasi archetipico della Guerra di Troia, in modo del tutto sproporzionato al suo posto nella tradizione originale.

Indubbiamente era una delle immagini più potenti di Troia al tempo in cui Schliemann scavò per la prima volta nel tumulo di Hisarlik. Ma più in generale, le associazioni omeriche attribuite a Hisarlik sin dagli scavi di Schliemann hanno fatto sì che continuasse a figurare come uno dei siti antichi più conosciuti e più visitati di tutti.

In che misura questa attenzione riflette la sua effettiva importanza nel suo contesto contemporaneo?

La scoperta e lo scavo di numerosi siti dell’Età del Bronzo in tutta l’Anatolia, avvenuti nei decenni successivi alle ricerche di Schliemann, insieme agli scavi ancora in corso sul tumulo di Hisarlik e nelle sue vicinanze, hanno contribuito in modo significativo alla nostra comprensione del ruolo e dell’importanza di Troia nel suo contesto storico.

Non ci sono dubbi sul fatto che, per gran parte della sua esistenza, attraverso quasi due millenni di storia dell’Età del Bronzo (coprendo i livelli da I a VII), Troia fosse un insediamento prospero e, in alcuni periodi, addirittura fiorente. In particolare, i livelli II e VI rappresentano i momenti di massimo splendore dell’insediamento.

La sua posizione strategica, di grande valore commerciale, lungo quello che i Greci successivi chiamarono Ellesponto (oggi noto come Dardanelli), fu senza dubbio uno dei principali fattori della sua prosperità, grazie ai vast legami commerciali che riuscì a stabilire.

Inoltre, l’accesso a zone di pesca ricche di tonno e altre risorse marine era un ulteriore elemento che contribuì alla sua ricchezza. Indagini sul campo hanno inoltre dimostrato che Troia si trovava al centro di una vasta area di terreno fertile, in grado di sostenere una popolazione numerosa

Ma dove viveva questa popolazione? La cittadella stessa, nei suoi periodi di massimo splendore, non avrebbe potuto ospitare più che poche centinaia di persone.

È quindi ragionevole supporre che le ampie residenze all’interno della cittadella fossero riservate a un’élite dominante, mentre la maggior parte della popolazione viveva all’esterno. Questa ipotesi è stata confermata da scavi condotti a partire dal 1988, che hanno portato alla luce un insediamento adiacente alla cittadella, esteso verso sud e noto come “città bassa“.

Questa scoperta ha aumentato di dieci volte l’area conosciuta del sito, passando da 20.000 a 200.000 metri quadrati durante il periodo dei livelli VI e VII (circa 1700-1100 a.C.).

Considerando le dimensioni e la capacità produttiva della regione, si stima che Troia avrebbe potuto sostenere una popolazione di circa seimila persone. Questa nuova evidenza ci costringe a rivedere la nostra comprensione del sito: da una piccola cittadella con poche centinaia di abitanti, Troia emerge come una città piuttosto grande e probabilmente fortificata.

La sua caratteristica dominante era l’acropoli fortificata, scavata per la prima volta da Schliemann, che per gran parte dell’Età del Bronzo ospitò una classe dirigente d’élite

Per come lo conosciamo ora, Troia era paragonabile per dimensioni alla città di Ugarit, capitale del prospero regno omonimo sulla costa levantina. Mee commenta che, come Ugarit, Troia era evidentemente un importante centro e entrepôt (Mee 1998: 144-45).

Ma Ugarit deve aver giocato un ruolo molto più significativo all’interno del complesso dei regni del Vicino Oriente, sia politicamente che commercialmente, data la sua posizione sulla costa nella regione, che si trovava all’interno delle sfere di interesse di quattro dei Grandi Regni del Tardo Bronzo: Mitanni, Hatti, Egitto e, più indirettamente, Assiria.

Oltre alla sua abbondante ricchezza di risorse naturali, la preziosa posizione strategica di Ugarit le conferiva un’importanza di gran lunga maggiore rispetto al remoto regno di Troia, situato com’era alla periferia stessa di questo mondo.

Anche così, le prove ceramiche provenienti da vari siti indicano che Troia aveva una vasta gamma di contatti commerciali con le aree costiere del Vicino Oriente, anche se, come ci si potrebbe aspettare, la preponderanza dei suoi contatti commerciali era con il mondo miceneo.

La società troiana era alfabetizzata?

La differenza più marcata tra Troia e Ugarit è che quest’ultima ci ha lasciato una sostanziale eredità di documenti scritti. Gli estesi archivi del regno levantino ci forniscono alcune delle più importanti fonti di informazione sulla storia della regione siro-palestinese durante gli ultimi due secoli del Tardo Bronzo.

Al contrario di altre città dell’epoca, Troia ha lasciato solo un piccolo e isolato frammento di materiale scritto, e persino la provenienza di questo elemento non è del tutto certa.

Ciò non significa che la scrittura fosse sconosciuta o quasi inesistente nella città. Al contrario, è molto probabile che Troia, come tutti gli altri regni del Vicino Oriente di dimensioni e status simili, avesse una cancelleria gestita da scribi, sia locali che provenienti da altre regioni.

