La Sicilia è stata la prima provincia acquisita dalla Repubblica romana. La dominazione di Roma si diffuse però gradualmente: la parte occidentale passò sotto il controllo romano nel 241 a.C, alla conclusione della prima guerra punica contro Cartagine.
Ma il potente regno di Siracusa, sotto il suo tiranno Gerone II, rimase un alleato di Roma indipendente, almeno fino alla sua sconfitta nel 212, durante la seconda guerra punica.
Una volta passata interamente sotto il dominio romano, la Provincia di Sicilia comprendeva l’isola stessa oltre a Malta e alle isole minori fra cui le Egadi, le isole Lipari, Ustica e Pantelleria.
Durante il periodo repubblicano l’isola era la principale fonte di grano per la città di Roma. Il suo sfruttamento fu pesante, provocando più volte delle sommosse armate note come prima e seconda guerra servile.
Dopo che le guerre civili posero fine alla Repubblica romana, la Sicilia fu temporaneamente controllata da Sesto Pompeo, che si oppose al secondo triumvirato. Passata definitivamente sotto il controllo di Augusto nel 36 a.C venne profondamente riorganizzata.
Per gran parte del periodo Imperiale la Sicilia fu un pacifico territorio di coltivazione: venne raramente menzionata nelle fonti, dal momento che si trattava di una provincia collaborativa e pacifica. Le comunità siciliane vennero organizzate in modo simile ad altre città dell’impero ed erano in gran parte autonome.
Le lingue principali furono il greco e il latino, ma si parlava ancora punico ed ebraico, per via del grande passaggio di uomini da tutte le provenienze.
La Sicilia cadde brevemente sotto il controllo dei Vandali poco prima del crollo dell’Impero romano d’Occidente nel 476, ma fu presto restituita, assieme al resto dell’Italia, al controllo dell’imperatore d’Oriente, cui sarebbe rimasta legata fino al IX secolo d.C
La Sicilia durante la prima guerra punica
Agatocle, il tiranno di Siracusa dal 317 e poi Re di Sicilia dal 307 morì nel 289 a.C. All’interno della città erano presenti dei mercenari di origine Campana, i Mamertini, ai quali fu offerto del denaro per abbandonare Siracusa. Così i Mamertini presero il controllo di Messina, uccidendo gli uomini e riducendo in schiavitù le donne.
Così, il generale siracusano Gerone, che precedentemente aveva ottenuto dei successi militari contro il brigantaggio, iniziò ad avanzare su Messina per liberarla. I cartaginesi, che erano da sempre desiderosi di sfruttare le naturali divisioni tra i popoli siciliani per espandere la loro influenza sull’isola, offrirono il loro aiuto ai Mamertini.
Gerone scelse quindi di ritornare momentaneamente a Siracusa dove assunse il titolo di Re. Nonostante il loro aiuto, i Mamertini tradirono i cartaginesi, espellendo la loro guarnigione e cercando invece l’aiuto dei romani.
A Roma si discusse con fervore sull’opportunità di prestare il proprio aiuto ai Mamertini. Roma era precedentemente intervenuta contro quei Mercenari campani, soprattutto quando questi avevano preso il controllo di Reggio. Inoltre era chiaro che un intervento romano in Sicilia avrebbe portato ad un inevitabile conflitto con Cartagine.
Secondo il racconto di Filino di Agrigento, esisteva persino un trattato tra Roma e Cartagine che definiva con precisione le rispettive sfere di influenza e che assegnava definitivamente la Sicilia ai cartaginesi. Questo trattato non è mai giunto fino a noi, ma lo conosciamo attraverso una citazione di Polibio.
Lo stesso Polibio sostiene che i romani, nonostante non ne avessero alcun diritto, vennero spinti ad intervenire per motivazioni economiche, attirati dalla ricchezza della Sicilia.
