Il Cristianesimo rese davvero l’impero Romano più buono?

Di Arthur Cushman McGiffert, Union theological seminary, New York
Traduzione e adattamento di: Fabio Saverio Gatto

Spesso si presume che il Cristianesimo abbia avuto un’influenza positiva e significativa sull’Impero Romano, dove ebbe origine e divenne religione ufficiale. Ma questa idea è difficile da dimostrare concretamente. Pur riconoscendo il Cristianesimo come un progresso rispetto al paganesimo e la sua vittoria finale come una benedizione, non è semplice individuare come e in che misura abbia giovato al mondo romano.

È facile individuare esempi di vite trasformate e migliorate dalla fede cristiana, ma è ben più complesso dimostrare un miglioramento generale e duraturo della società romana nel suo complesso. Innalzamento del livello di vita, progresso morale, miglioramento dei principi politici, delle istituzioni civili e degli ideali economici: tutto questo è difficile da collegare direttamente all’influenza cristiana.

Non basta dare per scontato che il Cristianesimo, essendo di per sé positivo, lo sia stato anche per l’Impero; è necessario dimostrarlo.

Per farlo, dovremmo idealmente mostrare che l’Impero, dopo secoli di presenza cristiana, fosse in condizioni migliori rispetto a prima della sua comparsa.

Tuttavia, confrontare epoche diverse è complesso e dipende molto dal punto di vista di chi ci ha tramandato le proprie impressioni. Le testimonianze sull’Impero Romano, sia precedenti che successive alla diffusione del Cristianesimo, ci suggeriscono che non ci fu un miglioramento generale e permanente sul piano politico, economico, sociale e morale a partire dal II secolo, ovvero da quando il Cristianesimo iniziò a esercitare una qualche influenza.

L’idea di un Impero in costante declino potrebbe essere un’esagerazione, ma in linea di massima è vera. Le testimonianze di autori cristiani come Crisostomo, Girolamo, Agostino, Orosio e Salviano, pur nella loro enfasi e nel loro zelo, dipingono un quadro di decadenza morale e sociale. Opere come “La città di Dio” di Agostino e “Storia del mondo” di Orosio, così come gli scritti di Salviano, mostrano un consenso generale, tra cristiani e pagani, sulla condizione di decadenza dell’Impero.

Le prove del periodo indicano un mondo politico in preda al caos, un’economia in declino e una situazione sociale e morale tutt’altro che in miglioramento. Pur riconoscendo esempi di virtù domestiche e onore politico, come testimoniano Simmaco, Ausonio e Apollinare Sidonio, la società nel suo complesso non sembrava migliore, se non peggiore, rispetto al passato.

Il monachesimo

Un aspetto in cui è evidente una differenza è la diffusione del monachesimo cristiano, sconosciuto nel primo secolo e ampiamente diffuso nel quinto. Questo è un frutto diretto del Cristianesimo, sebbene il monachesimo fosse presente anche in altre religioni.

Ma è lecito dubitare che la sua crescente diffusione abbia giovato all’Impero. Il monachesimo, pur testimoniando una certa devozione religiosa ed eroismo morale, evidenziava anche una debolezza morale diffusa, una spinta a fuggire dalle responsabilità e dalle opportunità del mondo.

Se da un lato il monachesimo promuoveva l’ideale della purezza personale e della moralità sessuale, dall’altro il suo disprezzo per la vita familiare e per l’impegno sociale poteva essere dannoso. Invece di incanalare l’entusiasmo religioso e morale verso il miglioramento della società, il monachesimo lo indirizzava verso una direzione diversa, riducendo le forze attive nella trasformazione del mondo.

Il rapporto con gli schiavi

Un’altra differenza significativa tra l’Impero Romano precedente e successivo fu la graduale diminuzione del numero di schiavi e della centralità della classe schiavista. Tuttavia, è dubbio che il Cristianesimo abbia avuto un ruolo determinante in questo processo.

L’abolizione della schiavitù viene spesso attribuita alla Chiesa cristiana, ma di fatto essa non fu abolita nel mondo romano. L’istituzione era ancora radicata nell’Impero successivo, seppur con un numero di schiavi inferiore.

Il Cristianesimo, all’epoca dell’Impero Romano, non contestò la schiavitù. I cristiani la accettarono, così come accettarono lo stato, le disuguaglianze sociali e le disparità economiche. Predicarono la fratellanza cristiana, ma non considerarono l’abolizione della schiavitù, così come non pensarono di abolire la proprietà privata.