I materiali utilizzati per la scrittura sono spesso altamente deperibili, e quando gli archivi di tavolette d’argilla sopravvivono in altre parti del mondo antico, ciò è spesso dovuto alla fortuita circostanza che le stanze degli archivi siano state distrutte da un incendio.

Sebbene un incendio possa ridurre in cenere molti materiali, un fuoco robusto cuoce o ricuoce gli oggetti di argilla, come le tavolette, preservandoli in modo permanente.

L’unico oggetto con delle iscrizioni scoperto a Troia è emerso durante gli scavi del 1995. Si tratta di un sigillo di bronzo biconvesso, che reca una breve iscrizione in geroglifici luviani.

Il sigillo è stato trovato in un contesto riconducibile a Troia VIIb, databile quindi alla seconda metà del XII secolo a.C, il che lo rende una delle ultime iscrizioni dell’Età del Bronzo anatolica, ritardando di diversi decenni l’ultima iscrizione ittita conosciuta.

Non possiamo essere del tutto certi se il sigillo sia stato prodotto a Troia o vi sia stato importato, sebbene la prima ipotesi sembri più probabile, dato che abbiamo il sigillo originale e non solo un’impronta di esso. Un lato del sigillo riporta il nome di un uomo e la sua professione di scriba, mentre l’altro lato mostra il nome di una donna. Entrambi i nomi sono incompleti, ma è probabile che si tratti di una coppia marito e moglie.

Se il sigillo ha effettivamente avuto origine a Troia, allora l’iscrizione su di esso ha alcune implicazioni interessanti. In primo luogo, il fatto che il proprietario del sigillo fosse uno scriba fornirebbe la nostra prima indicazione tangibile di una possibile attività scribale nella città durante il secondo millennio.

E la lingua dell’iscrizione ci fornirebbe la nostra prima indicazione tangibile del gruppo etnico che abitava Troia in questo momento.

Gli abitanti Luviani dell’Anatolia occidentale

I Luviani erano uno dei tre gruppi di popoli di lingua indoeuropea che entrarono in Anatolia probabilmente durante il corso del terzo millennio. Parti dell’Anatolia centrale e orientale erano occupate da parlanti di una lingua chiamata Nesite (ora più comunemente conosciuta come Ittita), che successivamente divenne la lingua ufficiale del regno ittita del Tardo Bronzo la cui patria si trovava nell’Anatolia centrale.

Un secondo gruppo indoeuropeo, i Palai, era situato a nord-ovest della patria ittita, all’interno della regione successivamente conosciuta come Paflagonia.

Nell’Anatolia occidentale e meridionale, si stabilì un terzo gruppo di popoli indoeuropei. Li chiamiamo Luviani.

All’inizio del Tardo Bronzo, i gruppi di lingua luvia avevano occupato vaste aree nella metà occidentale dell’Anatolia. Collettivamente, queste aree costituivano la regione indicata nei primi documenti ittiti come Luwiya, una designazione etno-geografica che copriva gran parte dell’Anatolia occidentale.

Tuttavia, il nome Luwiya sembra essere presto caduto in disuso, almeno nei testi ittiti, ed è stato sostituito dal nome Arzawa, un termine generale usato per indicare un complesso di territori collettivamente conosciuti come le Terre di Arzawa.

Nel suo senso più ampio, Arzawa probabilmente si estendeva su gran parte del territorio precedentemente chiamato Luwiya e incorporava molti degli stessi gruppi di popolazione. Data l’ampia diffusione dei popoli di lingua luvia nell’Anatolia occidentale, è una concreta possibilità che la popolazione dei livelli sesto e settimo di Troia fosse prevalentemente un gruppo di origine luvia.

In effetti, è abbastanza possibile che anche i livelli precedenti della città avessero una popolazione luvia, o almeno parlanti luvio tra la sua popolazione.

Potevano i gruppi luviani essersi diffusi ancora più lontano? È stato suggerito che al tempo dell’insediamento luvio nell’Anatolia occidentale, alcuni gruppi si siano spinti più a ovest, entrando nella Grecia continentale e insulare attraverso la Tracia o il Mar Egeo, una migrazione che segnò l’arrivo, intorno alla fine del terzo millennio, dei “proto-Greci” nella terra che i Greci classici chiamavano Hellas.

Ciò ha portato alcuni studiosi a credere che ci fossero legami etnici tra le popolazioni di lingua indoeuropea dell’Anatolia occidentale e la contemporanea Grecia elladica. Ma per quanto affascinante sia la possibilità che i Greci e i Troiani di Omero fossero strettamente imparentati, al massimo potevano essere stati poco più che cugini molto lontani.

Il fatto che i Troiani in Omero parlassero greco è una convenzione epica; e allo stesso modo non dovremmo attribuire troppa importanza al fatto che un certo numero di istituzioni sociali greche si verifichi anche in un contesto troiano (vedi Watkins 1986: 50-51).

