La battaglia di Apamea. Quando un cavaliere curdo sconfisse un esercito bizantino

La battaglia di Apamea è uno scontro poco conosciuto del 19 luglio 998 d.C che vide fronteggiarsi le forze dell’impero bizantino, guidate dal comandante regionale Damian Dalassenos e poi personalmente l’imperatore bizantino Basilio II e il califfato fatimide. Motivo del contendere, il controllo sulla città di Apamea.

Grande particolarità di questa battaglia è l’iniziale vantaggio bizantino, che venne rapidamente annullato dall’iniziativa personale di un singolo cavaliere fatimide, in grado di uccidere personalmente il generale avversario  e condurre gli arabi alla vittoria.

Gli scontri tra Bizantini e fatimidi in Siria

Nel settembre del 994 d.C, Michael Bourtzes, il governatore bizantino di Antiochia e della Siria settentrionale venne pesantemente sconfitto dal Generale del califfato fatimide Manjutakin, nel corso della battaglia dell’Oronte.

La vittoria di Manjutakin mise gravemente in pericolo sia il dominio bizantino in Siria ma anche un altro stato arabo, l’emirato Hamdamid di Aleppo. Così, per impedire la definitiva compromissione della presenza bizantina nella regione, l’imperatore di Costantinopoli, Basilio II, intervenne personalmente, affrontando Manjutakin e costringendolo a ritirarsi con i suoi esercito presso la città di Damasco.

Basilio II catturò anche una serie di città tra cui Shayzar , Hims e Rafaniya, e costruì la fortezza militare di Antartus, ritirandosi di nuovo a Costantinopoli e nominando nuovo duce di Antiochia Damian Dalassenos.

Dalassenos  si dimostrò militarmente attivo ed aggressivo, utilizzando le sue forze militari per razziare i territori  intorno la città di Tripoli e Arqa,  mentre Manjutakin  cercò di rispondere assediando Aleppo ed Antartus,  ma senza ottenere alcuna vittoria ed anzi vedendosi costretto nuovamente alla ritirata.

L’anno dopo, Dalassenos eseguì altre incursioni contro le città di Tripoli, Rafaniya, Awj e al-Laqbah, catturando infine Manjutakin.  Ma la situazione nella regione era estremamente instabile, tanto che gli abitanti di Tiro, sotto la guida di un marinaio di nome Allaqa,  insorsero contro i fatimidi, che chiesero l’assistenza dei Bizantini, mentre più a sud, in Palestina, i beduini guidati da Mufarrij ibn Daghfal ibn al-Jarrah insorsero  presso la città di Ramlah.

L’assedio di Apamea e la spedizione di soccorso fatimide

Nel 998 d.C, Dalassenos venne a sapere che la città di Apamea era stata quasi distrutta da un catastrofico incendio e che la maggior parte delle provviste per i cittadini erano andate perdute. Decise quindi di marciare verso la città in soccorso. 

Gli abitanti di Aleppo, vedendo la situazione di difficoltà di Apamea, viaggiarono verso la città nel tentativo di conquistarla e vi arrivarono per primi, ma, vedendo l’avvicinamento di Dalassenos, si ritirarono immediatamente, dal momento che quest’ultimo non avrebbe mai potuto permettere che una città vassallo catturasse un altro centro abitato al posto di un diretto rappresentante dell’imperatore bizantino.

Così, gli abitanti di Aleppo, per dimostrare la loro fedeltà i Bizantini, consegnarono le loro provviste agli abitanti di Apamea. 

Il governatore di Apamea, al-Mala’iti,  decise però di chiedere aiuto ai fatimidi.  Così, l’eunuco reggente Barjawan nominò Jaysh ibn Samsama al comando dell’esercito di soccorso, assegnandogli la carica di governatore di Damasco e dandogli autorità su 1000 soldati.

I fatimidi non erano inizialmente pronti per combattere contro i Bizantini, dal momento che dovevano sottomettere la rivolta della città di Tiro e la ribellione di Ibn al-Jarrah.  Così, i Bizantini tentarono di aiutare gli assediati di Tiro inviando una flotta, che fu tuttavia respinta dai fatimidi, che riuscirono a catturare la città entro giugno del 998 d.C. 