Il Senato, infine, decise di aiutare i Mamertini. Sebbene non fosse una formale dichiarazione di guerra contro Cartagine l’evidente presa di posizione portò inevitabilmente allo scoppio della prima guerra punica (264 – 241 a.C).
Per i romani era la prima volta che una campagna militare portava la loro influenza al di fuori della penisola italiana. Gerone, alleato di Cartagine contro i Mamertini, dovette affrontare le legioni guidate dal generale Valerio Messalla. I romani furono in grado di cacciare rapidamente sia i siracusani che i cartaginesi da Messina.
Constatando la forza romana, nel 263 Gerone cambiò schieramento, stipulando un trattato di pace con i romani in cambio del pagamento di 100 Talenti e della promessa che avrebbe sempre mantenuto il suo trono su Siracusa.
Gerone si sarebbe dimostrato un fedelissimo alleato dei romani fino alla sua morte, nel 215 a.C, fornendo grano e armi ai legionari. La collaborazione di Gerone fu essenziale in diverse situazioni ma soprattutto durante la conquista della base cartaginese di Agrigento nel 262 a.C
Alla fine della prima guerra punica, Roma aveva conquistato la maggior parte della Sicilia, ad eccezione di Siracusa, che conservava un’ampia autonomia, sebbene la sua politica fosse influenzata in maniera determinante da Roma. Oltre a Siracusa, al regno di Gerone vennero concessi numerosi centri nella parte orientale tra cui Leontini , Megara , Eloro , Netum e Tauromenium.
Non abbiamo informazioni precise sulle condizioni della Sicilia alla fine della prima guerra punica, ma confrontando una serie di fonti antiche, sappiamo che il territorio aveva subito degli effetti disastrosi.
Sia Roma che Cartagine avevano compiuto diversi atrocità sulla popolazione: 250.000 abitanti di Agrigento erano stati venduti come schiavi e 7 anni dopo i cartaginesi avevano demolito le mura della città e le avevano incendiate. Nel 258 a.C la conquista romana di Camarina portò alla vendita della maggior parte degli abitanti come schiavi e anche 27 mila cittadini di Panormus subirono la stessa sorte.
Nel 253, Selinunte fu rasa al suolo e non venne più abitata fino alla tarda antichità. Lilibeo fu invece costretta a resistere all’assedio dei romani per 10 anni, fino alla sua capitolazione dopo la battaglia delle Isole Egadi.
La Sicilia come provincia romana
La vittoria romana aveva portato la Sicilia sotto il pieno dominio di Roma. Normalmente i territori conquistati dai romani venivano organizzati tramite dei trattati in cui Roma, come potenza egemone, aveva una posizione di dominanza.
Veniva riconosciuta una sostanziale autonomia interna agli alleati, e molto spesso il diritto si regolava secondo le consuetudini locali, ma gli alleati erano tenuti, senza poter rifiutare, a fornire truppe militari quando richiesto. Per quanto riguarda la riscossione dei tributi, questa dipendeva dal comportamento che i singoli centri cittadini avevano mantenuto durante la guerra. Chi aveva collaborato era spesso esente dalle tasse, mentre chi aveva resistito doveva pagare dei regolari tributi.
La Sicilia, probabilmente a causa delle tante etnie che la popolavano e forse anche per recuperare le ingenti spese sostenute durante la guerra, venne regolata in maniera diversa, ma sul metodo di governo abbiamo ancora parecchi dubbi.
Sappiamo che la provincia veniva governata prevalentemente da un pretore, assistito per le questioni finanziarie da due questori, uno con sede a Lilibeo e uno di stanza a Siracusa.
Secondo alcuni studiosi, come Filippo Coarelli, il governo della Sicilia veniva affidato a cittadini privati con potere militare, ovvero ad aristocratici che non avevano un incarico ufficiale e che detenevano il comando militare solamente a titolo personale, inviati annualmente sul posto con competenze amministrative e giudiziarie.