Tuttavia, la visione che i Troiani del sesto e settimo insediamento fossero, o includessero, una popolazione di lingua luvia di origine indoeuropea, ottiene un ulteriore sostegno dal sigillo recentemente scoperto iscritto con geroglifici luviani. Questo ci conduce alla fase successiva della nostra indagine.

Troia compare nei testi ittiti?

Finora, abbiamo pochissime testimonianze scritte direttamente dai Luviani occidentali. 

Abbiamo però numerosi riferimenti a loro, in particolare ai regni che formarono, negli archivi del Grande Regno che divenne il loro signore supremo: il regno di Hatti, la terra degli Ittiti. Gli stati di Arzawa, di lingua luvia, erano tra i più importanti possedimenti vassalli degli Ittiti nell’Anatolia occidentale per almeno l’ultima metà del Tardo Bronzo. 

Ora è chiaro che, almeno dal punto di vista materiale, Troia era un regno occidentale di rilievo, paragonabile a città come Ugarit. 

Inoltre, è sempre più probabile che la sua popolazione fosse di origine luvia. Considerando i numerosi riferimenti nei testi ittiti ai regni dell’Anatolia occidentale, in particolare quelli con popolazioni luvie, è altamente probabile che Troia compaia in questi documenti storici. 

Se così fosse, questi testi rappresenterebbero le uniche informazioni storiche autentiche che abbiamo finora sul regno di Troia. 

La ricerca di Troia nei testi ittiti assume quindi un’importanza significativa.

Questa ricerca fu intrapresa per la prima volta oltre ottant’anni fa, poco dopo la decifrazione della lingua ittita, dal filologo svizzero Emil Forrer. Forrer esaminò attentamente le fonti ittite alla ricerca di possibili riferimenti a Troia e si imbatté in una lista di ventidue paesi dell’Anatolia occidentale che si erano ribellati contro un re ittita di nome Tudhaliya intorno al 1400 a.C. 

La lista terminava con i nomi Wilusiya e Taruisa. Secondo Forrer, questi erano i modi ittiti di scrivere i nomi greci Troia e (W)ilios (Ilios). Nella tradizione omerica, Troia e (W)ilios erano due nomi per lo stesso luogo, con Wilios che rappresentava una forma arcaica di Ilios, prima che il digamma iniziale (la “w”) venisse omesso. 

La somiglianza tra le due coppie di nomi sembrava troppo stretta per essere una semplice coincidenza. Inoltre, il fatto che i nomi comparissero alla fine della lista suggerisce una posizione nord-occidentale, se si presume che la lista seguisse una progressione geografica approssimativa da sud a nord.

Tuttavia, c’è un piccolo problema con la conclusione di Forrer: mentre nella tradizione omerica (W)ilios e Troia sono nomi intercambiabili, nel testo ittita Wilusiya e Taruisa appaiono come due paesi distinti. 

È possibile che originariamente si riferissero a due entità separate, ma che in seguito uno dei due abbia assorbito l’altro? In alternativa, la tradizione omerica potrebbe rappresentare una fusione di due paesi vicini, strettamente associati in un conflitto con gli invasori greci nella regione nord-occidentale dell’Anatolia, successivamente chiamata Troade. 

La prima ipotesi trova un certo sostegno nel fatto che il nome Taruisa non compare più nei testi ittiti, con una possibile eccezione. Wilusiya, invece, compare diverse altre volte nella sua forma abbreviata Wilusa, suggerendo che il suo territorio potrebbe essersi espanso per includere l’ex terra di Taruisa, con entrambi i nomi conservati nella successiva tradizione greca.

L’unico altro possibile riferimento a Taruisa proviene non da un testo ittita, ma da una ciotola d’argento di origine sconosciuta, ora conservata nel Museo delle Civiltà Anatoliche ad Ankara. La ciotola reca due iscrizioni geroglifiche luvie, una delle quali menziona la conquista di un luogo chiamato Tarwiza da parte di un re Tudhaliya (vedi Hawkins 1997). 

Sebbene non vi siano ulteriori dettagli, è allettante collegare questa iscrizione alla ribellione contro Tudhaliya menzionata in precedenza. Se il collegamento è corretto, questa sarebbe di gran lunga la più antica iscrizione geroglifica luvia conosciuta, a parte quelle presenti sulle impronte di sigilli.

La proposta di Forrer di collegare i nomi ittiti Taruisa e Wilus(iy)a con la Troia omerica incontrò inizialmente molto scetticismo. Tuttavia, altre prove hanno successivamente fornito un sostegno aggiuntivo, se non conclusivo, alla sua teoria. In primo luogo, Wilusa è elencata in un testo ittita come parte del complesso delle terre di Arzawa, abitate in gran parte da popoli di lingua luvia. 

Wilus(iy)a stessa è una formazione linguistica luvia. Inoltre, l’iscrizione del sigillo trovata a Troia VIIb potrebbe rappresentare la prima prova concreta (sebbene ancora molto limitata) che gli abitanti di Troia parlassero il luvio.

Per dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che Troia/Ilios e Wilusa siano la stessa cosa, dobbiamo però dimostrare che Wilusa si trovava effettivamente nell’Anatolia nord-occidentale.