Si cercò di migliorare le condizioni di vita degli schiavi, sia da parte di pagani che di cristiani, ma nessuno si fece promotore di una lotta contro l’istituzione stessa. Lo Stoicismo predicava la fratellanza umana e l’uguaglianza prima del Cristianesimo, e sotto la sua influenza alcuni pagani liberarono i propri schiavi, così come alcuni cristiani fecero lo stesso sotto l’influenza del principio cristiano.

Con l’aumento dell’idea e della pratica della penitenza, la liberazione degli schiavi divenne un modo per espiare i propri peccati. L’ostilità dei cristiani più ascetici verso il lusso si esprimeva nella denuncia della pratica di possedere un gran numero di schiavi.

Ma la pratica della liberazione degli schiavi non era nuova, e non è certo che fosse più comune nell’Impero cristiano che in quello pagano. In ogni caso, non significava la condanna della schiavitù come istituzione. Anzi, la Chiesa stessa, una volta diventata una corporazione legalizzata, possedeva numerosi schiavi.

L’atteggiamento dei leader della Chiesa, da Paolo in poi, fu tale da confermare la schiavitù. I cristiani non dovevano desiderare un cambiamento della loro condizione terrena, ma accettare la loro sorte, che fossero schiavi o liberi, consapevoli di essere allo stesso tempo liberati del Signore e servi di Cristo.

Ai cristiani non era richiesto un cambiamento della loro condizione terrena, ma la giustizia e la salvezza eterna. La Chiesa predicava la fratellanza di tutti i cristiani, ma ciò non veniva interpretato come abolizione della schiavitù.

La fratellanza cristiana doveva manifestarsi in gentilezza, perdono e carità. I padroni cristiani dovevano trattare i loro schiavi con misericordia, e gli schiavi cristiani dovevano essere fedeli e rispettosi. Ma ciò non implicava un’uguaglianza di condizione. Agostino, nella sua “Città di Dio”, suggerisce che l’ideale cristiano di fratellanza e uguaglianza si realizza in cielo, non sulla terra.

Il vero motivo del declino della schiavitù va ricercato nelle mutate condizioni economiche. La rivoluzione politica che portò all’Impero fu una fase di una più ampia rivoluzione sociale, che vide l’ascesa delle classi commerciali e industriali e la diminuzione dell’importanza della vecchia aristocrazia terriera.

La schiavitù non poteva prosperare in queste nuove condizioni sociali, e il declino dell’istituzione era inevitabile. Inoltre, con la fine delle conquiste di Roma, l’offerta di schiavi diminuì, e con la diminuzione della ricchezza, la capacità di mantenere schiavi in gran numero diminuì, e la loro liberazione divenne una necessità economica. Attribuire al Cristianesimo un ruolo di controllo in questo processo significa fraintendere la situazione.

I combattimenti gladiatori

Un altro cambiamento notevole nella vita dell’Impero successivo è la graduale scomparsa dei combattimenti gladiatori, un tempo parte importante dei divertimenti pubblici. Anche questo cambiamento viene comunemente attribuito all’influenza del Cristianesimo e alla nuova enfasi sul valore della vita umana.

Nel 325 d.C, l’imperatore Costantino emanò un editto che proibiva i combattimenti gladiatori in tempo di pace. Sebbene il governo avesse spesso cercato di regolamentare e limitare questo sport, questo editto rappresentava il primo tentativo di porvi fine. L’idea che Costantino sia stato influenzato dal Cristianesimo è suggerita da Eusebio e comunemente accettata dagli storici.

Tuttavia, è importante notare che i primi Padri della Chiesa non si scagliarono specificamente contro i combattimenti gladiatori, bensì contro gli spettacoli teatrali e pubblici in generale, motivando la loro avversione non tanto con la crudeltà, quanto con la mondanità, la licenziosità e l’idolatria che caratterizzavano tali eventi.

Inoltre, è lecito dubitare che i primi cristiani attribuissero un valore maggiore alla vita umana rispetto ai loro contemporanei pagani. Pur considerando l’omicidio un peccato mortale, la nozione di sacralità e inviolabilità della personalità umana era tanto estranea ai Padri cristiani quanto ai loro contemporanei.

