La società romana era sconvolta da 30 anni di guerre civili.
La riforma dello stato romano di Ottaviano Augusto è dunque una enorme ristrutturazione delle assemblee dell’antica Roma, e come vedremo, l’instaurazione di una specie di regime “legalizzato” da parte dell’imperatore, che assicurò pace e prosperità per i secoli successivi.
Una struttura, quella imperiale, entro cui si dipanerà tutta la storia politica romana successiva, almeno fino alla caduta dell’Impero d’Occidente.
La crisi del sistema repubblicano
Il tradizionale sistema repubblicano romano era costituito da una serie di assemblee.
Alcune eleggevano le magistrature inferiori, dedicate alla gestione delle città o alla rappresentanza dei cittadini meno abbienti, mentre le altre si occupavano di nominare le magistrature superiori, che guidavano di fatto le Repubblica.
Si trattava di un sistema di pesi e contrappesi che aveva funzionato perfettamente per secoli e che aveva garantito a Roma una grande stabilità e capacità di espansione.
Ma con l’evolversi del tempo, questi meccanismi si erano dapprima incrinati e quindi irrimediabilmente compromessi: la corruzione dilagante e la continua compravendita di cariche pubbliche, avevano inficiato profondamente questa struttura.
Un’altra causa profonda della crisi della Repubblica era stata, paradossalmente, la riforma dell’esercito romano attuata da Caio Mario.
Questa revisione delle forze armate aveva reso l’esercito estremamente potente ed efficace, ma in breve tempo emerse una controindicazione importante: i soldati erano ora più fedeli al generale che garantiva loro il bottino e le terre alla fine del servizio militare, piuttosto che allo Stato.
Le legioni erano diventate così il vero e proprio braccio armato della lotta politica, al servizio del comandante di turno, che poteva usare i soldati per il proprio tornaconto personale.
Ottaviano si trovò così di fronte ad una enorme sfida politica: il ripensamento radicale di un apparato statale ormai irrecuperabile.
L’incarico da parte del Senato
Per prima cosa, Ottaviano Augusto non avrebbe potuto agire come un Re, un comandante o un monarca che riformava a suo piacimento le istituzioni.
Attraverso una serie di amici e alleati all’interno del Senato, Ottaviano finse di voler fare un passo indietro, di abbandonare il suo ruolo di vincitore dell’ultima guerra civile e di ridare pieni poteri al Senato di Roma.
Il Senato stesso, di comune accordo, si oppose, chiese ed insistette nell’affidare l’incarico ad Ottaviano per garantire la pace e il funzionamento dello Stato.
L’opera di Ottaviano apparve dunque non come una imposizione del singolo, ma come un incarico richiesto e perfettamente autorizzato dal Senato romano.
Questo primissimo passo è fondamentale per comprendere l’opera di Ottaviano, che è costantemente tesa alla legalizzazione e alla autorizzazione formale del suo potere e delle sue cariche.
Assicuratosi di non apparire come un dittatore ma come un “incaricato”, Ottaviano avviò un enorme aggiornamento delle strutture romane.
Il controllo politico
Il primo obiettivo di Augusto era ottenere il controllo politico della situazione.
Per fare questo, egli si pose come un magistrato supremo, investito del potere militare, l’Imperator, NON con il compito di smantellare la Repubblica, ma l’esatto opposto.
Rappresentare, difendere e proteggere il funzionamento della Repubblica stessa. Egli era, formalmente, il più alto garante dello Stato Romano.
L’imperatore aveva poi una ristretta cerchia di senatori e politici influenti, e fedelissimi, con cui si consultava continuamente e dove venivano prese, confidenzialmente, le decisioni più importanti.
Si trattava del Consilium Principis, ed era il reale fulcro della politica romana. Tutte le decisioni ponderate e decise in questo esclusivo crocchio di potenti, venivano poi rese effettive, sempre con discrezione, nel Senato.
Lo stesso Senato romano venne revisionato ad immagine e somiglianza del Princeps.