La geografia politica dell’Anatolia occidentale nel Tardo Bronzo è stata a lungo un campo di studio complesso e frustrante, con i paesi spesso “spostati” da vari studiosi con rapidità sconcertante. 

Tuttavia, nuove scoperte stanno aiutando a colmare alcune lacune e a risolvere controversie di lunga data. Wilusa è un caso emblematico. Sebbene gli studiosi concordassero sul fatto che si trovasse nell’Anatolia occidentale, la sua posizione precisa rimaneva incerta. 

Fortunatamente, una giunzione di testi scoperta negli anni ’80 ha chiarito la questione. Una giunzione di testi si verifica quando due frammenti di una tavoletta, a lungo separati, vengono finalmente abbinati. Questo processo, che richiede l’abilità di epigrafisti specializzati, è reso necessario dal modo casuale in cui molte tavolette furono portate alla luce durante i primi scavi nella capitale ittita.

In questo caso, un frammento aggiuntivo di una lettera ben nota, scritta al re ittita Muwatalli II da un uomo chiamato Manapa-Tarhunda, sovrano della Terra del Fiume Seha (un regno appartenente al complesso di Arzawa), ha fornito informazioni cruciali. 

Sappiamo che questo regno si estendeva su una delle valli fluviali a nord della città classica di Mileto (nota agli Ittiti come Milawata o Millawanda). Il fiume in questione era probabilmente il Caico, l’Ermo o il Meandro. 

Dalla giunzione di testi apprendiamo che una forza ittita in viaggio verso Wilusa dovette attraversare la Terra del Fiume Seha. Ciò colloca Wilusa a nord di questa regione, ovvero nella Troade classica. Inoltre, vicino a Wilusa c’era una sua dipendenza, un luogo chiamato Lazpa, che quasi certamente corrisponde all’isola greca di Lesbo, come propose per la prima volta Emil Forrer negli anni ’20.

Possiamo quindi affermare con sicurezza che Wilusa si trovava nella stessa regione di Hisarlik, il nostro principale candidato per la Troia/Ilios di Omero. La conclusione di Forrer, inizialmente controversa, ora sembra ineludibile: Troia è stata effettivamente trovata nei testi ittiti. 

Era la sede reale del re di Wilusa, vassallo del Grande Re degli Ittiti. Abbiamo quindi non solo un contesto fisico per la grande città dell’Iliade, ma anche riferimenti storici contemporanei ad essa.

Tuttavia, questo è ancora molto lontano dalla prova di un’effettiva Guerra di Troia. Il che ci porta alla fase successiva della nostra ricerca.

I Greci compaiono nei testi ittiti?

Anche a questa domanda Emil Forrer cercò di rispondere. Egli ipotizzò che, se Troia poteva essere identificata nei testi ittiti, allora dovevano esserci anche riferimenti ai Greci in questi stessi documenti. 

Per rintracciare tali riferimenti, Forrer partì da una domanda fondamentale: come venivano chiamati i Greci in quel periodo? 

Notò che nell’Iliade e nell’Odissea, Omero usava regolarmente il termine “Achei” per riferirsi ai Greci nel loro complesso. (I Greci classici, invece, si chiamavano “Elleni”; il termine “Greco” deriva da “Graeci”, il nome usato dai Romani per indicare i popoli del mondo greco.) 

Supponendo che il termine omerico avesse radici autentiche nell’Età del Bronzo, Forrer cercò nei testi ittiti un nome che potesse corrispondere all’equivalente ittita di “Acaia”. Dato che il potere ittita si estendeva fino alla costa occidentale dell’Anatolia, e che i Greci del Tardo Bronzo (o micenei) avevano ampi contatti commerciali con questa regione, sarebbe stato sorprendente se i testi ittiti non avessero contenuto alcun riferimento a questi Greci, indipendentemente dalla loro presenza nella tradizione omerica.

Anche in questo caso, Forrer rivendicò un successo. Notò che i testi ittiti menzionavano più volte un luogo chiamato Ahhiyawa (o Ahhiya in una forma più breve e precedente). In questo nome, egli vide il modo ittita di rappresentare il termine greco Acaia

Come ci si poteva aspettare, la proposta di Forrer suscitò un acceso dibattito, a volte persino personale. Il suo più strenuo critico fu lo studioso tedesco Ferdinand Sommer, che negli anni ’30 guidò gli scettici nel respingere l’equazione Ahhiyawa-Acaia come nient’altro che una “etimologia kling-klang” (cioè una forzatura linguistica).

Da allora, il dibattito è continuato. Alcuni studiosi hanno sostenuto che Ahhiyawa fosse semplicemente un regno locale anatolico, mentre altri hanno proposto che si trattasse di un regno insulare al largo della costa anatolica, come Cipro o Rodi. 

Altri ancora hanno suggerito che Ahhiyawa fosse un regno miceneo della Grecia continentale.