Non riusciamo però a spiegarci la presenza di due questori, quando normalmente ogni provincia ne aveva uno: secondo lo studioso Antonino Pinzone, questa originalità si spiega con il fatto che la Sicilia passò sotto il controllo dei romani in due tempi e dunque le cariche avrebbero seguito questa dinamica.
Successivamente, nel 227 a.C, vennero nominati due nuovi pretori: uno, Gaio Flaminio, venne inviato in Sicilia mentre l’altro, Valerio levino, alla nuova provincia di Corsica e Sardegna. Sappiamo inoltre che nel 227 a.C venne Imposto un tributo annuale di grano a tutte le comunità siciliane, attraverso una apposita legge.
A quel tempo il tributo consisteva in un decimo del raccolto ed è possibile che questo sistema derivi dal metodo applicato nel regno siracusano. Sembra che questa legge non abbia avuto degli effetti eccessivamente gravosi per la città né per i piccoli proprietari italici residenti nell’isola.
La Sicilia durante la seconda guerra punica
La seconda guerra punica, che durò dal 212 al 202 a.C, fu iniziata dal cartaginesi Annibale: il generale punico, consapevole dell’importanza degli alleati per Roma, decise di attaccare i romani sul proprio territorio, passando attraverso la Gallia, valicando le Alpi e scendendo direttamente in Italia. Il suo obiettivo era quello di liberare i soci dal governo di Roma e farli passare dalla propria parte.
Annibale inflisse ai romani una serie di devastanti sconfitte, dalla battaglia del Ticino, alla Battaglia della Trebbia, alla sconfitta del Lago Trasimeno fino alla devastante battaglia di Canne del 216 a.C.
L’anno dopo, morì Gerone II, lo storico alleato di Roma. Il suo successore fu il quindicenne nipote Geronimo, che decise di passare dalla parte cartaginese. All’interno della città di Siracusa si scatenò così il conflitto tra la fazione degli aristocratici filoromani e la fazione più democratica e filo cartaginese.
Annibale, approfittando delle divisioni all’interno della città, aveva inviato due fratelli di stirpe siracusana, Ippocrate ed Epicide, per far insorgere il popolo contro i romani.
I romani, immaginando l’intervento di Annibale e constatando il voltafaccia di Geronimo, inviarono delle truppe alle porte di Siracusa. Lo stesso fecero anche i cartaginesi, che contesero ai romani il controllo dell’isola.
Si scatenò una serie di guerre, ma la conquista di Siracusa nel 212 a.C da parte delle forze romane del Console Marcello fu un momento decisivo per le sorti di tutta la seconda guerra punica. La conquista di Siracusa fu difficilissima: la città era difesa in maniera mirabile, con delle possenti mura a strapiombo sul mare e ben difesa dalle mirabolanti macchine ideate dal più grande genio dell’antichità, Archimede, che aveva costruito delle fortificazioni quasi avveniristiche.
Dopo aver espugnato Siracusa, Marcello inviò a Roma una grandissima quantità di bottino, comprese alcune opere prelevate direttamente dai templi e dagli edifici pubblici. Secondo Tito Livio, fu proprio l’arrivo di questo meraviglioso bottino a suscitare per la prima volta l’ammirazione dei romani nei confronti dell’arte greca e siracusana.
I romani ritennero però di sostituire Marcello, che era eccessivamente odiato dai siracusani, con il più neutrale generale Valerio Levino. In seguito a questi eventi, Siracusa fu incorporata all’interno della Provincia di Sicilia, divenendo la sua capitale e sede del suo governatore.
In questa fase, tutta la Sicilia era in mano romana, ad eccezione di Agrigento, che resistette fino al 210 a.C, quando venne tradita da alcuni mercenari ed ammutinati.
Nell’estate di quello stesso anno si tennero delle assemblee legislative a Roma per eleggere i nuovi Consoli. Il compito di organizzare le elezioni doveva spettare a Marcello, in qualità di console anziano, ma egli, che era impegnato sul campo di battaglia contro Annibale, inviò una lettera al Senato dichiarando che sarebbe stato troppo pericoloso per la Repubblica perdere tempo nelle elezioni e lasciare Annibale sul territorio Italico.
