Ottaviano Augusto (in latino: Gaius Iulius Caesar Augustus) è stato il primo imperatore romano dal 27 a.C. al 14 d.C.
Nato come Gaio Ottavio Turino, fu adottato da Giulio Cesare, suo prozio materno, che lo nominò suo erede testamentario. Dopo l’assassinio di Cesare nel 44 a.C., Ottaviano si scontrò con Marco Antonio, il suo principale rivale politico e militare, per il controllo della Repubblica romana.
Riproduzione in resina bronzata dell’Imperatore Augusto
Dopo aver formato il secondo triumvirato con Antonio e Lepido, sconfisse i cesaricidi Bruto e Cassio a Filippi nel 42 a.C. e poi si divise l’impero con i suoi alleati.
Nel 36 a.C., eliminò Lepido e Sesto Pompeo, il figlio del nemico di Cesare, e nel 31 a.C., sconfisse definitivamente Antonio e Cleopatra ad Azio, divenendo il padrone assoluto di Roma e dell’Egitto. Nel 27 a.C., rinunciò formalmente al potere dittatoriale e si fece conferire dal Senato il titolo di Augusto, che significava “venerabile” o “sacro”.
Da allora in poi, governò come princeps, cioè il primo tra i cittadini, instaurando un regime noto come principato, che manteneva le forme della repubblica ma nascondeva una monarchia assoluta.
Durante il suo lungo regno, Ottaviano Augusto riformò l’amministrazione dello stato, l’esercito, la monetazione, la religione e la cultura romana. Promosse la pace interna e la prosperità economica, espandendo i confini dell’impero fino al Reno, al Danubio e all’Eufrate.
Fu anche un grande mecenate delle arti e delle lettere, favorendo lo sviluppo di una corrente artistica nota come classicismo augusteo. Morì a Nola nel 14 d.C., all’età di 75 anni, dopo aver adottato e designato come suo successore Tiberio, il figlio della sua terza moglie Livia Drusilla. Fu sepolto nel suo mausoleo a Roma e fu divinizzato dal Senato.
Le origini e l’incontro con Cesare in Spagna
Ottaviano Augusto nacque a Roma il 23 settembre del 63 a.C., con il nome di Gaio Ottavio Turino. Era figlio di Gaio Ottavio, un ricco cavaliere originario di Velitrae (l’attuale Velletri), e di Azia maggiore, nipote di Giulia minore, sorella di Giulio Cesare.
Aveva anche una sorella minore, Ottavia minore, che sposò in seconde nozze Marco Antonio. La sua famiglia apparteneva all’ordine equestre ma non aveva una grande tradizione politica. Il padre morì quando Ottaviano aveva solo quattro anni e la madre si risposò con Lucio Marcio Filippo, un influente senatore che lo introdusse alla vita pubblica. Nel 47 a.C., Ottaviano accompagnò il patrigno in Spagna, dove Filippo era governatore propretore.
Lì ebbe l’occasione di incontrare per la prima volta Giulio Cesare, che stava conducendo la guerra civile contro Pompeo e i suoi sostenitori. Cesare rimase colpito dal giovane Ottaviano e lo invitò a seguirlo nella sua campagna militare. Tuttavia, Ottaviano dovette tornare a Roma per motivi di salute e poi partì per l’Illiria (l’attuale Albania), dove si recò ad Apollonia per completare la sua educazione con lo studio della filosofia e della retorica.
Erede di Cesare e lotta contro Marco Antonio
Nel marzo del 44 a.C., mentre Ottaviano era ancora ad Apollonia, ricevette la notizia dell’assassinio di Giulio Cesare avvenuto a Roma il giorno delle Idi (15 marzo). Scoprì anche che Cesare lo aveva adottato nel suo testamento e lo aveva nominato suo erede universale. Decise quindi di tornare subito nella capitale per reclamare la sua eredità e vendicare la morte del suo padre adottivo.