Non possiamo qui approfondire tutti i pro e i contro dell’identificazione Ahhiyawa-Acaia, un tema già ampiamente discusso in passato. Basti dire che oggi la grande maggioranza degli studiosi ritiene che Ahhiyawa si riferisca effettivamente al mondo della Grecia del Tardo Bronzo, comunemente noto come il mondo miceneo. 

L’identificazione non può essere considerata definitiva, e alcuni dei suoi sostenitori ammettono che rimane ancora una questione di interpretazione. Tuttavia, le prove circostanziali a sostegno di questa teoria, comprese le scoperte degli ultimi anni, sono ormai schiaccianti. 

In alcuni contesti, il termine Ahhiyawa sembra riferirsi al mondo miceneo in generale; in altri, dove viene menzionato un re specifico di Ahhiyawa, potrebbe indicare un regno particolare all’interno di questo mondo.

Questa identificazione ha importanti implicazioni. Una di queste è la nuova dimensione che aggiunge agli studi micenei. Fino a poco tempo fa, si credeva che le imprese d’oltremare dei Micenei fossero limitate principalmente ad attività commerciali lungo le coste del Mediterraneo, con occasionali insediamenti di coloni-commercianti micenei, specialmente sulla costa anatolica occidentale. 

Questa conclusione era basata principalmente su prove materiali, in particolare sulla ceramica. Tuttavia, l’equazione Ahhiyawa-Miceneo ci porta un passo oltre, fornendoci informazioni scritte – le uniche di questo tipo – sulla storia del mondo miceneo. 

Sappiamo dai testi ittiti che alcuni re micenei furono coinvolti politicamente e militarmente negli affari dell’Anatolia occidentale. Ad esempio, Hattusili III, che governò l’impero ittita nel XIII secolo a.C., scrisse a uno di questi re, rivolgendosi a lui come “mio fratello”, un titolo riservato ai sovrani di pari rango, e come “Grande Re”, un appellativo usato solo per i più potenti sovrani del Vicino Oriente, come i governanti di Babilonia, Assiria, Egitto e Hatti.

Da questa lettera, comunemente nota come Lettera di Tawagalawa, apprendiamo che il destinatario era signore del territorio di Milawata (l’antica Mileto) sulla costa anatolica e che probabilmente lo stava usando come base per estendere l’influenza micenea in altre parti dell’Anatolia occidentale. 

Se così fosse, le sue azioni avrebbero inevitabilmente minacciato gli interessi ittiti, in particolare i territori vassalli nella regione.

Ma tutto questo ci avvicina davvero a determinare se la tradizione della Guerra di Troia si basi su fatti storici?

Le prove storiche di una guerra di Troia

In termini generali, abbiamo delineato uno scenario plausibile per un possibile conflitto tra i Greci micenei e le forze ittite (o sostenute dagli Ittiti) nell’Anatolia occidentale. 

Ora, però, dobbiamo restringere il nostro focus. Supponendo che Wilusa sia il nome ittita di Troia/Ilios, le nostre fonti ittite forniscono prove di un conflitto specifico che coinvolge forze Ahhiyawan/micenee contro il regno di Wilusa?

Dalle fonti ittite emerge chiaramente che Wilusa ebbe una storia piuttosto travagliata, specialmente nel XIII secolo a.C., il periodo in cui si colloca tradizionalmente la Guerra di Troia.

All’inizio del secolo, apprendiamo che il territorio di Wilusa fu attaccato e occupato da un avventuriero locale di nome Piyamaradu. Questa informazione ci viene dalla lettera di Manapa-Tarhunda, re della Terra del Fiume Seha, indirizzata al suo signore supremo ittita, Muwatalli II

In quell’occasione, Piyamaradu fu cacciato da Wilusa da una forza ittita, ma rimase in libertà e continuò a minacciare gli interessi ittiti nella regione.

In questo contesto, non si fa alcun riferimento diretto ad Ahhiyawa, ma da un’altra fonte, la cosiddetta Lettera di Tawagalawa, sappiamo che Piyamaradu era un protetto del re di Ahhiyawa, che gli offrì protezione quando gli Ittiti iniziarono a perseguitarlo. 

Inoltre, Piyamaradu era il suocero di Atpa, il governatore di Milawata (l’antica Mileto), che a sua volta era vassallo del re di Ahhiyawa. La Lettera di Tawagalawa fu scritta da Hattusili III al re di Ahhiyawa, il cui nome purtroppo non è conservato (sarebbe apparso all’inizio della prima tavoletta, andata perduta). 

La lettera si concentrava sulle attività di Piyamaradu e sul sostegno che riceveva dal re di Ahhiyawa, esprimendo la preoccupazione ittita per le sue azioni.

La lettera menziona anche Wilusa, che era stata motivo di conflitto tra Hattusili III e il re di Ahhiyawa, ma il conflitto era stato risolto pacificamente: “Ora che siamo giunti a un accordo su Wilusa, per la quale siamo entrati in guerra…”

Tuttavia, Hattusili temeva che Piyamaradu potesse provocare nuovi disordini e sollecitò il re di Ahhiyawa a tenere sotto controllo il ribelle, dicendogli: “Per quanto riguarda la questione di Wilusa, per la quale noi, il Re di Hatti ed io, eravamo diventati ostili, egli (il Re di Hatti) mi ha convinto e abbiamo fatto amicizia… non sarebbe giusto per noi fare guerra”.

