La battaglia di Tripoli fu un assalto alla capitale libica condotto dalle Truppe del Regio Esercito Italiano nell’ottobre del 1911. L’assalto costituì la fase iniziale della guerra italo-turca e vide la vittoria degli italiani, con la presa della capitale Libica. Viene considerato l’inizio della colonizzazione italiana della Libia.
La colonizzazione italiana della Libia e la guerra italo turca
All’inizio del ‘900, l’Italia stava perseguendo una politica coloniale: uno dei primi obiettivi del nostro paese fu la conquista della Libia, che apparteneva all’allora Impero Ottomano.
Il 29 settembre del 1911, l’Italia dichiarò guerra all’impero Ottomano, dando ufficialmente inizio alla guerra italo turca.
Subito dopo aver dichiarato l’inizio del conflitto, l’ammiraglio Luigi Faravelli, al comando di uno squadrone navale, iniziò a pattugliare le coste libiche, specialmente quelle al largo di Tripoli, la capitale della Libia. In quella situazione, giunse dal governo italiano l’ordine di bombardare i forti della città, ma Faravelli decise di non dare immediato seguito a questa disposizione, in quanto questa avrebbe potuto causare delle ritorsioni da parte della popolazione araba locale contro i cittadini europei che vivevano da diversi anni a Tripoli, stimati in circa 2000 persone.
Faravelli, prima di aprire le operazioni belliche, provò ad imbarcare i cittadini stranieri a bordo delle sue navi, ma i paesi neutrali si sentivano protetti dalla autorità politico militare ottomana e decisero di non accogliere l’invito di Faravelli. Solamente i cittadini italiani, tra cui diversi giornalisti, compresi Luigi Barzini e Corrado Zoli, si imbarcarono sulle navi italiane.
Tra il 29 e il 30 settembre, Faravelli diede ordine di lanciare un siluro contro il piroscafo turco “Derna” che, trasportando un carico di armi, aveva tentato di bloccare le navi italiane ed era ormeggiato in porto. Tuttavia, il mare agitato impedì ai siluri di funzionare e questa prima ipotesi venne immediatamente abbandonata.
La presa di Tripoli: l’avvicinamento alla città
Il 2 ottobre del 1911, dal momento che dall’Italia era in arrivo un corpo di spedizione da sbarco, Faravelli si schierò con le sue navi davanti al porto di Tripoli, per impedire l’arrivo di rinforzi e di rifornimenti della Turchia.
Le disposizioni italiane comandavano a Faravelli di chiedere la resa della guarnigione ottomana di Tripoli e, qualora avesse ottenuto un rifiuto, di aprire il fuoco. Faravelli fece notare che le sue truppe non potevano ancora sbarcare, in quanto le navi erano insufficienti, ma da Roma giunse un telegramma perentorio che costrinse Faravelli ad agire immediatamente.
Faravelli decise allora di invitare il colonnello turco Ahmed Bessim Bey a bordo della sua nave ammiraglia, comandandogli di consegnare la città senza opporre resistenza. Bey, dalla sua posizione, rifiutò immediatamente, ma l’ufficiale turco cercò di guadagnare tempo con la scusa di dover contattare Istanbul per chiedere ulteriori istruzioni su una risposta definitiva da fornire all’Italia.
Così colse l’occasione per comandare alle truppe ottomane di Tripoli, circa 2000 uomini, di lasciare la città e di stanziarsi presso Aziziya, a una decina di chilometri dalla capitale libica.
Nel frattempo, la città di Tripoli si preparò alla difesa: nella capitale Libica vi erano due forti principali, Fort Hamidiye ad Est e Fort Sultaniye ad Ovest, oltre ad alcune fortificazioni nell’area del Porto. Ognuna di queste roccaforti era solo parzialmente presidiata, per ordine stesso del colonnello Bey.
La presa di Tripoli: le navi italiane aprono il fuoco
Alle 15:30 del 3 ottobre, lo squadrone italiano aprì il fuoco sui forti. Prima dalla Corazzata “Benedetto Brin”, poi dalla “Emanuele Filiberto” e infine dagli incrociatori corazzati “Giuseppe Garibaldi” e “Carlo Alberto”. Inizialmente le navi erano a 9500 metri dalla costa, per rimanere al di fuori dalla portata dei cannoni dei forti, ma mano mano, avvicinandosi, arrivarono alle 16:15 ad una distanza di 6500 m, cominciando a utilizzare anche i cannoni secondari da 152 mm.
Alle 17:15 le navi avevano cessato il fuoco: tutti i forti ottomani erano stati gravemente danneggiati e i loro cannoni messi fuori uso. Gli edifici civili, invece, non subirono danni significativi. L’unica nave da guerra ottomana, la cannoniera Seyyad, venne affondata dal suo stesso equipaggio, così come il piroscafo Derna, che tuttavia venne recuperato dalla Marina Militare italiana e utilizzato come nave ausiliaria.