A Roma trovò una situazione politica molto confusa e pericolosa. I cesaricidi guidati da Bruto e Cassio si erano rifugiati in Grecia, mentre Marco Antonio, il braccio destro di Cesare e console in carica, cercava di assumere il controllo della situazione approfittando del prestigio e delle ricchezze del defunto dittatore. Antonio si oppose alla richiesta di Ottaviano di ricevere l’eredità di Cesare e cercò di screditarlo agli occhi del popolo romano, presentandolo come un ragazzo arrogante e ambizioso.
Ottaviano reagì con abilità politica e militare. Si alleò con i veterani cesariani che lo seguirono fedelmente e si guadagnò il favore del Senato grazie all’appoggio di Cicerone, il più grande oratore romano che vedeva in lui un possibile strumento per restaurare la repubblica.
Nel novembre del 44 a.C., Ottaviano entrò in conflitto aperto con Antonio, che aveva tentato di occupare illegalmente le province della Gallia Cisalpina e della Gallia Narbonense. Iniziò così una guerra civile tra i due contendenti, che si affrontarono in due battaglie decisive nella primavera del 43 a.C.
La prima fu la battaglia di Forum Gallorum (presso l’attuale Castelfranco Emilia), dove Antonio fu sconfitto dalle forze senatoriali guidate dai consoli Irzio e Pansa. La seconda fu la battaglia di Mutina (l’odierna Modena), dove Antonio fu assediato dalle truppe combinate di Ottaviano e dell’altro console dell’anno, Gaio Vibio Pansa. Antonio riuscì a sfondare le linee nemiche ma dovette ritirarsi verso sud, inseguito da Ottaviano.
Entrambi i consoli morirono durante le battaglie, così che Ottaviano rimase l’unico comandante dell’esercito senatoriale e rivendicò per sé il consolato vacante. Il Senato glielo concesse con riluttanza, sostanzialmente obbligato dall’esercito di Ottaviano che stava marciando su Roma, nominandolo come il più giovane console della storia romana, a soli vent’anni.
Il secondo triumvirato e la battaglia di Filippi
La posizione di Ottaviano non era tuttavia sufficientemente sicura: i cesaricidi si erano rifugiati in Oriente con il sostegno di alcune province e di re alleati e Marco Antonio, fuggito in Gallia, aveva ancora il comando su un numero considerevole di legioni.
Per questo motivo decise di riavvicinarsi a Marco Antonio, che si era ritirato in Gallia con l’aiuto di Lepido. I tre si incontrarono a Bononia (l’attuale Bologna) nel novembre del 43 a.C. e formarono il secondo triumvirato, un organo collegiale che si attribuì pieni poteri legislativi ed esecutivi per cinque anni.
Il triumvirato fu ratificato dal Senato con la lex Titia, che conferì ai triumviri l’imperium maius, cioè il potere supremo su tutte le province e le legioni romane. Il triumvirato si pose come obiettivo principale quello di vendicare Cesare contro i suoi assassini, ma anche di eliminare i loro oppositori politici.
A tal fine, stilò una lista di proscrizione, nella quale furono inseriti i nomi di circa 300 senatori e 2000 cavalieri da condannare a morte senza processo. Tra le vittime illustri ci furono Cicerone, il grande oratore che aveva sostenuto Ottaviano contro Antonio, e il fratello Quinto; Lucio Giulio Cesare, cugino del dittatore; e Marco Tullio Cicerone minore, figlio del celebre oratore. Le confische dei beni dei proscritti servirono a finanziare la guerra contro i cesaricidi.
Nel 42 a.C., i triumviri mossero verso l’Oriente con un esercito di circa 100.000 uomini e 33.000 cavalieri. I cesaricidi Bruto e Cassio avevano raccolto un esercito simile, di circa 100.000 uomini e 17.000 cavalieri, grazie al reclutamento nelle province orientali e al contributo dei re dell’Asia Minore. I due schieramenti si scontrarono nei pressi di Filippi, una città della Macedonia situata lungo la via Egnazia. La battaglia si svolse in due fasi, separate da un intervallo di venti giorni.