Questo è quanto possiamo dedurre dalle fonti ittite riguardo a un possibile conflitto che coinvolge Wilusa e Ahhiyawa. Se Troia e Wilusa fossero effettivamente la stessa cosa, allora Troia era chiaramente uno stato vassallo degli Ittiti in quel periodo, e qualsiasi aggressione contro di essa avrebbe probabilmente provocato una rappresaglia militare da parte di Hatti.

Questo è esattamente ciò che Hattusili lascia intendere nella sua lettera. I suoi riferimenti a Piyamaradu suggeriscono che lo considerasse un agente, forse il principale, utilizzato dal re di Ahhiyawa per estendere la sua influenza nell’Anatolia occidentale.

In effetti, Piyamaradu potrebbe aver già agito in questa veste quando, in precedenza, occupò temporaneamente Wilusa.

Non sappiamo quanto la lettera di Hattusili sia stata efficace nel proteggere Wilusa da ulteriori attacchi. Tuttavia, da un’altra fonte, la Lettera di Milawata, apprendiamo che durante il regno di Tudhaliya IV (figlio di Hattusili III), Wilusa fu nuovamente attaccata. 

In questa occasione, il suo re, un uomo di nome Walmu, fu costretto a fuggire in esilio. Questa informazione proviene da una giunzione di testi, un documento frammentario noto come Lettera di Milawata, che si riferisce a eventi recenti avvenuti a Milawata e nei suoi dintorni. 

Sebbene la lettera sia incompleta, il passaggio superstite riguardante Wilusa suggerisce che il regno fu riportato sotto il controllo ittita e che erano in corso i preparativi per reinsediare Walmu sul trono.

Questo episodio rappresenta l’ultima informazione che abbiamo sul regno nord-occidentale di Wilusa

Se Wilusa fosse effettivamente il regno di Troia nel Tardo Bronzo, allora possiamo iniziare a delineare un quadro della storia di Troia in questo periodo.

I suoi abitanti erano quasi certamente uno dei popoli di lingua luvia dell’Anatolia occidentale e facevano parte del complesso etno-politico delle terre di Arzawa

Per almeno gli ultimi due secoli del Tardo Bronzo, Wilusa non fu un regno indipendente, ma uno degli stati vassalli dell’Impero ittita. Durante il XIII secolo, subì diversi attacchi da parte di forze nemiche, in cui potrebbe essere stato coinvolto un re greco miceneo. 

In un’occasione, il nemico invase e occupò il suo territorio; in un’altra, il re di Wilusa fu deposto. In entrambi i casi, furono gli Ittiti a liberare il regno.

La cosiddetta Lettera di Tawagalawa, che collega il re di Ahhiyawa a una guerra che coinvolge Wilusa, risale alla metà del XIII secolo. Questa è la data più ampiamente accettata per la distruzione di Troia VIh

Il nome del destinatario della lettera, che potrebbe essere apparso nella prima tavoletta (ora perduta), rimane sconosciuto. Tuttavia, alcuni studiosi hanno suggerito che questo destinatario, un Grande Re del mondo Ahhiyawan, potrebbe essere visto come il prototipo dell’Agamennone di Omero. 

Secondo la tradizione omerica, Agamennone guidò una confederazione di Greci in una guerra contro i Troiani, culminata in un assedio decennale, nella conquista, nella distruzione e nell’abbandono della città. Questi sono gli eventi centrali della tradizione omerica. 

Ma quanto siamo vicini a dimostrare che questi eventi siano realmente accaduti? Rivediamo le prove attualmente disponibili.

Possiamo con un alto grado di probabilità identificare il sito ora conosciuto come Hisarlik nella Turchia nord-occidentale con l’antica cittadella di Troia, resa famosa dai poemi epici di Omero. Il livello VIh di questo sito si adatta meglio alla descrizione di Troia da parte di Omero. Questo livello fu distrutto durante il XIII secolo, probabilmente intorno alla metà del secolo, entro il periodo in cui la Guerra di Troia è datata nelle fonti greche classiche.

Sfortunatamente non abbiamo prove chiare per indicare cosa causò la distruzione di Troia: azione umana, forze naturali o una combinazione di entrambi. È vero che recenti scavi nella città bassa hanno prodotto segni di conflitto militare sotto forma di punte di freccia e scheletri umani. Ma finora la quantità di tali resti è troppo piccola per costituire la prova di un conflitto prolungato per un periodo di molti anni e che coinvolge una grande forza di invasione.

È molto probabile che Troia o Ilio fosse il regno chiamato Wilusa nei testi ittiti. Wilusa era un regno vassallo dell’impero ittita situato nell’estremo nord-ovest dell’Anatolia, nella regione che i Greci di epoche successive chiamarono la Troade.