I senatori che non erano in linea con la politica dell’imperatore, dovevano essere neutralizzati. Ma non si trattò di una operazione violenta, palese, alla luce del sole, come delle liste di proscrizione, quanto di una attività lenta e strisciante.
I dissidenti, iniziarono ad essere gradualmente esclusi dalle cariche e a vedersi la carriera politica bloccata o pesantemente rallentata.
Al contrario, coloro che volevano consolidare e aumentare la loro influenza, erano giocoforza quelli che condividevano e attuavano le politiche definite dal Princeps e dal suo Consilium.
In questo modo, con una fine attività politica, Ottaviano si garantì l’appoggio del Senato e mantenne saldamente il potere politico nelle sue mani.
Sempre con quella parvenza di legalità che era necessaria e fondamentale per non compromettere la sua opera.
Il controllo militare
Durante la sua ascesa verso il potere, Ottaviano aveva afferrato perfettamente l’importanza del controllo militare.
Per questo, Ottaviano iniziò a distribuire sul territorio, a Roma e nella penisola italica soprattutto, alcune unità di Pretoriani. Dei soldati scelti fra tutto l’esercito, con il compito di salvaguardare e proteggere la vita e la funzione dell’imperatore.
Una sorta di guardia del corpo che gli consentiva di avere alle sue dipendenze un nucleo scelto di militari pronti ad intervenire.
Ma la vera novità, fu quella della divisione delle province in imperiali e senatoriali.
Anteponendo formalmente il bene, la protezione e la sicurezza dei territori, Ottaviano definì alcune province come strettamente e direttamente dipendenti dall’Imperatore.
In queste zone, tuttavia, erano dislocate, e non era certo un caso, le legioni più importanti, addestrate e significative per mantenere il controllo militare dell’impero.
In questo modo, sempre senza violare alcuna norma, Ottaviano ebbe il comando supremo dell’apparato militare.
Le altre province, quelle Senatoriali, erano le zone più tranquille e sicure di tutto l’impero, dove i legionari di stanza, anche se coalizzati, non avrebbero potuto costituire un significativo pericolo.
Questa divisione si riflette anche nella tassazioni. I proventi derivanti dalle province imperiali, confluirono da quel momento nel “Fisco“, una cassa privata del princeps.
Mentre le tasse delle province senatoriali venivano radunate nell'”Erario“, la cui gestione era condivisa con tutti i membri del Senato.
Un passaggio importante per riportare l’ordine militare fu anche quello, come spiegato prima, di evitare che i comandanti utilizzassero le legioni per i loro scopi personali.
La soluzione adottata da Augusto fu quella di istituire l’Erario militare. Una parte della cassa dello stato interamente dedicata al pagamento dell’esercito e supervisionata da tre magistrati.
Con questa semplice azione, il Princeps riuscì finalmente a riportare le attività delle legioni sotto il controllo statale, recuperando voce in capitolo sulle forze armate.
La propaganda di Ottaviano Augusto
Non meno importante, per il buon funzionamento del suo regime, era il rapporto tra l’imperatore e le masse cittadine. I romani avevano subìto 30 anni di dilanianti guerre civili e chiedevano nient’altro che la pace.
Il primo elemento con cui Augusto gestì le masse fu la Religione. Esperto e conoscitore dell’Mos Maiorum degli antenati, Ottaviano diffuse la seguente “giustificazione” al suo potere agli occhi del pubblico.
Roma aveva fino a quel momento avuto un patto con gli Dei. I romani osservavano le leggi divine, chiedevano continuamente segnali e auspici, e organizzavano la loro vita in accordo con il volere delle entità sovrannaturali.
Durante il tempo, tuttavia, i romani avevano rivelato pubblicamente il nome segreto di Roma (probabilmente AMOR, ovvero il nome di ROMA letto al contrario).
La diffusione di questo intimo segreto, aveva adirato gli Dei, i quali avevano rotto il patto con Roma, e da lì, senza la loro protezione, la città eterna aveva conosciuto l’estenuante susseguirsi delle guerre civili.
Augusto si pose volutamente come l’intermediario, in grado di ricostituire l’intimo accordo con gli Dei. Un vero e proprio “uomo di mezzo” che era riuscito nell’intento di riconciliare il popolo romano con i suoi tradizionali protettori.