Costantino, d’altra parte, non intraprese azioni simili contro altri sport e spettacoli che i moralisti cristiani criticavano con la stessa energia. È quindi possibile che altre motivazioni, diverse dal Cristianesimo, abbiano influenzato la sua decisione.

Gli spettacoli gladiatori, retaggio di un’epoca in cui Roma disponeva di numerosi prigionieri barbari, potevano essere considerati dannosi sia economicamente che socialmente da un imperatore come Costantino, interessato a ristabilire la pace e a sviluppare le risorse dell’Impero.

È interessante notare che l’editto di Costantino si concentra sui combattimenti gladiatori in tempo di pace. Egli non riuscì a porvi fine completamente, tanto che tali spettacoli continuarono ad essere comuni anche nel IV secolo. Secondo Teodoreto, fu l’imperatore Onorio a sopprimerli definitivamente nel 404.

La carità. Un caposaldo del Cristianesimo

Per quanto riguarda l’influenza del Cristianesimo sulla promozione della carità e sulla creazione di istituzioni di assistenza, è innegabile che i Padri della Chiesa abbiano sottolineato l’importanza della carità come virtù fondamentale, insistendo sull’obbligo dei cristiani di assistere i loro compagni. Con lo sviluppo della teoria e della pratica della penitenza, la carità divenne uno dei principali mezzi per ottenere l’espiazione dei peccati.

Ma è importante riconoscere che il mondo pagano non era estraneo alla filantropia. Molti moralisti pagani promossero principi umanitari, e impulsi umanitari esistevano anche in epoca pagana. Ciò nonostante, è innegabile che il Cristianesimo abbia contribuito a promuovere e incoraggiare la filantropia, specialmente all’interno della comunità cristiana, alleviando sofferenze e difficoltà.

L’amore reciproco e la carità dimostrata dai cristiani attirarono l’attenzione degli osservatori pagani e rappresentarono uno degli aspetti più attraenti del Cristianesimo, soprattutto per le classi più povere, e uno dei mezzi di propaganda più efficaci.

Se da un lato la carità cristiana ha avuto un impatto positivo nell’alleviare la povertà e la sofferenza, dall’altro lato presenta anche aspetti meno positivi. L’idea che la carità vada a beneficio non tanto di chi la riceve, quanto di chi la dona, ha portato a una certa tolleranza della povertà, vista come un’opportunità per i cristiani di guadagnare meriti.

La carità cristiana, inoltre, non era sempre orientata al miglioramento delle condizioni di vita di coloro che aiutava. L’effetto a lungo termine di questo tipo di carità poteva essere disastroso sul piano economico e sociale. La carità, per essere veramente efficace, deve mirare al miglioramento permanente della vita di chi la riceve e alla rimozione delle cause che la rendono necessaria. In caso contrario, rischia di essere controproducente e di demoralizzare economicamente i beneficiari.

È innegabile che la povertà e la sofferenza siano state alleviate su larga scala grazie alla carità cristiana. Tuttavia, non è certo che il mondo romano abbia tratto da ciò un beneficio maggiore del danno.

La condizione femminile

Per quanto riguarda la condizione della donna, spesso si fa riferimento all’influenza positiva del Cristianesimo nell’elevare la sua posizione e nel promuovere la santità della vita domestica. Tuttavia, non ci sono prove di un cambiamento significativo tra i primi e gli ultimi giorni dell’Impero Romano.

Lo status della donna sotto l’Impero, sia all’inizio che alla fine, era migliore rispetto al passato, ma la sua emancipazione era iniziata ben prima dell’era cristiana. L’idea di uguaglianza tra cristiani ebbe probabilmente una certa influenza, ma non maggiore rispetto alla questione della schiavitù.

Inoltre, l’ascetismo che caratterizzava il Cristianesimo dell’epoca ebbe un impatto negativo sulla visione della donna, vista principalmente come una tentazione al peccato. Tale opinione non poteva certo promuovere la sua dignità.

Gli effetti di questo spirito ascetico sulla vita domestica non furono del tutto positivi. Se da un lato la lotta contro i peccati della carne diede buoni risultati, dall’altro l’insistenza sulla castità come virtù suprema portò molti uomini e donne a rifugiarsi in monasteri e conventi, piuttosto che a promuovere la santità della famiglia.