Quando il Senato ricevette la richiesta di Marcello, si aprì una discussione per capire se fosse meglio richiamare Il Console dalla campagna militare o annullare le elezioni del 209 a.C.
Alla fine, il Senato decise di lasciare il comando militare a Marcello e di richiamare piuttosto Valerio Levino dalla Sicilia: Levino affidò il controllo della provincia e il comando dell’esercito al pretore Lucio Alimento, quindi inviò il comandante della flotta, Valerio Messalla, in Africa per indagare su presunti preparativi da parte dei cartaginesi per razziare il territorio siciliano.
Tornato a Roma, Levino informò il Senato che nell’isola non vi erano più soldati cartaginesi e che i lavori nei campi erano ripresi regolarmente.
Il resoconto era probabilmente esagerato, in quanto l’agricoltura siciliana era stata pesantemente piegata dalla guerra e le condizioni dei contadini erano molto peggiori di quanto si raccontasse in Senato.
Comunque, alla fine della seconda guerra punica, l’indipendenza della Sicilia terminò definitivamente e la maggior parte delle produzioni e delle attività commerciali furono dirottate verso l’Italia. Per mantenere la pace sociale, tuttavia, nel 210 a.C il Senato decise di restituire autonomia a Siracusa, che conservava il potere su un vasto entroterra.
La provincia di Sicilia durante la tarda Repubblica
Nella tarda Repubblica, la Sicilia era una delle province romane più prospere e pacifiche, sebbene sia stata turbata da due gravi ribellioni. La prima è conosciuta come “Prima guerra servile ” (138-132 a.C) e fu guidata dal Re Antioco Eunus, che stabilì la sua capitale ad Enna e conquistò anche Tauromenium. Eunus sconfisse più volte l’esercito romano, ma nel 133 fu sopraffatto dal console Publio Rutilio presso Messina. La guerra terminò con la ripresa da parte dei romani delle città perdute: in quella occasione 20.000 schiavi ribelli furono crocifissi.
La seconda guerra servile (104-101) fu invece guidata da Athenio e si verificò nella parte occidentale dell’isola. Questa seconda rivolta fu soppressa da Manio Aquilio.
Entrambe le guerre sono descritte nei particolari da Diodoro Siculo, che ci fa capire perfettamente come un enorme numero di schiavi provenienti da tutte le parti del Mediterraneo convergessero in Sicilia, circa 200 mila all’anno, con significative implicazioni economiche e sociali per tutta l’isola.
Alla fine della guerra civile tra Mario e Silla, nel 82 a.C, il giovane generale Pompeo fu inviato in Sicilia direttamente dal dittatore per recuperare il controllo sull’Isola, liberarla dai sostenitori dell’avversario politico Caio Mario e garantire la fornitura di grano per la città di Roma.
Pompeo sconfisse efficacemente tutti gli avversari politici: si narra anche di un episodio durante il quale gli ambasciatori di alcune città siciliane si recarono da Pompeo per lamentarsi delle dure condizioni imposte all’isola. Secondo Plutarco, Pompeo rispose: “Perché continui a lodare le leggi davanti a me quando indosso una spada?”
Pompeo scacciò tutti i suoi nemici dalla Sicilia, mettendo addirittura a morte il Console Papirio Carbone.
Dal 73 al 71 a.C, il pretore della provincia fu Gaio Verre, che fu denunciato dai siciliani per estorsioni, furti e rapine aggravate e fu perseguitato a Roma da Cicerone, che scrisse dei famosissimi discorsi contro di lui conosciuti come “Verrine”.