La prima fase ebbe luogo il 3 ottobre del 42 a.C. e vide lo scontro tra le ali destre dei due eserciti: da una parte Antonio attaccò Cassio, dall’altra Bruto attaccò Ottaviano. Antonio ebbe la meglio su Cassio, che fu costretto a ritirarsi sulle colline circostanti; Bruto invece riuscì a sfondare le linee di Ottaviano e a occupare il suo accampamento. Cassio, ignaro del successo di Bruto e credendo perduta la battaglia, si fece uccidere da uno dei suoi liberti. Bruto cercò di riorganizzare le sue forze e di resistere agli attacchi di Antonio.
La seconda fase ebbe luogo il 23 ottobre del 42 a.C. e vide lo scontro tra le ali sinistre dei due eserciti: da una parte Bruto attaccò Antonio, dall’altra Ottaviano attaccò i sostenitori di Cassio. La battaglia fu molto accanita e sanguinosa, ma alla fine prevalse l’abilità militare di Antonio, che riuscì a respingere Bruto e a circondarlo con le sue legioni. Bruto capì che non c’era più speranza e si suicidò con la sua spada. Con la sua morte terminò la resistenza dei cesaricidi e dei repubblicani.
La battaglia di Filippi fu una vittoria decisiva per i triumviri, che si spartirono il dominio dell’impero romano: Antonio ebbe l’Oriente, Ottaviano ebbe l’Occidente e Lepido ebbe l’Africa.
La guerra di Perugia, la resa dei conti con Antonio e la battaglia di Azio
Ottaviano dovette affrontare una sfida importante: i veterani delle legioni reclamavano terre in Italia e lui, in qualità di triumviro, fu chiamato a risolvere delle gravi contese territoriali. Il tutto fu aggravato dall’azione di Lucio Antonio, il fratello minore di Marco Antonio, che si era alleato con la moglie di quest’ultimo, Fulvia, per ostacolarlo.
La sfida si risolse nella guerra di Perugia nel 40 a.C., dopo che Lucio Antonio si era ribellato al potere di Ottaviano in Italia e si era rifugiato nella città di Perugia, dove fu assediato dalle truppe di Ottaviano per diversi mesi. La città resistette fino a quando la fame e la pestilenza non la costrinsero a capitolare. Ottaviano fece giustiziare molti dei difensori e confiscò le loro proprietà. Lucio Antonio fu perdonato e inviato in Spagna come governatore. Fulvia morì poco dopo, forse per una malattia o per il dispiacere
Il secondo triumvirato non durò a lungo, poiché i rapporti tra i suoi membri si deteriorarono rapidamente. Lepido fu escluso dal potere nel 36 a.C., dopo aver tentato di usurpare la Sicilia da Sesto Pompeo, il figlio di Pompeo Magno. Antonio si dedicò alla sua relazione con Cleopatra, la regina d’Egitto, con la quale ebbe tre figli e a cui donò molti territori orientali.
Inoltre, rinnegò il suo matrimonio con Ottavia minore, la sorella di Ottaviano, che aveva sposato nel 40 a.C. per suggellare la loro alleanza. Queste azioni suscitarono lo sdegno di Ottaviano, che lo accusò di tradire gli interessi di Roma e di voler instaurare una dinastia egiziana. Ottaviano ottenne dal Senato la dichiarazione di guerra contro Cleopatra, presentando il conflitto come una difesa della romanità contro il dispotismo straniero.
La guerra si decise nel 31 a.C., con una grande battaglia navale al largo del promontorio di Azio, sulla costa dell’Epiro. Le forze di Ottaviano erano comandate dal suo fedele generale Marco Vipsanio Agrippa, che disponeva di circa 400 navi e 80.000 soldati. Le forze di Antonio e Cleopatra erano composte da circa 480 navi, di cui 300 egiziane, e 84.000 soldati, in parte egiziani.
La battaglia fu vinta dalla flotta di Ottaviano, che si dimostrò più agile e manovrabile di quella avversaria, grazie anche all’uso dell’arpagone, un dispositivo per arpionare e abbordare le navi nemiche. Antonio e Cleopatra riuscirono a fuggire con una parte delle loro navi verso l’Egitto, ma furono inseguiti da Ottaviano.
