Gaio Muzio Scevola e il leggendario sacrificio della mano destra

Gaio Muzio Cordo, noto come Scevola, fu un leggendario personaggio romano, avversario del re Lars Porsenna durante l’assedio di Roma, che con uno straordinario atto di coraggio, bruciò la sua mano destra a dimostrazione della sua determinazione. Il suo gesto, che sconvolse Porsenna, convinse gli etruschi a ritirare l’assedio dalla città, colpiti dalla forza che risiedeva nell’animo dei giovani romani.

Il contesto storico

Roma aveva appena rovesciato la monarchia tramite la cacciata dell’ultimo re, Tarquinio il Superbo. Giunio Bruto e Tarquinio Collatino avevano appena proclamato la Repubblica, una nuova forma di governo che rappresentava in maniera più efficiente e meno dittatoriale i diritti dei cittadini romani. 

Tuttavia, Tarquinio il Superbo, generale e leader di straordinario carisma, non si era dato per vinto e aveva stretto alleanza con gli eserciti delle città etrusche di Tarquinia e di Veio, che vedevano Roma come un pericolo crescente e che furono ben liete di accogliere Tarquinio fra i loro alleati.

Gli eserciti etruschi, guidati dallo stesso Tarquinio, affrontarono i romani nella battaglia della Selva Arsia del 509 a.C, uno dei momenti più cruenti della primissima Repubblica Romana. Lo scontro fu estremamente sanguinoso e incerto per tutta la durata della battaglia. Secondo le fonti antiche, che riportano fatti più leggendari che storici, una misteriosa voce sovrannaturale, durante la notte, avrebbe affermato che i romani “avevano perso un uomo in meno rispetto ai loro avversari etruschi“: così gli dei avrebbero approvato la vittoria dei romani.

Gli eserciti di Tarquinia e di Veio, intimoriti, ritornarono sui loro passi, sconfitti di misura.

L’assedio di Lars Porsenna

Nonostante la vittoria romana, Tarquinio prese contatti con un altro personaggio determinante: si trattava del Re della città etrusca di Chiusi, il lucumone Lars Porsenna, proponendogli di unire le forze per la conquista di Roma. Plinio il Vecchio si riferisce a Porsenna addirittura come “re di tutta l’Etruria”, dimostrando come gli etruschi avessero mobilitato tutte le loro forze per sradicare definitivamente l’influenza dei romani nel Lazio.

Gli eserciti combinati di Lars Porsenna e di Tarquinio il Superbo iniziarono un combattimento sul campo e, subito dopo, un duro assedio presso le porte di Roma. La situazione era grave, in quanto l’esercito romano era in netta difficoltà e la città sul punto di cadere.

In una situazione di pericolo e di angoscia che attanagliava i cittadini romani, un giovane aristocratico, Gaio Muzio Cordo, maturò l’idea di uccidere direttamente Porsenna per costringere il suo esercito a levare l’assedio. Inizialmente, il ragazzo avrebbe voluto agire da solo, di propria iniziativa, ma ritenne che le sentinelle romane avrebbero potuto equivocare i suoi movimenti ed arrestarlo. 

Per questo motivo, chiese ufficialmente al Senato Romano il permesso di compiere un’azione assai coraggiosa: uccidere Porsenna infiltrandosi nell’accampamento nemico. Il Senato diede approvazione al giovane Muzio, il quale, parlando fluentemente etrusco, era particolarmente adatto ad infiltrarsi presso le linee nemiche e raggiungere personalmente Porsenna. 

Il sacrificio di Muzio Scevola

Muzio si avvicinò all’accampamento etrusco senza destare sospetti, fino a quando arrivò di fronte al re. Il problema è che in quel momento il sovrano stava distribuendo la paga ai propri soldati e accanto a lui vi era un altro personaggio con un vestito ed un equipaggiamento molto simile. 

Muzio si trovò subito in difficoltà, non riuscendo ad identificare esattamente la sua vittima. Alla fine, decise di pugnalare uno dei due personaggi che, tuttavia, si rivelò lo scriba di Porsenna, il quale sopravvisse del tutto indenne all’attentato. 

Porsenna fece immediatamente arrestare Muzio e lo sottopose ad uno spietato interrogatorio per capire le sue mosse. Muzio, dimostrando uno straordinario coraggio, rispose con la storica frase “Civis Romanus sum”, rivendicando la sua appartenenza a Roma. Disse chiaramente che aveva intenzione di ucciderlo e assicurò al re etrusco che, dopo di lui, ci sarebbero stati tanti altri giovani romani disposti a tentare l’impresa per eliminarlo.

Porsenna, impaurito e offeso, diede immediatamente ordine di bruciare il giovane Muzio, se non avesse rivelato immediatamente ulteriori dettagli sul complotto in atto contro di lui. Fu esattamente in quel momento, secondo la tradizione romana, che Muzio dimostrò un coraggio sovrannaturale.

Decise infatti di propria iniziativa di appoggiare la sua mano destra su un braciere posizionato lì vicino, dimostrando al sovrano e generale etrusco quanto poco contasse la sua salvezza personale e quale sprezzo del pericolo e del dolore avesse, pur di raggiungere il suo obiettivo. 

Porsenna, completamente sconvolto dal gesto del giovane romano, saltò giù dal suo trono e decise immediatamente di liberarlo, ammirando sinceramente il suo valore. 

Muzio, come ringraziamento, rivelò ulteriori dettagli sul piano contro Porsenna, spiegando che altri 300 giovani aristocratici romani si stavano preparando per compiere un’azione analoga, e assicurandogli che uno di loro ci sarebbe riuscito. 

Il ritiro di Porsenna, il trionfo di Muzio Scevola

Porsenna, sorpreso dalla inverosimile determinazione dei romani, fu costretto a rivedere i suoi piani. Furono soprattutto i suoi consiglieri militari a fargli capire che la situazione si stava aggravando. Il suo ruolo per il destino di tutta l’Etruria era troppo importante e rischiare la vita per una piccola città come Roma avrebbe significato correre un rischio sconsiderato. E gli suggerirono di venire a patti con i romani.

Finalmente, Porsenna e i romani trovarono un accordo. Il re etrusco avrebbe immediatamente levato l’assedio alla città, mentre i romani avrebbero consegnato degli ostaggi a dimostrazione della loro intenzione di non riprendere le ostilità, oltre a riconsegnare alcune terre che erano state precedentemente strappate alla città etrusca di Veio. 

Il futuro di Roma fu salvo. I soldati etruschi, radunatisi presso il colle Gianicolo, si ritirarono ordinatamente e senza provocare ulteriori danni alla città. Da quel momento, Muzio divenne il beniamino di tutti i romani e fu soprannominato “Scevola“, il Mancino, proprio per ricordare il suo incredibile sacrificio della mano destra. Le dita bruciate vennero mostrare orgogliosamente ai cittadini romani, che lo accolsero con un tripudio generale.

A Muzio vennero anche donate delle terre sulla riva destra del Tevere, che presero il nome di “Prata Mucia”. 

La figura di Muzio Scevola rimane quindi come uno dei principali emblemi del coraggio romano in tempo di guerra.