Infine, la Chiesa assunse una posizione rigorosa in materia di divorzio e nuovo matrimonio, non tanto per preservare la santità del vincolo matrimoniale, quanto per ostacolare i secondi matrimoni, considerati quasi come adulterio.

Il Cristianesimo ha migliorato la storia romana?

Se non possiamo riscontrare con certezza un miglioramento generale e marcato nelle condizioni sociali dell’Impero Romano attribuibile al Cristianesimo, possiamo almeno affermare che l’Impero successivo sarebbe stato peggiore senza questa fede? Questa è un’ipotesi comune tra gli storici.

Tale opinione si basa su una concezione della natura e degli scopi del Cristianesimo di quel tempo che può essere verificata. Gli scopi e gli ideali del Cristianesimo, così come esisteva nel mondo romano, giustificano l’ipotesi che esso costituisse una forza sociale di preservazione e conservazione?

Una delle cose più sorprendenti dei primi cristiani è la loro quasi totale mancanza di interessi e ideali sociali. Il Vangelo di Gesù, un tempo eminentemente sociale, nelle mani dei suoi seguaci perse la sua enfasi sociale e divenne individualistico e ultraterreno.

Gesù era interessato a promuovere il Regno di Dio, il regno dello spirito di fratellanza qui e ora. Ma per i suoi discepoli, il Regno era solo una realtà futura. Vivevano interamente nel futuro, sforzandosi solo di preparare gli altri per la consumazione inducendoli al pentimento e all’accettazione di Gesù come Messia.

Nelle mani di Paolo, il Cristianesimo divenne un mezzo di redenzione dal peccato. Tutti gli uomini sono malvagi e condannati alla distruzione. Unendosi a Cristo per fede, vengono trasformati da esseri corrotti in esseri santi, da peccatori a santi, e vengono liberati dalla morte e resi possessori della vita eterna.

Il cristiano è un essere soprannaturale, superiore e separato dalle cose di questo mondo, che aspetta la sua liberazione e il suo godimento della vera vita dello spirito in un’altra sfera. Paolo aveva grandi visioni sulla conversione dell’Impero Romano, ma il mondo era essenzialmente malvagio, e la salvezza consisteva nella fuga da esso.

Paolo fece dell’amore la virtù suprema della vita cristiana, ma non era interessato al miglioramento delle condizioni sociali. L’amore aveva significato per chi amava, non per chi era amato. Il suo valore risiedeva in ciò che esprimeva, non in ciò che produceva.

Nonostante l’enfasi sull’amore, la sottomissione della carne allo spirito era essenziale. La salvezza consisteva nella separazione da questo mondo e nell’astinenza dai suoi piaceri.

Uomini dominati da una tale concezione non potevano impegnarsi nel servizio sociale o nel miglioramento delle condizioni terrene. Un uomo poteva essere un cittadino utile, ma era piuttosto nonostante il suo Cristianesimo che a causa di esso.

Era proprio questa assenza di spirito pubblico, questa indifferenza al presente a causa dell’assorbimento nel futuro, questo disprezzo della terra a causa dell’amore del cielo che costituiva il difetto principale del Cristianesimo agli occhi dei suoi oppositori.

Invece di rendere un uomo un cittadino migliore, il Cristianesimo spesso lo rendeva l’opposto. Che non lo facesse sempre era perché non era sempre preso con sufficiente serietà dai suoi aderenti.

Anche dopo che l’ascetismo si era sviluppato nel monachesimo, non tutti i cristiani erano monaci, ma il monachesimo era riconosciuto come l’espressione completa dell’ideale cristiano prevalente.

Era lo stesso ideale di vita cristiana che trovava espressione nel celibato del clero. Se il clero non poteva vivere separato dal mondo, poteva almeno evitare i piaceri della carne ed esemplificare in un grado più elevato l’ideale cristiano dell’astinenza.

Non essere parte del mondo, ma essere separati da esso: questo significava la santità cristiana; e non servire il mondo, ma salvare dalle sue fatiche quanti più compagni possibili: questo significava l’amore cristiano.

Per lungo tempo, la Chiesa cristiana fu una piccola istituzione, una minoranza in un vasto Impero. Inizialmente, non si poteva certo aspettare che coltivasse grandi ideali per la trasformazione della vita dell’Impero.