Ottaviano entrò trionfalmente ad Alessandria nel 30 a.C., dopo aver sconfitto le ultime resistenze delle forze di Antonio e Cleopatra. I due amanti si suicidarono per evitare la cattura e l’umiliazione. L’Egitto fu annesso all’impero romano come provincia personale di Ottaviano, che ne controllava le immense ricchezze.
Con la morte di Antonio e Cleopatra terminò la guerra civile e Ottaviano rimase l’unico padrone dell’impero romano. Tuttavia, egli non si proclamò mai apertamente re o dittatore, ma preferì mantenere le forme della repubblica e governare come princeps, cioè il primo tra i cittadini. Questa forma di governo è nota come principato o monarchia repubblicana.
Il principato di Augusto
Il principato si basava su un complesso sistema di poteri e titoli che conferivano ad Ottaviano un’autorità superiore a quella degli altri magistrati repubblicani. Tra questi poteri spiccavano:
- L’imperium proconsolare maius: il comando supremo su tutte le province e le legioni dell’impero, che permetteva ad Ottaviano di intervenire militarmente dove riteneva opportuno.
- La tribunicia potestas: il potere dei tribuni della plebe, che garantiva ad Ottaviano l’inviolabilità personale, il diritto di veto sulle decisioni del Senato e dei magistrati, e l’iniziativa legislativa.
- Il pontificato massimo: la carica religiosa più alta, che dava ad Ottaviano il controllo del culto pubblico e delle cerimonie sacre.
- Il titolo di Augusto: un appellativo onorifico che significava “venerabile” o “sacro”, che esprimeva il prestigio e il consenso popolare di cui godeva Ottaviano.
- Il titolo di imperator: un titolo militare che indicava il capo vittorioso delle legioni romane.
- Il titolo di pater patriae: un titolo conferito dal Senato nel 2 a.C., che riconosceva ad Ottaviano il ruolo di protettore e benefattore della patria romana.
Ottaviano esercitava il suo potere in modo moderato e prudente, rispettando le istituzioni repubblicane e coinvolgendo il Senato e i magistrati nelle decisioni politiche. Egli si presentava come il restauratore della pace e dell’ordine dopo le guerre civili e come il promotore della prosperità e della grandezza dell’impero romano.
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La riforma delle province
Augusto si rese conto che l’impero romano era troppo vasto e complesso per essere governato con il vecchio sistema delle province, che erano affidate a magistrati eletti dal Senato per un anno. Questo sistema era inefficiente e favoriva gli abusi e le estorsioni da parte dei governatori, che cercavano di arricchirsi il più possibile a spese delle popolazioni locali. Inoltre, alcune province erano più esposte alle minacce esterne e richiedevano una maggiore presenza militare e una maggiore attenzione politica.
Per questi motivi, Augusto decise di dividere le province in due categorie: le province senatorie e le province imperiali. Le prime erano quelle più antiche e pacificate, che non richiedevano una forte guarnigione militare. Queste province continuarono a essere governate da magistrati eletti dal Senato, che avevano il titolo di proconsoli o propretori.
Le seconde erano quelle più turbolente o minacciate da invasioni, che richiedevano una forte presenza militare e una maggiore attenzione politica. Queste province furono poste sotto il diretto controllo di Augusto, che ne nominava i governatori tra i suoi fedeli collaboratori. Questi avevano il titolo di legati imperiali e dipendevano direttamente dal princeps.
Augusto si riservò anche il controllo diretto dell’Egitto, la provincia più ricca e strategica dell’impero. L’Egitto era infatti il principale fornitore di grano per Roma e per le altre province. Inoltre, l’Egitto era la chiave per il controllo del Mediterraneo orientale e dei suoi traffici commerciali. Augusto governava l’Egitto come un suo possesso personale, senza concedere la cittadinanza romana ai suoi abitanti. I governatori dell’Egitto avevano il titolo di prefetti d’Egitto e dovevano essere di rango equestre, per evitare che potessero aspirare al potere imperiale.