In questi discorsi troviamo le principali accuse al governo di Verre: Cicerone sottolineava l’applicazione molto dura della tassa sul grano, che venne Imposta per suo profitto personale piuttosto che per quello della Repubblica, oltre al furto di opere d’arte, compresi oggetti sacri. Verre credeva che i suoi potenti amici aristocratici e la corruzione dei giudici potessero garantirgli l’assoluzione, ma dopo il primo discorso di Cicerone, estremamente convincente, preferì fuggire in esilio.
Nel 70 a.C Il pretore Cecilio Metello affrontò con successo i pirati che infestavano i mari intorno alla Sicilia e alla Campania e che avevano saccheggiato Gaeta e Ostia. Nella guerra contro i pirati, il mare intorno alla Sicilia fu assegnato al comando dell’ammiraglio Plozio Varo.
La Sicilia durante la caduta della Repubblica romana
Dopo Verre, la Sicilia si riprese rapidamente, anche se le popolazioni non vennero mai risarcite per le rapine dell’ex pretore.
Durante la guerra civile tra Giulio Cesare e Pompeo, Cesare si rese conto dell’importanza strategica della Sicilia: l’isola poteva Infatti essere utilizzata come base per attaccare le coste del Nord Africa o, al contrario, per difendersi da un attacco da esse. Per questo, dopo aver attraversato il Rubicone, inviò il suo generale Asinio Pollione per prendere il controllo dell’isola e rimuovere il governatore Catone.
I cesariani furono quindi in grado di imbarcarsi dal porto di Lilibeo per attaccare i sostenitori di Pompeo nel nord Africa.
La situazione cambiò con la morte di Cesare nel 44 a.C. Nel 42 Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno, fu nominato comandante della flotta romana radunata a Messalia dal Senato. Sesto entrò in conflitto con il secondo triumvirato, composto da Ottaviano, Marco Antonio e Lepido: Sesto venne quindi condannato per aver compiuto atti di pirateria contro le coste del Sud Italia.
Sesto operò allora una serie di attacchi e di razzie contro le città di Mylae, Tindari e Messana, prendendo il controllo della Sicilia.
Ottaviano, che aveva la responsabilità dell’Italia, cercò di neutralizzarlo inviando il suo generale Salvidieno Rufo che venne sconfitto in una battaglia navale al largo di Reggio Calabria nel 40 a.C. Sesto Pompeo riuscì quindi ad impedire la fornitura di grano a Roma dalla Sicilia mettendo Ottaviano in seria difficoltà.
Nel 39 a.C, il secondo triumvirato fu costretto a scendere a patti con Sesto Pompeo nel cosiddetto “Patto di Miseno” che riconosceva a Sesto Pompeo il controllo della Sicilia, della Sardegna e della Corsica e concedeva la libertà agli schiavi in sua custodia. In cambio, Sesto avrebbe dovuto interrompere il blocco dei rifornimenti verso Roma e non raccogliere ulteriori schiavi alle sue dipendenze.
L’accordo non durò a lungo: i triumviri dovettero ben presto intervenire militarmente in Sicilia. Il conflitto coinvolse complessivamente quasi 200 mila uomini e 1000 navi da guerra, provocando grandi devastazioni in tutta l’isola. Il territorio di Tindari e di Messina venne più volte danneggiato.
Un nuovo tentativo di sconfiggere Sesto Pompeo, guidato direttamente da Ottaviano, si risolse nella sconfitta di Messina del 37 a.C e di nuovo nell’agosto dell’anno successivo.
Ottaviano era quasi disperato, e per questo motivo richiamò il suo amico personale e generale Vipsanio Agrippa, in quel momento impegnato nelle Gallie, per affrontare Sesto Pompeo.
Agrippa, generale e ammiraglio dotato di grande carisma ed eccellenti qualità militari, fece utilizzo di navi piccole e rapide note come liburne, infliggendo una pesantissima sconfitta a Sesto Pompeo nella battaglia di Nauloco, nel settembre del 36 a.C.
Ottaviano fu in grado così di imporre alla Sicilia una pesante sanzione di 1600 talenti, oltre a gravi punizioni nei confronti delle città che avevano collaborato con Sesto Pompeo.