Anche la rivolta di Ibn al-Jarrah fu repressa e Jaysh ibn Samsama tornò a Damasco, impiegando 3 giorni per raccogliere le sue forze militari e giungere in soccorso di Apamea.

Una volta nei pressi della città, venne raggiunto da truppe volontari di Tripoli, arrivando a contare nel suo esercito 10 mila uomini e 1000 cavalieri beduini.

Nel frattempo, Dalassenos continuò imperterrito l’assedio di Apamea, tanto che i suoi abitanti erano ormai ridotti alla fame più nera, costretti addirittura a mangiare i cadaveri e persino i cani, le cui carcasse venivano vendute al prezzo di 25 monete d’argento.

La battaglia di Apamea

I due eserciti si incontrarono nella vasta pianura di al-Mudiq, circondata da montagna è situata vicino al lago di Apamea, il 19 luglio del 998 d.C. L’ala sinistra dell’esercito fatimide era comandata da Maysur lo slavo, il governatore di Tripoli, mentre al centro venne posizionata la fanteria Daylamite, assieme ai bagagli dell’intero esercito, sotto il comando di Badr al-Attar, mentre la destra era comandata da Jaysh ibn Samsama e Wahid al-Hilali.

Tutte le fonti antiche, confermano che i Bizantini caricarono con forza l’esercito fatimide e lo costrinsero rapidamente a fuggire, uccidendo 2000 soldati nemici e riuscendo a catturare tutto il convoglio di bagagli. Solo un contingente di 500 guerrieri riuscì a resistere all’assalto, mentre gli uomini di Banu Kilab  abbandonarono il combattimento e saccheggiarono il campo di battaglia.

Ma all’improvviso, un cavaliere curdo, Abu’l-Hajar Ahmad ibn al-Dahhak al-Salil,  cavalcò direttamente all’attacco di Dalassenos, chi si trovava vicino allo stendardo del suo contingente, in cima ad un’altura, accompagnato solamente da due dei suoi figli e da 10 uomini scelti del suo seguito. Ormai convinto che la battaglia fosse definitivamente vinta e che i curdi volessero semplicemente arrendersi, Dalassenos non prese particolari precauzioni. Così, Ibn al-Dahhak  caricò improvvisamente il generale nemico: Dalassenos  cercò di proteggersi con un braccio, ma il cavaliere curdo lanciò rapidissimo una lancia contro di lui. Il generale, troppo sicuro di sé, non indossava alcuna corazza e il colpo lo uccise all’istante.

La morte di Dalassenos provocò un rapido ed inaspettato cambio nelle sorti della battaglia: i fatimidi si fecero gran coraggio e si rivoltarono contro i Bizantini urlando “Il nemico di Dio è morto!”, tanto che l’esercito bizantino cadde rapidamente nel panico ed iniziò a fuggire. Nel frattempo, la guarnigione di Apamea, vedendo il rivolgimento della battaglia in loro favore, si mosse rapidissimo, inseguendo gli ultimi soldati Bizantini.

Le fonti sono discordi sul numero di morti Bizantini: alcuni citano 5000, altri quasi 10 mila. La maggior parte dei Bizantini sopravvissuti venne fatta prigionieri dai fatimidi. Tra questi, alcuni alti ufficiali ma anche i due figli di Dalassenos, Costantino e Teofilatto,  che vennero acquistati per 6000 denari e trascorsero i 10 anni successivi come prigionieri presso la città del Cairo.

Le conseguenze della battaglia di Apamea

La sconfitta dell’esercito bizantino costrinse l’imperatore Basilio II a guidare personalmente una nuova campagna in Siria, già l’anno successivo. Giunto nella regione a metà settembre, l’esercito di Basilio II si occupò innanzitutto di seppellire i caduti sul campo di Apamea dell’anno prima.  L’imperatore bizantino provvide poi a catturare i nemici, saccheggiando le fortezze di Masyaf e Rafaniya, dando alle fiamme Arqa e facendo irruzione nei dintorni di Baalbek, Beirut, Tripoli e Jubayl.

A metà dicembre dello stesso anno, Basilio II ritornò ad Antiochia, dando a Niceforo Urano il titolo di Dux, ma anche di sovrano dell’Oriente, con pluripoteri militari e autorità civile su tutta la frontiera orientale. Nel 1001, Basilio II concluse una tregua di 10 anni con il Califfo fatimide al-Hakim.