La riforma delle province fu una delle più importanti opere di Augusto, perché permise di stabilizzare l’impero e di garantire una migliore amministrazione e una maggiore sicurezza alle popolazioni provinciali.
La riforma dell’esercito
Augusto si rese conto che l’esercito romano aveva bisogno di una profonda riforma, per renderlo più efficiente, più fedele e più disciplinato. L’esercito romano era infatti composto da troppe legioni, che erano state create durante le guerre civili e che erano spesso legate ai singoli generali piuttosto che allo stato. Inoltre, l’esercito romano era spesso coinvolto in rivolte e in richieste di aumenti salariali o di concessioni di terre.
Per questi motivi, Augusto decise di ridurre il numero delle legioni da 60 a 28 e di distribuirle lungo i confini dell’impero. Le legioni erano composte da soldati professionisti, reclutati tra i cittadini romani o tra gli alleati italici. Ogni legione aveva un numero fisso di 5.000 uomini, divisi in 10 coorti. Ogni coorte era composta da 6 centurie di 80 uomini ciascuna. Ogni legione aveva anche un contingente ausiliario di cavalleria e di fanteria leggera, reclutato tra i provinciali non cittadini.
Augusto stabilì anche che i soldati dovessero prestare servizio per 20 anni e poi ricevere una pensione o un appezzamento di terra. Per finanziare queste ricompense, Augusto creò un fondo speciale, chiamato aerarium militare, alimentato dalle tasse sulle vendite e dalle confische dei beni dei proscritti.
Augusto creò anche un corpo di guardia personale, i pretoriani, che avevano il compito di proteggere il princeps e la sua famiglia. I pretoriani erano composti da nove coorti di 1.000 uomini ciascuna, reclutati tra i migliori soldati delle legioni. I pretoriani erano al comando di un prefetto del pretorio, che era uno dei più fidati collaboratori di Augusto.
Augusto creò anche una flotta permanente, che aveva il compito di controllare il Mediterraneo e i suoi traffici commerciali. La flotta era divisa in due squadre principali: la classis Misenensis, con base a Miseno nel golfo di Napoli; e la classis Ravennatis, con base a Ravenna nell’Adriatico. Ogni squadra aveva circa 200 navi da guerra, chiamate liburne.
La riforma dell’esercito fu una delle più importanti opere di Augusto, perché permise di rendere l’esercito più efficiente, più fedele e più disciplinato. Inoltre, permise ad Augusto di consolidare il suo potere personale e di difendere l’impero dalle minacce esterne.
La riforma della monetazione
Augusto si rese conto che il sistema monetario romano aveva bisogno di una profonda riforma, per garantire una maggiore stabilità e uniformità delle monete in circolazione. Il sistema monetario romano era infatti basato su tre tipi di metalli: il bronzo, l’argento e l’oro. Il bronzo era usato per le monete di minor valore, come l’asse e i suoi sottomultipli. L’argento era usato per il denario, la moneta più diffusa e usata per i pagamenti ordinari. L’oro era usato per l’aureo, la moneta più preziosa e usata per le grandi transazioni.
La riforma monetaria di Augusto del 15 a.C. prevedeva che la coniazione delle monete in oro ed argento fosse controllata direttamente dall’imperatore, mentre il senato controllava la coniazione dei valori minori in bronzo. In questo modo, Augusto si assicurava il monopolio della produzione delle monete più importanti e influenti, che poteva usare anche come strumento di propaganda politica e di legittimazione del suo potere. Il senato, invece, manteneva una certa autonomia nella gestione delle monete di bronzo, che avevano un valore più basso e una circolazione più limitata.
La riforma monetaria di Augusto stabilì anche il rapporto fisso tra i diversi tipi di monete e i loro pesi. Un aureo d’oro pesava 8 grammi ed era equivalente a 25 denari d’argento. Un denario d’argento pesava 3,9 grammi ed era equivalente a 16 assi di bronzo. Un asse di bronzo pesava 11,4 grammi ed era equivalente a 12 once di bronzo.
