Massenzio è un nome meno conosciuto rispetto al suo grande avversario, Costantino, l’imperatore che traghetterà l’Europa verso il cristianesimo e che fonderà Costantinopoli, sul Bosforo, decretando in un certo senso il declino di Roma.
Ma se “Marco Aurelio Valerio Massenzio” avesse vinto, l’Urbe sarebbe rimasta il centro nevralgico dell’impero? e il cristianesimo? sarebbe stato sradicato?
In parte sì, in parte no.
Il periodo tardo imperiale venne dominato dal meccanismo della tetrarchia: due imperatori, un Augusto d’Occidente e un Augusto d’Oriente, nominavano due successori, il Cesare d’Occidente e il Cesare d’Oriente, che avrebbero dovuto prendere nel tempo il loro posto, in un meccanismo che si sarebbe rinnovato, potenzialmente, all’infinito.
Massenzio, a poca distanza dall’invenzione della Tetrarchia da parte di Diocleziano, rimase fuori dalla successione, nonostante fosse figlio dell’Augusto d’occidente Massimiano, e avesse sposato Massimilla, la figlia del nuovo Augusto d’Oriente, Galerio.
Il motivo dell’esclusione di Massenzio dai giochi di potere imperiali potrebbe risiedere nella sua politica di apertura nei confronti del Cristianesimo, che sarebbe stata particolarmente invisa a Galerio, il quale avrebbe fatto pressioni per scegliere altri candidati, come Severo in Occidente e Massimino in Oriente, più in linea con le sue idee, nonchè più controllabili.
Eppure Massenzio ottenne un grandissimo consenso proprio nella città di Roma e in Italia, raccogliendo l’appoggio del Senato e dei pretoriani, che vedevano diminuire di giorno in giorno il loro potere. Anche la popolazione lo amava, dal momento che, avendo ereditato dal padre il controllo dell’Africa del nord, era in grado di garantire continui approvvigionamenti ai romani, in un periodo di forte incertezza.
La lotta di Massenzio per il potere fu all’ultimo sangue, nonostante vi siano stati da parte sua tentativi di accordo sia con Galerio che con il suo più grande avversario, Costantino, figlio di Costanzo.
La storia ha poi deciso: Costantino, a capo di quarantamila legionari Celti, Germani e Britanni, scese in Italia, vincendo l’esercito fedele a Massenzio prima a Torino e poi a Verona, accampandosi a poca distanza da Roma, pronto ad assediare e a mettere definitivamente fuori gioco il suo avversario.
Massenzio dovette compiere una scelta: asserragliarsi nella capitale vincendo il nemico per sfinimento o affrontare Costantino in una battaglia campale. I sacerdoti, incaricati di consultare un antichissimo oracolo, i Libri Sibillini, riferirono la frase: “Oggi morirà un nemico dei romani“.
Interpretandola come un segno degli Dei, Massenzio decise di combattere. E nella battaglia di Ponte Milvio il suo esercito venne sbaragliato e lui stesso, nel tentativo di risalire il fiume Tevere, cadde disarcionato dal suo cavallo, affogando per il peso della sua armatura.
Gli appassionati di storia romana vedono in Massenzio un grande sconfitto, ma allo stesso tempo uno degli ultimi imperatori che avrebbero considerato Roma il centro dell’impero, a differenza di Diocleziano, che aveva già stabilito altre quattro capitali, e di Costantino, che con la fondazione di Costantinopoli ad Oriente condannò sostanzialmente Roma ad un progressivo oblio.
Quale sarebbe stato dunque il governo di Massenzio? È vero, e ce lo confermano diverse fonti, che Massenzio avrebbe mantenuto Roma come centro politico ed economico. Probabilmente, con lui, lo storico baricentro dell’impero, il Mediterraneo Occidentale e soprattutto l’asse Italia-Africa, sarebbe rimasto intatto.
L’impero sarebbe quasi certamente rimasto quello che tutti conosciamo, senza quella decentralizzazione verso i confini settentrionali e l’oriente.
Certo, c’è da chiedersi la bontà di una tale scelta: al netto dei sentimenti degli appassionati di storia romana, che mai avrebbero voluto vedere tramontare il primato di Roma, gli imperatori precedenti, Diocleziano in primis, avevano creato nuove capitali soprattutto per implacabili esigenze difensive e in virtù di dinamiche che, palesemente, non potevano più essere controllate dal centro Italia.