Tuttavia, ciò che sorprende è che anche i Padri del IV secolo e successivi, dopo che il Cristianesimo divenne la religione ufficiale, rimasero altrettanto silenziosi riguardo a ideali di riforma sociale ed economica.

Nei loro scritti, vi è una completa assenza di qualsiasi suggerimento di un ideale globale di riforma sociale o economica. La vittoria della Chiesa la trovò impreparata a sfruttare la sua nuova opportunità.

Se, prima di tale opportunità, la Chiesa fosse stata interessata alla trasformazione di questo mondo nel Regno di Dio, avrebbe colto con entusiasmo l’occasione datale da Costantino e dai suoi successori. Ma nessuno dei Padri dell’epoca sembra aver pensato a una trasformazione su vasta scala.

Essi avevano molto interesse per la Chiesa, per la purezza delle sue dottrine, per la severità della sua disciplina, per lo splendore del suo rituale. Ma al mondo stesso prestavano poca attenzione.

Il cambiamento di atteggiamento del governo verso la Chiesa era considerato una benedizione soprattutto perché implicava vantaggi per la Chiesa stessa.

L’opera di Agostino, “La Città di Dio”, è un’illustrazione classica di tale atteggiamento. Non un solo regno, il Regno di Dio, di cui tutti i regni del mondo devono far parte, ma due regni, uno celeste e uno terreno, la “Civitas Dei” e la “Civitas Terrena”, che rappresentano due principi opposti.

Le ragioni del successo cristiano

Data questa visione, ci si potrebbe chiedere: come mai il Cristianesimo si diffuse così rapidamente nel mondo romano, soppiantando il paganesimo?

Le condizioni nei primi tempi dell’Impero Romano erano favorevoli alla diffusione di qualsiasi movimento religioso. Era un tempo di irrequietezza, di curiosità e di avidità per le cose nuove.

Il senso del peccato, il riconoscimento del male del mondo presente, l’anelito alla redenzione, il desiderio di immortalità: tutte queste aspirazioni stavano diventando comuni.

I nuovi bisogni richiedevano soddisfazione, e il risultato fu una grande rinascita della fede e del sentimento religioso.

La facilità di comunicazione all’interno dell’Impero, le grandi strade romane, l’eccellente protezione, la prevalenza di una lingua comune, rendevano facile la crescita di qualsiasi movimento mondiale.

Il Cristianesimo era quindi una delle tante fedi che facevano appello al mondo romano. Ma non è un caso che alla fine sia diventato dominante.

La coscienza di unità tra i suoi aderenti, la sua organizzazione, ebbero molto a che fare con il suo successo. L’autoconsapevolezza e l’esclusività della Chiesa, la convinzione dei cristiani di essere il popolo eletto di Dio, erano impressionanti.

Ecco un movimento che rivendicava tutto e non concedeva nulla. Ciò suscitò ostilità, ma anche devozione fanatica.

Sarebbe un errore immaginare che la diffusione del Cristianesimo nel mondo romano fosse dovuta solo a fattori esterni o casuali. In realtà, il Cristianesimo ottenne la sua vittoria soprattutto perché possedeva molti più elementi di potere e permanenza, combinava una maggiore varietà di caratteristiche attraenti e soddisfaceva una maggiore varietà di bisogni rispetto a qualsiasi altro sistema religioso.

Pur riconoscendo i suoi difetti, dobbiamo ammettere che la sua vittoria nell’Impero Romano fu giustamente guadagnata grazie alla sua superiorità.

Il Cristianesimo faceva appello al mondo antico in molti modi. Ad esempio, esercitava un forte e variegato richiamo religioso. La rivelazione di un solo Dio e della possibilità di comunione con Lui, la promessa di redenzione dal peccato, l’assicurazione di un futuro benedetto in cielo, il fervore spirituale e i riti mistici, ebbero tutti un ruolo importante.

Inoltre, sebbene l’interesse dei primi cristiani per la riforma sociale fosse scarso, il Cristianesimo faceva appello agli istinti sociali di moltitudini, specialmente delle classi inferiori. L’enfasi sul principio della fratellanza cristiana, l’idea che tutti i cristiani fossero membri di un’unica famiglia, la federazione strettamente unita, l’associazione intima all’interno delle chiese locali, la cura comune per i malati, i sofferenti e i poveri, deve essere stato immensamente attraente.