Il giorno dopo, il 4 ottobre, l’Italia bombardò ancora ai forti: solamente Fort Sultaniye fu in grado di rispondere al fuoco, ma con efficacia nulla. Una pattuglia italiana inviata a terra scoprì poi che Fort Hamidiye era stato completamente abbandonato e di lì a poco il console tedesco, Adrian Tilger, informò i membri della pattuglia italiana che tutte le truppe ottomane avevano lasciato la città di Tripoli e domandò di occupare la città per prevenire i prevedibili saccheggi.
La presa di Tripoli: lo sbarco e la conquista della città
Il 5 ottobre il comando italiano decise di sbarcare, al comando del capitano Umberto Cagni. Cagni comandava due reggimenti composti da tre battaglioni ciascuno, di cui uno era composto dal personale della divisione “Nave scuola” e l’altro da personale della prima e della seconda divisione navale.
Alle 7:30 del 5 ottobre iniziò lo sbarco: gli uomini della corazzata “Sicilia” furono i primi ad approdare, seguiti da quelli della “Sardegna“, appoggiati da una sezione di artiglieria. Gli italiani non incontrarono resistenza e occuparono facilmente Fort Sultaniye. In seguito, venne fatta convergere dell’ulteriore artiglieria, guidata dagli uomini della nave “Re Umberto” e a mezzogiorno la bandiera italiana venne issata sul forte.
Nel frattempo, un’unità di generi occupo Fort Hamidiye, e alle 16:30 il secondo Reggimento di terra raggiunse il mercato di Tripoli, prendendo il completo controllo della città.
Il Capitano Cagni pensò bene di organizzare immediatamente una linea di difesa per proteggere la zona di sbarco da eventuali rinforzi turchi. Ma dal momento che la forza da sbarco era stata completamente impiegata per occupare la città, le condizioni dell’Esercito Italiano erano critiche e pericolose, in quanto un possibile contrattacco delle forze ottomane, numericamente superiori nella zona, avrebbe potuto facilmente riconquistare Tripoli e sconfiggere le truppe.
Cagni utilizzò allora un trucco per lasciar credere agli ottomani che le sue forze fossero molto più numerose, facendo marciare continuamente le sue truppe da un capo all’altro della città. In questo modo, gli ottomani pensarono di trovarsi di fronte ad un numero di uomini molto superiori, e impiegarono più tempo per organizzare un contrattacco.
Nel frattempo, l’ammiraglio Raffaele Ricci d’Olmo, nominato governatore provvisorio della Tripolitania, contattò i vertici arabi della città offrendo la sua collaborazione, che ottenne senza particolare opposizione. Il sindaco di Tripoli, Hassan Karamanli, nominato dalle autorità ottomane, venne confermato dal comando italiano e anzi gli venne aggiunta la nomina di vicegovernatore della Tripolitania.
Il contrattacco ottomano
Tra il 9 e il 10 ottobre le truppe ottomane, aiutate da forze irregolari libiche, eseguirono il contrattacco, mirando alle postazioni italiane nell’area dei pozzi Bu Meliana, posizionate a sud di Tripoli, che costituivano la principale fonte d’acqua della città.
L’attacco venne efficacemente respinto degli italiani grazie ai colpi delle armi da fuoco e ai cannoni delle navi da guerra ormeggiate nelle strade di Tripoli. Tuttavia, il contrattacco Ottomano convinse i comandi italiani ad accelerare vistosamente il trasporto delle truppe dell’esercito verso Tripoli per rimpinguare le scarse forze che ancora tenevano la città.
Così, l’incrociatore corazzato “Varese” e le navi “America” e “Verona”, in viaggio verso Tripoli, si staccarono dal loro convoglio, perché più veloci del resto delle navi, e si diressero con la massima priorità verso Tripoli. Giunsero a destinazione l’11 ottobre e sbarcarono con l’84mo Reggimento di Fanteria, due battaglioni del 40mo Reggimento Fanteria e un Battaglione dell’11mo Reggimento bersaglieri, per un totale di 4800 uomini.
Il giorno successivo, giunse a Tripoli anche la seconda parte delle forze italiane, tanto che le truppe arrivarono al numero di 35mila soldati, comandati dal Generale Carlo Caneva.
Le forze ottomane, dopo essere state respinte, si ritirarono nel deserto stabilendo delle basi al di fuori della portata dei cannoni italiani e iniziarono il reclutamento di volontari arabi per riconquistare la città. Il tentativo avvenne poche settimane dopo, nella battaglia di Sciara Sciat, ma senza successo.