Se durante la seconda guerra punica, quando l’avversario era Cartagine, la centralità geografica di Roma nel Mediterraneo aveva costituito un vantaggio insuperabile, ora che i pericoli provenivano da settentrione, appare dolorosa, ma ragionevole, la creazione di nuove capitali in zone strategicamente più importanti.
Tuttavia, vi è anche da considerare che Massenzio, proprio puntando sull’Africa come principale rifornimento di cibo per l’Italia riuscì a resistere per ben sei anni, contro tutti. Forse, se al posto di una guerra fratricida e civile tra contendenti al trono, gli imperatori fossero rimasti uniti mantenendo l’Italia e l’Africa come fulcro dell’impero, la storia avrebbe preso una piega diversa.
In effetti, gli ultimi colpi di grazia alla centralità di Roma derivarono proprio dall’invasione, ad esempio da parte dei Vandali, del nord Africa. In questo senso, il tentativo di imperatori come Maggioriano di riconquistare esattamente quel territorio, ci fa capire quanto la ricostituzione dell’alleanza tra Italia e Nord Africa avesse il potenziale per resistere al disfacimento dell’impero.
Potrebbe prendere in contropiede, invece, la concezione che Massenzio aveva del Cristianesimo. Secondo la maggior parte degli appassionati, Costantino fu il grande imperatore “opportunista“, sfruttatore del cristianesimo per biechi fini politici, colpevole dell’indebolimento di Roma e del tradimento della sua intrinseca natura. Massenzio, invece, sarebbe stato il grande protettore del paganesimo e delle antiche tradizioni, l’ultimo strenuo difensore della “vera Roma.”
In realtà, recenti ricerche e scoperte, come quelle di Marco Cecini presso la biblioteca Marciana di Venezia, ci restituiscono un’interpretazione più variegata della politica massenziana: certamente Massenzio era pagano, convinto credente dell’antico Pantheon romano. Eppure, emanò un editto di tolleranza, che, andando ad abrogare quello di Diocleziano, palesemente anticristiano, dichiarava il cristianesimo “religio licita”, religione lecita, dimostrando la netta e chiara volontà di fare “pace” con i cristiani.
Stupirà, ma anche Massenzio si era reso perfettamente conto dell’importanza di questo nuovo credo, che non poteva essere ignorato né represso, ma che anzi doveva essere felicemente integrato nei culti dell’impero.
Quindi, più che immaginare Massenzio come un grande persecutore dei Cristiani, come ad esempio Diocleziano o Galerio, è più corretto vedere questa grande figura romana come il fautore di una assimilazione dei Cristiani nell’ambito degli dei classici.
In questo senso, Massenzio dimostra di essere un vero “romano“, aperto e tollerante a condizione che la nuova cultura e il nuovo credo potesse convivere, in un certo senso sottomettersi, alle antiche tradizioni.
In questo caso, sarebbe stato il cristianesimo stesso, soprattutto nella sua fascia più radicale, a ribellarsi ad un tale progetto. Il cristianesimo, monoteista per natura, non avrebbe mai potuto accettare il culto di Cristo abbinato ad altri dei.
Tirando una linea, dobbiamo però aggiornare ciò che riteniamo di sapere su Massenzio, limitandoci ad immaginare gli effetti del suo regno se fosse rimasto unico imperatore, al posto di Costantino.
Certamente, il solo Massenzio non sarebbe bastato ad operare un concreto cambio di passo in un periodo di crisi dell’impero, di affermazione del Cristianesimo e di spostamento del fulcro del potere verso Oriente. Una inversione di tendenza, in altre parole, non sarebbe mai stata possibile con il regno del solo Massenzio, ma, forse, esclusivamente con lo sviluppo di un’intera dinastia di imperatori, impegnati a portare avanti in maniera coerente, e per decenni, la stessa politica.
Senza ciò, Massenzio, seppur da rivalutare, rimane un personaggio controcorrente, come Maggioriano o Giuliano l’apostata, incapaci, da soli, di cambiare il corso di una storia che stava già marcatamente prendendo una piega diversa.