La riforma monetaria di Augusto fu una delle più importanti opere di Augusto, perché permise di garantire una maggiore stabilità e uniformità delle monete in circolazione. Inoltre, permise ad Augusto di esercitare un maggiore controllo sulla produzione e sulla distribuzione delle monete più importanti e influenti.
La riforma della religione
La religione romana aveva bisogno di una profonda riforma, per rafforzare il legame tra i cittadini e gli dei e per garantire l’ordine e la prosperità dell’impero. La religione romana era infatti basata sul rispetto dei mos maiorum, le tradizioni degli antenati, e sul culto degli dei che presiedevano a ogni aspetto della vita pubblica e privata.
Tuttavia, con l’espansione dell’impero e il contatto con altre culture, la religione romana aveva subito un processo di sincretismo e di decadenza morale. Molti romani erano attratti dalle religioni orientali, come quella egiziana o quella misterica, che promettevano una salvezza personale e una vita ultraterrena. Altri romani erano influenzati dalla filosofia greca, che metteva in discussione l’esistenza e la potenza degli dei.
La riforma della religione di Augusto prevedeva il restauro del culto tradizionale romano, basato sul rispetto degli dei e degli antenati. Augusto fece ricostruire molti templi antichi e ne fece erigere di nuovi, come il Pantheon, dedicato a tutti gli dei. Favorì anche il culto imperiale, cioè la venerazione della sua persona e della sua famiglia come divinità protettrici dell’impero. Inoltre, cercò di contrastare le religioni orientali, che riteneva pericolose per l’ordine pubblico e per la moralità romana.
La riforma della religione di Augusto fu una delle più importanti opere di Augusto, perché permise di rafforzare il legame tra i cittadini e gli dei e di garantire l’ordine e la prosperità dell’impero. Inoltre, permise ad Augusto di esercitare un maggiore controllo sulla religione come strumento di propaganda politica e di legittimazione del suo potere.
Le leggi moralizzatrici
Il Princeps lavorò di pari passo per rafforzare i valori morali della società romana, basati sulla famiglia, sul matrimonio, sulla fedeltà coniugale e sulla procreazione. La morale romana era infatti minata dal lusso, dalla corruzione, dall’adulterio e dalla sterilità che caratterizzavano le classi più ricche e influenti. Molti romani erano attratti dalle mode e dai costumi orientali, che promuovevano una vita dissoluta e licenziosa.
La riforma della morale di Augusto prevedeva l’emanazione di leggi che premiavano i cittadini che si sposavano e avevano figli e che punivano quelli che rimanevano celibi o adulteri. Queste leggi erano chiamate leges Iuliae e includevano la lex Iulia de maritandis ordinibus (18 a.C.), che stabiliva dei privilegi per i coniugi con figli e delle sanzioni per i celibi; la lex Iulia de adulteriis coercendis (17 a.C.), che puniva severamente l’adulterio e il concubinato; la lex Papia Poppaea (9 d.C.), che estendeva le disposizioni delle leggi precedenti anche ai liberti e ai non cittadini.
La riforma della morale di Augusto prevedeva anche di limitare il lusso e la corruzione tra le classi più ricche e di incentivare la beneficenza e la filantropia tra i cittadini più abbienti. Augusto diede l’esempio personale, vivendo in modo sobrio e modesto, donando parte delle sue ricchezze al popolo e alle province, promuovendo opere pubbliche di utilità sociale.
La politica estera di Augusto
Augusto non si limitò a riformare l’impero romano dal punto di vista interno, ma si occupò anche di consolidare e ampliare i suoi confini dal punto di vista esterno. La politica estera di Augusto fu caratterizzata da una combinazione di diplomazia e forza militare, che gli permise di mantenere la pace e la stabilità all’interno dell’impero romano.