Sappiamo che i Greci micenei, la cui terra è chiamata Ahhiyawa nei testi ittiti, furono coinvolti negli affari politici e militari dell’Anatolia occidentale, almeno dal XV secolo e in particolare nel XIII secolo, quando la terra di Milawata sulla costa anatolica occidentale era soggetta a un re Ahhiyawan/miceneo.

Durante questo periodo Wilusa subì una serie di attacchi in cui i Greci micenei potrebbero essere stati coinvolti direttamente o indirettamente. In un’occasione, il suo territorio fu occupato dal nemico; in un’altra occasione il suo re fu deposto e costretto all’esilio. Omero ci dice che la città di Troia fu attaccata, occupata e distrutta dai Greci, e la sua famiglia reale uccisa o costretta all’esilio.

Quanto ci portano, quindi, queste informazioni verso la prova di una Guerra di Troia?

La risposta non può essere molto lontana, se stiamo cercando di identificare un conflitto storico che abbia occupato un periodo di tempo relativamente lungodieci anni, secondo la tradizione greca.

Tuttavia, lungi dal fornire prove materiali o scritte di un tale conflitto, le nostre fonti anatoliche sollevano notevoli dubbi sulla sua storicità, almeno nella forma in cui appare in Omero.

Ad esempio, sebbene la guerra d’assedio fosse certamente una pratica comune in diverse operazioni militari dell’Età del Bronzo, e a volte si protraesse per diversi mesi, l’idea di un assedio che durasse molti anni è del tutto implausibile.

Inoltre, l’affermazione che le forze greche arrivarono a Troia con una flotta di oltre mille navi (1.186, per la precisione) renderebbe l’armata greca più grande della più imponente flotta conosciuta in qualsiasi periodo del mondo antico.

Se esiste una base storica per la tradizione omerica, essa va ricercata non in un singolo conflitto di lunga durata, ma piuttosto in una serie di conflitti avvenuti nel corso di un arco temporale molto più ampio.

Le nostre fonti scritte anatoliche non forniscono alcuna prova di un unico, grande e prolungato attacco da parte di invasori greci contro un regno anatolico, culminato nella distruzione di quel regno. Piuttosto, il modello che emerge è quello di una serie di attacchi limitati, effettuati nel corso di diversi secoli, con occasionali occupazioni temporanee di regni assediati.

Uno qualsiasi di questi attacchi potrebbe aver fornito il nucleo originale dell

L’evoluzione di una tradizione

La genesi dell’epica omerica potrebbe risalire a 150 anni o più prima della data generalmente accettata della Guerra di Troia. 

Già alla fine del XV o all’inizio del XIV secolo, un noto testo ittita, la cosiddetta “Accusa di Madduwatta”, menziona le imprese militari degli Ahhiyawan sulla terraferma anatolica e successivamente sull’isola di Cipro (nota come Alasiya nei testi ittiti). 

Il capo di queste imprese era un uomo di Ahhiya di nome Attarsiya. Potrebbe la tradizione della Guerra di Troia essere iniziata con un conflitto militare tra Greci micenei e Anatolici all’inizio del XIV, o addirittura del XV secolo? 

Il professor Vermeule ha sostenuto che ci sono elementi linguistici e culturali nell’Iliade che potrebbero risalire a questo periodo. Attraverso lo studio di alcuni passaggi dell’Iliade, conclude che le morti di eroi “omerici” come Ettore e Patroclo erano già cantate nel XV o XIV secolo. 

Le avventure militari in Anatolia di un antico guerriero greco miceneo come Attarsiya sono esattamente il tipo di materiale da cui nascono le leggende. In effetti, è possibile che Attarsiya (o Attarissiya) fosse il modo ittita di scrivere il nome greco Atreo, un nome portato nella tradizione greca da uno dei primi sovrani di Micene.

Forse furono i primi contatti micenei con l’Anatolia occidentale a dare inizio alla tradizione di un conflitto greco-anatolico. Nel corso del tempo, questa tradizione acquisì costantemente nuovi elementi, molti dei quali potrebbero essere basati su episodi o incidenti storici reali. 

Nel XIII secolo, la tradizione aveva anche acquisito un contesto fisico specifico: un regno anatolico nord-occidentale che, nel corso del secolo, subì una serie di attacchi da parte dei Greci o dei loro alleati. L’occupazione nemica del suo territorio e il rovesciamento del suo re divennero parte integrante della tradizione in evoluzione.

Questa tradizione fu mantenuta viva da narratori, bardi e menestrelli erranti che, come ci dice Omero, intrattenevano le corti di re e nobili micenei. Le gesta di grandi eroi del passato si mescolarono con le azioni di re e guerrieri greci di epoche più recenti. 

La tradizione orale, per sua natura, permetteva adattamenti e aggiunte quasi illimitati a un corpus di folklore esistente. Molto probabilmente, su richiesta dei loro mecenati, i narratori aggiungevano costantemente nuovo materiale, aggiornando il loro repertorio di racconti. 

