Roma nel V secolo e la sua debolezza

Roma, la città eterna, è stata per secoli il centro del mondo antico, la culla della civiltà e della cultura. Ma Roma era anche una città esposta a molte minacce, sia interne che esterne, che ne mettevano a rischio la stabilità e la sopravvivenza.

Tra le sfide interne, vi erano le lotte politiche tra le diverse fazioni, le rivolte popolari, le carestie, le epidemie e i saccheggi. Questi fattori rendevano Roma una città fragile e turbolenta, che doveva fare i conti con le emergenze del quinto secolo, quando l’impero romano d’Occidente entrò in crisi e fu invaso dalle popolazioni barbariche.

Tra le sfide esterne, vi era la vulnerabilità militare di Roma, che era un obiettivo ambito e facile per i nemici. Roma era una città troppo grande per essere difesa efficacemente. Le sue mura erano imponenti, ma anche troppo estese per essere presidiate da un esercito ridotto e indebolito. Inoltre, Roma non aveva una posizione strategica favorevole. Era situata in una pianura aperta, lontana dal mare e dai monti, che la rendevano accessibile da ogni direzione.

Queste caratteristiche di Roma furono ben descritte da Procopio di Cesarea, uno storico che visse nel sesto secolo e che fu testimone della guerra greco-gotica, uno dei conflitti più sanguinosi che coinvolsero Roma in epoca tardo-antica. Procopio scrisse che Roma “non può sopportare un assedio a causa della mancanza di rifornimenti, in quanto non si trova sul mare, è circondata da mura di un perimetro così vasto e, soprattutto, è situata in una pianura aperta, rendendola facilmente accessibile all’attaccante” .

Roma fu quindi assediata più volte dai Goti, che ne devastarono gli edifici e ne depredarono le ricchezze. Roma dovette anche affrontare l’attacco dei Vandali, che arrivarono dal mare e saccheggiarono la città nel 455. Questi eventi segnarono il declino di Roma come capitale dell’impero e come simbolo di potenza e splendore.

Roma rimase comunque una città importante per la storia e per l’arte. Le sue rovine testimoniano ancora oggi la sua grandezza passata e la sua influenza sulla cultura occidentale.

Quando la tranquillità delle frontiere venne minacciata, gli imperatori decisero di proteggere la città. A partire dal 271, Aureliano eresse una maestosa cinta muraria per difenderla, e successivamente venne potenziata. Massenzio, che subì due pesanti assedi, intraprese importanti lavori di consolidamento, ma rimasero incompiuti.

Dopo quasi cent’anni di pace, nel 401 i Goti invasero il Nord Italia. Come risposta a questa nuova minaccia, tra il 401 e il 403 gli imperatori Onorio, Stilicone e il prefetto urbano Longiniano fecero ristrutturare le mura. Le difese vennero rialzate, venne costruito un nuovo cammino di ronda e le porte furono trasformate e rinforzate con un sistema di porte interne. Tuttavia, le mura da sole non erano sufficienti per spaventare i nemici.

Anzi, la loro grande estensione, sguarnite e prive di guardie, metteva in evidenza le debolezze del sistema difensivo. Oltre ad una modesta guarnigione, non erano presenti truppe permanentemente dislocate per difendere la città. Questo non era previsto nell’organizzazione militare tardo-antica. Già a partire dalle riforme di Diocleziano e Costantino, l’esercito imperiale era diviso tra una grande massa di soldati schierati nelle frontiere (chiamati limitanei) e potenti unità mobili, l’esercito comitatense.

In caso di invasione, queste unità avrebbero affrontato il nemico in campo aperto e, grazie all’addestramento e alle armi superiori, avrebbero spesso avuto la vittoria dalla loro parte. Nel V secolo, quest’esercito mobile era lontano da Roma. Infatti, era schierato nelle immediate vicinanze dell’imperatore o nelle aree più minacciate.

In Italia, le truppe dell’esercito comitatense erano dispiegate all’interno delle città fortificate della Pianura Padana, dove avevano anche i loro magazzini e le loro basi logistiche. La loro presenza garantiva la sicurezza di Milano e Ravenna, che erano le due residenze principali della corte imperiale in quel periodo. Tuttavia, il mantenimento di queste forze armate era molto costoso e gran parte del bilancio dello Stato tardoantico era destinato alle spese militari.

Poiché gli imperatori non risiedevano più stabilmente a Roma, non era né possibile né strategico mantenere una forte presenza militare per proteggere la città. Inoltre, c’erano altre ragioni che avevano influenzato la decisione di smilitarizzare Roma. Questa scelta era stata fatta da Diocleziano, il quale aveva ridotto il personale della guardia pretoriana presente in città fin dai tempi di Augusto. Dopo la sua vittoria su Massenzio, Costantino aveva sciolto definitivamente le coorti pretorie e la cavalleria della guardia, seguendo così le orme di Diocleziano.

Costantino aveva anche colto l’occasione per punire le truppe che avevano sostenuto Massenzio fino alla fine, combattendo strenuamente tra Saxa Rubra e il Ponte Milvio. L’esempio di Massenzio e della sua resistenza aveva convinto Costantino a perseverare nella strategia di Diocleziano. Con l’imperatore lontano, la presenza di una potente aristocrazia senatoria e di una solida guarnigione militare a Roma potrebbe favorire tentativi di colpo di stato e di usurpazione. Questo era già accaduto nel III secolo, perciò si decise che sarebbe stato meglio ridurre la minaccia privando Roma della sua forza militare.

Gli effetti di questa smilitarizzazione non si fecero attendere. Durante il Sacco del 410 e quello di Genserico nel 455, la città risultò indifesa contro gli aggressori, in quanto gli eserciti di battaglia dell’Occidente erano lontani e non ci furono truppe che intervennero per rompere gli assedi o scontrarsi in campo aperto con le forze barbariche. In tal modo, la città, la sua ricca aristocrazia e le sue vaste popolazioni furono abbandonate al loro tragico destino.