Tra le principali azioni di politica estera di Augusto possiamo ricordare:
- La sottomissione delle aree interne: Augusto completò la conquista della Spagna, pacificando le popolazioni del nord della penisola (Cantabri, Asturi, Baschi) tra il 20 e il 19 a.C. con l’opera di Vipsanio Agrippa. Sottomise anche le tribù alpine che controllavano i passi montani e minacciavano le comunicazioni tra l’Italia e le province transalpine (Salassi, Camuni, Venni, Taurisci, Rezi, Vindelici) tra il 25 e il 16 a.C. con l’opera di vari generali. Fondò nuove province (Alpi Marittime, Alpi Pennine, Alpi Graie, Alpi Cozie, Norico, Rezia) e nuove città (Augusta Praetoria Salassorum, Augusta Vindelicorum).
- La frontiera danubiana: Augusto sottomise la Pannonia (tra Slovenia e Ungheria) tra il 12 e il 9 a.C. con l’opera di Tiberio e Druso maggiore. Fondò la provincia di Pannonia e stabilì il Danubio come confine naturale dell’impero. Sottomise anche la Dacia (attuale Romania) tra il 10 a.C. e il 6 d.C. con l’opera di Marco Vinicio e Marco Crasso. Uccise tre re dei Daci (Cotiso, Comosicus, Duras) e respinse le loro incursioni nel territorio romano.
- La frontiera renana e la Germania Magna: Augusto respinse i Germani al di là del Reno tra il 12 a.C. e il 9 d.C. con l’opera di Druso maggiore e Tiberio. Sottomise diverse tribù germaniche (Sugambri, Usipeti, Tencteri, Frisi, Catti) e stabilì l’Elba come confine naturale dell’impero. Tuttavia, nel 9 d.C., una rivolta guidata da Arminio portò alla disfatta delle legioni romane nella battaglia della foresta di Teutoburgo. Augusto rinunciò al progetto di conquistare la Germania Magna e si limitò a difendere il Reno con una serie di fortificazioni.
- La frontiera africana: Augusto sottomise le popolazioni della Mauretania (attuali Marocco e Algeria) tra il 25 e il 23 a.C. con l’opera di Gaio Cornelio Gallo. Annessa la Numidia alla provincia d’Africa nel 25 a.C., creò due nuove province: Mauretania Tingitana e Mauretania Caesariensis
Il problema della successione
Augusto si trovò a dover affrontare il problema della successione durante quasi tutto il suo principato. La sua prima preoccupazione era di evitare che alla sua morte il Senato nominasse qualche esponente della nobiltà nostalgico della repubblica. Augusto cercò costantemente, nel corso degli anni, un erede appartenente alla propria famiglia, che potesse continuare la sua opera e garantire la stabilità dell’impero.
Augusto ebbe tre mogli, ma non una discendenza diretta maschile. La sua prima moglie, Clodia Pulcra, gli diede una figlia, Giulia maggiore, che sposò in prime nozze Marco Claudio Marcello, nipote di Augusto. Marcello morì nel 23 a.C., senza lasciare figli. La seconda moglie di Augusto, Scribonia, gli diede una seconda figlia, Giulia minore, che sposò in prime nozze Lucio Emilio Paolo, figlio dell’omonimo console caduto a Canne. Paolo morì nel 14 a.C., lasciando due figli: Emilio Paolo e Cornelia Scipione. La terza moglie di Augusto, Livia Drusilla, gli portò due figliastri: Tiberio e Druso maggiore, nati dal primo matrimonio con Tiberio Claudio Nerone.
Augusto cercò di designare come successore uno dei suoi parenti più stretti, seguendo una politica dinastica che si basava sull’adozione e sul matrimonio. In un primo tempo, Augusto pensò di designare come successore Agrippa, suo fedele collaboratore e generale vittorioso. Fece sposare Agrippa con la figlia Giulia maggiore nel 21 a.C., dopo averla fatta divorziare dal secondo marito Marco Vipsanio Agrippa. Da questo matrimonio nacquero cinque figli: Gaio Cesare, Lucio Cesare, Agrippina maggiore, Agrippa Postumo e Giulia minore. Augusto adottò i due figli maschi maggiori, Gaio e Lucio Cesare, nel 17 a.C., conferendo loro il titolo di principi della gioventù e il diritto di succedergli. Tuttavia, Agrippa morì nel 12 a.C., e i due figli adottivi morirono prematuramente: Lucio nel 2 d.C. e Gaio nel 4 d.C.