Il Cristianesimo si presentò come una filosofia in grado di rispondere ai grandi interrogativi dell’epoca e di soddisfare i bisogni intellettuali dell’uomo. Tra i suoi punti di forza vi erano:

  • Monoteismo: in un periodo in cui il mondo intellettuale si allontanava dal politeismo tradizionale.
  • Rivelazione divina: una narrazione definita dell’origine e del destino del mondo, basata sulla presunta rivelazione divina.
  • Chiara concezione del ruolo dell’uomo: una precisa definizione del posto dell’uomo nell’universo.
  • Etica basata sulla volontà di Dio: la virtù come compimento della volontà divina.
  • Immortalità e premi/punizioni: la dottrina dell’immortalità dell’anima e delle future ricompense e punizioni.
  • Cristo come figura divina: l’idea di Cristo come essere divino disceso dal cielo, elemento centrale di una complessa cosmologia e di un sistema di redenzione.
  • Scritture sacre: i testi sacri ereditati dalla tradizione ebraica, ricchi di significati allegorici e spunti di riflessione.

Il Cristianesimo si proponeva come frutto non della riflessione umana, ma della rivelazione divina, rivendicando universalità e definitività. In questo modo, ha attratto filosofi di diverse estrazioni e convinzioni, diventando una religione non solo per gli umili, ma anche per i dotti.

A differenza dei suoi principali competitori, il Mitraismo (che si rivolgeva soprattutto agli istinti e ai desideri dell’uomo comune) e il Neoplatonismo (che ha attratto le classi filosofiche dell’Impero), il Cristianesimo ha attratto sia l’uomo comune che i filosofi, presentandosi come una religione con un messaggio pratico per tutti e, allo stesso tempo, come una filosofia in grado di rivaleggiare con i grandi sistemi del passato.

Un movimento, per diffondersi rapidamente e in modo capillare, deve attirare l’uomo comune; per affermarsi in modo stabile e duraturo, deve conquistare le classi pensanti e i leader intellettuali. Il Cristianesimo riuscì in entrambi gli obiettivi, ottenendo un successo negato alle fedi rivali.

In un’epoca di crescente bisogno di riforma morale, il Cristianesimo proclamava un ideale rigoroso, stimolando motivazioni profonde e offriva un nuovo ed efficace potere morale. Si presentò in un momento in cui il mondo era consapevole del proprio bisogno morale e pronto a rispondere a una vigorosa chiamata etica.

L’influenza più grande e benefica del Cristianesimo sulla vita dell’Impero Romano risiede proprio nel suo contributo all’ambito morale. Anche se i Padri della Chiesa non sembrano aver avuto l’ambizione di ricreare l’Impero a immagine di Cristo, e anche se non possiamo affermare che il Cristianesimo abbia innalzato il livello generale di vita nel mondo romano o che abbia promosso in modo significativo la sua trasformazione nel Regno di Dio, possiamo ipotizzare che la vita di molti, anche di coloro che non abbracciarono il monachesimo, ne fu influenzata, e in meglio.

Il Cristianesimo non insegnava ideali morali del tutto nuovi, poiché molte delle virtù considerate importanti dai Padri cristiani erano riconosciute anche da altri maestri morali del tempo. Tuttavia, la differenza tra i cristiani e i loro contemporanei risiedeva in parte nell’enfasi data ad alcune virtù, come la castità, e in parte nel valore personalmente attribuito a virtù gentili, come l’umiltà, la sfiducia in sé stessi, la pazienza nella sofferenza, la tolleranza, il perdono delle offese e l’auto-cancellazione.

L’ideale cristiano di uomo buono si distingueva da quello pagano, e la sua diffusione fu favorita dall’ascesa delle classi inferiori e dal graduale crollo delle vecchie distinzioni sociali.

Tuttavia, l’interpretazione della vita cristiana come primariamente e in modo determinante una vita di servizio sociale, così diffusa oggi, era praticamente sconosciuta tra i cristiani del mondo romano.

Ancora più importanti delle differenze ideali furono il nuovo entusiasmo e i nuovi impulsi morali che il Cristianesimo portò nel mondo romano. La predicazione del sistema cristiano come rivelazione divina, l’enfasi sulle future ricompense e punizioni, l’insistenza sulla virtù come mezzo di salvezza, l’interpretazione di Dio in termini morali, l’appello all’esempio di Cristo e dei santi, l’idea della vita cristiana come implicante doveri e obblighi morali, e l’esortazione ai cristiani ad essere degni della loro chiamata, pur non essendo elementi del tutto nuovi al mondo pagano, nella loro combinazione ebbero un grande impatto sulla promozione di una vita migliore.