Questo significava non solo che la figura di Augusto era sacra e inviolabile, ma che tutti i generali e comandanti da lui nominati godevano della sua protezione.
Ma questo non bastava. Augusto concepì quella che venne definita politica del “panem et circenses“.
Durante la sua giovinezza, Ottaviano aveva scoperto in prima persona cosa significava affrontare il popolo inferocito per la fame e la carestia. Dopo un esclusivo banchetto dove aveva interpretato il dio Apollo, era stato quasi linciato dalla folla affamata, salvato in quella occasione da Marco Antonio.
Per cui la fornitura di derrate alimentari gratuite fu una misura fondamentale per mantenere la tranquillità della popolazione.
A questo si aggiungevano i “circenses“, ovvero i giochi.
I giochi, le festività e le ricorrenze erano fondamentali per convogliare l’insoddisfazione e la rabbia della popolazione, per comunicare efficacemente la sua propaganda e per distrarre le masse dal delicato intreccio politico che stava tessendo.
Il simbolo del potere augusteo. L’Ara Pacis Augustae
Per la propaganda di Augusto, la cultura ebbe un rilievo fondamentale.
Sotto di lui e il suo amico e collega Mecenate, vennero incoraggiate le arti. L'”Eneide”, composta da Publio Virgilio Marone, era una immensa opera che ripercorreva la nascita di Roma e mirava a stabilire la famiglia di Augusto come prediletta dagli Dei.
Così come la storia di Roma redatta da Tito Livio, che partì dalla fondazione e si concluse con i funerali di Druso, uno dei figli di Augusto.
A livello scultoreo alcune statue, come “L’Augusto di Prima Porta” rappresentano ancora perfettamente gli ideali augustei.
Ma il vero capolavoro e simbolo, è senza dubbio l”‘Ara Pacis Augustae“.
Si tratta di una costruzione meravigliosa, completamente in marmo, dove dei bassorilievi ripercorrono la storia di Roma. Oltre ad essere utilizzata al suo interno per delle piccole cerimonie, questa struttura rappresenta la conferma che era giunto un periodo di pace e di prosperità per il popolo romano.
L’unica pecca: la successione
L’immensa opera riformatrice di Augusto ebbe risultati concreti. Il nuovo sistema diede stabilità (anche se con alcuni momenti di crisi) all’impero per i secoli successivi.
L’unico vero problema, irrisolto persino dallo stesso Augusto, fu il meccanismo della successione. Lo stesso Ottaviano, ancora in vita, si rese conto di quanto delicato fosse il problema.
Il meccanismo elaborato dal Princeps fu quello di selezionare all’interno della famiglia dell’imperatore il successore via via più meritevole. I pretoriani avevano il compito di proteggerlo, ma anche e addirittura di ucciderlo, qualora si fosse dimostrato incapace o fuori controllo.
Una continua scelta all’interno della famiglia imperiale che avrebbe dovuto rinnovare la guida dello stato romano.
In alcuni casi tutto questo funzionò: Tiberio, il suo successore, fu un buon regnante, così come anche Claudio, fu imperatore illuminato. Ma con la morte di Nerone senza eredi, si aprì ad esempio il famoso “Anno dei quattro imperatori”.
Un anno di conflitti militari per determinare la famiglia imperiale successiva: la dimostrazione che il nodo della successione non era stato totalmente risolto e che in caso di incertezza, la presa delle armi era sempre dietro l’angolo.
L’eredità di Augusto
“Quale politico più grande di lui?” ebbe a dire lo storico Theodor Mommsen?
Probabilmente nessuno, o pochissimi. La portata della mente politica di Augusto è quasi del tutto inarrivabile. Con una serietà e un lucido calcolo, quasi disumano, Ottaviano aveva recuperato e reinterpretato un sistema statale ormai logoro, trasformandolo in una nuova entità.
Con la sua opera, si aprì infatti il periodo della “Pax Romana“, una condizione di notevole prosperità e assenza di conflitti significativi, in tutto lo sterminato impero.