In un secondo tempo, Augusto pensò di designare come successore Tiberio, il figlio maggiore di Livia. Fece sposare Tiberio con la figliastra Giulia minore nel 11 a.C., dopo averlo fatto divorziare dalla prima moglie Vipsania Agrippina (figlia di Agrippa). Da questo matrimonio non nacquero figli. Augusto adottò Tiberio nel 4 d.C., a condizione che questi adottasse a sua volta il fratello minore di Gaio e Lucio Cesare: Agrippa Postumo. Tuttavia, Agrippa Postumo morì nel 12 a.C., e i due figli adottivi morirono prematuramente: Lucio nel 2 d.C. e Gaio nel 4 d.C.
In un terzo tempo, Augusto pensò di designare come successore Germanico, il nipote di Tiberio e figlio di Druso maggiore e Antonia minore (figlia di Marco Antonio e Ottavia minore). Germanico era un generale valoroso e popolare, che aveva combattuto in Germania e in Oriente. Augusto lo fece adottare da Tiberio nel 4 d.C., conferendogli il titolo di cesare e il diritto di succedergli. Tuttavia, Germanico morì nel 19 d.C., forse avvelenato dal governatore della Siria Gneo Calpurnio Pisone.
Il problema della successione di Augusto fu uno dei più difficili da risolvere per il primo imperatore romano. Nonostante i suoi sforzi per creare una dinastia stabile e legittima, Augusto dovette affrontare la morte prematura o l’esilio dei suoi possibili eredi. Alla fine, fu Tiberio a succedergli nel 14 d.C., ma senza avere la stessa autorità e prestigio del suo predecessore.
La morte di Augusto
Augusto morì a Nola il 19 agosto del 14 d.C., verso le nove di sera, a quasi settantasei anni. Era andato a visitare il mausoleo del padre adottivo Gaio Giulio Cesare e poi si era recato nella villa di suo padre biologico Gaio Ottavio, dove si ammalò improvvisamente. Secondo Svetonio, le sue ultime parole furono: “Se la recita vi è piaciuta, allora applaudite”.
Augusto fu sepolto nel mausoleo che aveva fatto costruire per sé e per la sua famiglia sul Campo Marzio a Roma. Il Senato lo deificò e gli dedicò un tempio sul Palatino.
Il suo testamento nominava come suo erede universale Tiberio, che aveva adottato nel 4 d.C., e come eredi secondari i figli di Germanico: Nerone Cesare e Druso Cesare. Augusto lasciò anche una somma di denaro al popolo romano, ai soldati e ai pretoriani, e una raccolta di scritti in cui riassumeva le sue opere e i suoi meriti.
Augusto fu il primo e il più grande imperatore romano. Con le sue riforme politiche, amministrative, militari, religiose e culturali, trasformò la repubblica romana in un impero stabile e prospero. Con la sua politica estera, consolidò e ampliò i confini dell’impero, garantendo una lunga pace interna e esterna.
Con il suo mecenatismo, favorì lo sviluppo delle arti e delle lettere, inaugurando l’età d’oro della cultura latina. Con il suo carisma e la sua autorità, si guadagnò il rispetto e l’ammirazione dei suoi contemporanei e dei posteri.
Bibliografia
Per approfondire l’articolo, si possono consultare le seguenti fonti:
- Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, traduzione di Domenico Musti, Milano, Mondadori, 1997.
- Tacito, Annales, I-VI, traduzione di Giuseppe Cazzaniga, Torino, Einaudi, 1978.
- Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XLV-LVI, traduzione di Giuseppe Stocchi e Giuseppe Ricciotti, Roma-Bari, Laterza, 1975-1976.
- Ronald Syme, La rivoluzione romana, traduzione di Maria Grazia Ciani e Maria Teresa Schettino, Torino, Einaudi, 1993.
- Werner Eck, Augusto e il suo tempo, traduzione di Anna Maria Biraschi e Giuseppe Zecchini, Bologna, Il Mulino, 2000.