Soprattutto, il riconoscimento delle possibilità morali degli umili e la convinzione che ogni uomo può essere, se vuole, un figlio di Dio, ebbero un’enorme influenza nel suscitare entusiasmo morale tra quelle classi a cui i grandi moralisti pagani non si rivolgevano.

La potenza di questi e simili motivi all’interno della stessa Chiesa cristiana è ampiamente testimoniata dagli scritti dei Padri.

Per quanto possa essere difficile dimostrare un grande effetto del Cristianesimo sulla vita dell’Impero nel suo complesso, è certo che esso spinse molte persone a sforzarsi di vivere virtuosamente. È nel suo effetto su tali vite individuali che dobbiamo vedere la reale influenza del Cristianesimo all’interno del mondo romano.

È comprensibile che l’impegno sociale di Gesù non sia stato pienamente raccolto dai suoi primi seguaci. Tuttavia, non dobbiamo giudicarli con troppa severità. Essi hanno svolto un ruolo fondamentale nella sfera morale. Pur con ideali etici che, da una prospettiva moderna, possono apparire imperfetti e persino discutibili, sono riusciti a instillare nella loro epoca e in quelle successive l’importanza della riforma morale, fornendo un rinnovato entusiasmo e una forza morale propulsiva.

Ma forse, più efficaci di tutti gli appelli specifici del primo Cristianesimo (religiosi, sociali, filosofici e morali) fu la devozione personale a Gesù. Moltitudini che comprendevano solo parzialmente i suoi ideali, ma che erano profondamente legate a lui e a quella che credevano essere la sua causa. La convinzione della sua divinità non fece che rafforzare tale devozione, conferendole un carattere particolarmente elevato. Persino il martirio appariva una scelta naturale a molti. Non si trattava di difendere un principio astratto, bensì un leader venerato, che credevano fosse realmente presente con loro.

Come abbiamo visto, la vittoria del Cristianesimo non fu casuale. Esso ha attratto il popolo del mondo romano e conquistò le coscienze e i cuori di moltitudini per diverse ragioni.

L’imperatore Augusto e molti dei suoi successori compresero che l’Impero Romano necessitava di una religione comune per unire i suoi numerosi ed eterogenei elementi. Il culto del “Genio di Roma” e dell’Imperatore, sviluppato nei primi tempi dell’Impero, costituì per lungo tempo un legame religioso, simboleggiando l’unità del mondo romano e alimentandone la lealtà. Tuttavia, si trattava di un’imposizione artificiale, sovrapposta alle fedi esistenti, che promuoveva un’unità piuttosto formale che interiore e sentita.

Il Cristianesimo, invece, offriva un tipo di unità diverso. I cristiani erano legati tra loro da una lealtà appassionata a Cristo, alla Chiesa e ai loro fratelli. Il nuovo movimento conteneva un principio di unità che lo rendeva adatto a svolgere per l’Impero Romano un ruolo che nessun’altra religione dell’epoca avrebbe potuto svolgere. L’azione di Costantino e dei suoi successori fu, in un certo senso, inevitabile. Una volta diventato troppo forte per essere soppresso e abbastanza forte da essere usato dal potere imperiale, il suo destino come religione di stato romano era segnato.

Tuttavia, l’alleanza tra Cristianesimo e Impero fu fragile. Il Cristianesimo era nato come religione individualistica e mal si adattava al ruolo di religione di stato. L’Impero, di fatto, non divenne mai veramente cristiano. Il Cristianesimo, presente fin dalla nascita della nuova civiltà occidentale, esercitò un’influenza maggiore sull’Europa moderna di quanto non avesse fatto sull’Impero Romano. È nel mondo moderno che possiamo osservare la sua influenza su larga scala.

Oggi, in un’epoca in cui la coscienza sociale è fortemente sviluppata, il Vangelo viene interpretato in gran parte in termini sociali, in linea con lo spirito di Gesù. Da questo punto di vista, il Cristianesimo dell’Europa e dell’America presenta ancora delle lacune, eppure la nostra civiltà può essere definita cristiana, non certo in modo completo, ma più di quanto non lo fosse quella del mondo romano.