Anche dopo la caduta dei grandi regni dell’Età del Bronzo, la tradizione di una grande guerra continuò. E fu forse in questo periodo successivo, post-Età del Bronzo, che nacque l’ultima componente essenziale della tradizione omerica: la totale distruzione e abbandono della cittadella di Troia.

È importante sottolineare che una fine così drammatica di Troia non è attestata durante il Tardo Bronzo, né nei documenti archeologici né in quelli scritti. 

Nei reperti archeologici, Troia VIIa sostituì rapidamente Troia VIh e fu occupata dallo stesso gruppo di popolazione, sebbene le condizioni di vita fossero più umili e affollate. Nei documenti scritti, Wilusa fu liberata dai suoi invasori almeno in due occasioni nel XIII secolo, e al sovrano locale fu ripristinata la sua autorità. 

Tuttavia, arrivò un momento in cui Troia fu distrutta e apparentemente abbandonata dalla sua popolazione. Ciò accadde alla fine del livello VIIb, tra il 1100 e il 1000 a.C., durante i grandi sconvolgimenti che colpirono il Vicino Oriente e la Grecia alla fine dell’Età del Bronzo. 

La sua distruzione fu molto probabilmente opera di predoni, inclusi i cosiddetti Popoli del Mare, di cui si parla nei documenti egizi. È probabile che tra questi predoni vi fossero anche gruppi provenienti dagli ultimi resti del mondo miceneo.

Intorno al 1000 a.C., nuove ondate di Greci si stabilirono nell’Anatolia occidentale. Conoscevano le grandi storie dei loro antenati che avevano combattuto contro i regni anatolici locali, in particolare la conquista di un regno chiamato Troia o Ilio nella tradizione greca. 

Molti di loro potrebbero aver visitato il luogo di questa conquista. Cosa videro lì? I resti di una città un tempo grande, distrutta e ora totalmente abbandonata. Questo fornì l’ultimo elemento della tradizione: l’episodio conclusivo di un racconto di conflitto, conquista e distruzione.

Tutto ciò ha fornito la materia prima per il poeta creativo: una sequenza di eventi che si è svolta nell’arco di almeno cinquecento anni. Dall’immenso corpus di leggende e folklore generato da questi eventi, fu selezionato un piccolo numero di episodi, intessuti in una narrazione continua e compressi in un periodo di dieci anni. 

Ma il poeta andò oltre. La sua storia doveva essere popolata di personaggi coloriti: il signorile Agamennone, il coraggioso Aiace di proporzioni enormi, il nobile Ettore, l’offeso Achille, l’astuto Odisseo

Furono aggiunti altri elementi dal repertorio standard della tradizione epica: l’intervento di dei e dee, l’esecuzione di strani rituali, incontri con incantatrici e mostri, e consultazioni con i morti o gli immortali.

Fu questo il risultato di una singola persona? E se sì, fu il risultato di un poeta dell’VIII secolo? O ci fu una successione di poeti che risalgono attraverso le nebbie dell’Età Oscura? 

Omero era semplicemente l’ultimo di una serie? O era egli stesso un’invenzione, non una persona, ma la personificazione di un processo iniziato molto prima della fine dell’VIII secolo?

Potrebbero esserci stati uno o più poeti dell’Età Oscura a cui dovrebbe essere attribuito il merito, o almeno con i quali dovrebbe essere condiviso. Eppure, rimane la probabilità che, sovrastando tutti i suoi predecessori, ci fosse effettivamente un grande poeta della fine dell’VIII o dell’inizio del VII secolo, il cui genio creativo portò una tradizione narrativa in evoluzione al suo apice di eccellenza artistica.

Indubbiamente, il dibattito sul fatto che il racconto omerico della Guerra di Troia si basi o meno su fatti storici continuerà. Studiosi, produttori cinematografici e chiunque sia interessato alla storia di Troia continueranno a indagare sulla verità dietro la leggenda. 

Perché così tanti sono stati ossessionati da questa ricerca per così tanto tempo? 

Parte del motivo potrebbe essere la convinzione che la reputazione del poeta sarebbe tanto maggiore se potessimo provare oltre ogni dubbio che il suo racconto di Troia si basa su fatti storici. Ma, in realtà, è vero il contrario. 

Omero era un artista creativo, non uno storico, ed è così che vorrebbe essere giudicato. La sua composizione epica ha catturato l’immaginazione di generazioni di ascoltatori e lettori, oltre a ispirare innumerevoli artisti visivi e letterari. Eppure, questo non è tutto. 

Con una forza tale, ha raccontato la sua storia da convincere quasi tutti i suoi ascoltatori e lettori, compresi alcuni dei più acuti studiosi, che i suoi personaggi sono basati su persone reali e che questi eventi sono realmente accaduti.

Supponiamo per un momento che l’Iliade fosse, dall’inizio alla fine, un’opera di finzione, che Omero si sia inventato tutto. Quale sarebbe allora il più grande favore che potremmo fare al poeta? 

Sicuramente, provare alla soddisfazione di tutti che la sua storia di Troia non ha alcun fondamento storico. Ciò, più di ogni altra cosa, chiarirebbe a tutti la piena portata del genio creativo del poeta ionico.