30.000 schiavi al servizio di Sesto vennero catturati: la maggior parte di loro venne restituita ai loro padroni ma circa 6 mila, che non avevano alcun padrone, vennero impalati.
Dopo la battaglia di Azio del 31 a.C, quando Ottaviano e Agrippa furono in grado di sconfiggere Marco Antonio e Cleopatra, la Sicilia passò sotto il potere esclusivo della repubblica romana e sotto la diretta responsabilità di Augusto.
Alla fine del conflitto tra i triumviri e Sesto Pompeo la Sicilia era completamente devastata: città e campagne erano state gravemente danneggiate dalla guerra e molte terre erano rimaste incolte perché i proprietari erano morti o fuggiti.
Una parte della Sicilia rimase di proprietà Imperiale, mentre vaste aree, probabilmente la Piana di Catania, vennero assegnate a Vipsanio Agrippa.
Alla morte di quest’ultimo, anche queste terre divennero proprietà di Augusto.
La riorganizzazione della Sicilia di Augusto
Augusto eseguì una riorganizzazione amministrativa dell’intero impero e in particolare della provincia di Sicilia. Vennero fondate alcune colonie di veterani, anche se non conosciamo l’esatta cronologia di questo fenomeno.
Augusto visitò personalmente la Sicilia nel 22 o nel 21 a.C ed eseguì poco dopo delle altre riforme che incidevano sul territorio: vennero istituite sei nuove colonie: Siracusa, Tauromenium, Panormus, Catania, Tyndaris e Thermae Himerenses.
L’afflusso di nuovi veterani italici compensò il crollo demografico derivante dalla guerra contro Sesto Pompeo. Non è chiaro che fine abbiano fatto gli insediamenti Greci preesistenti, ma certamente l’arrivo di nuovi veterani italici svolse un ruolo decisivo nella diffusione della lingua latina in Sicilia e nella generale ripresa delle condizioni socio-economiche.
Messina, Lipara e Agrigento vennero trasformate in municipia, uno status significativamente inferiore rispetto a quello di Colonia. Centuripa, Notum e Segesta vennero convertite in città “latine” mentre i restanti insediamenti conservarono lo stesso status che detenevano sin dal terzo secolo a.C, ovvero quello di comunità straniere sotto il dominio di Roma.
E’ ragionevole presumere che tutte le colonie siciliane fossero tenute al pagamento del tributo: la classica decima del grano venne però sostituita dallo “Stipendium”, una tassa sulla proprietà: è possibile che Augusto abbia introdotto questa nuova forma di tassazione a seguito della conquista definitiva dell’Egitto, che divenne la nuova fonte di approvvigionamento di grano.
La Sicilia come provincia Imperiale
Abbiamo poca documentazione sulla storia siciliana tra il regno di Augusto e Diocleziano. Nel 68 d.C sappiamo che vi furono disordini sull’isola, probabilmente dovuti alla rivolta di Lucio Clodio Macer in Nordafrica. Sappiamo che l’imperatore Vespasiano stabilì veterani e liberti a Panormos e Segesta.
In questo periodo la struttura economica della Sicilia si basava sul latifondi, grandi tenute private specializzate nell’agricoltura destinata all’esportazione prevalentemente di grano, olio di oliva e vino.
Durante i primi due secoli d.C, la Sicilia subì tuttavia una forte depressione economica e un decadimento della vita urbana: le campagne divennero deserte e i ricchi proprietari spostarono altrove le loro abitazioni, come testimoniato anche da ritrovamenti archeologici. Inoltre, il governo Romano trascurò sensibilmente il benessere del territorio, che divenne in poco tempo luogo di esilio e di rifugio per schiavi e briganti.
Secondo l’Historia Augusta, un testo del IV secolo d.C abbastanza inaffidabile, vi fu una rivolta di schiavi in Sicilia sotto il regno dell’imperatore Gallieno (253-268).
La Sicilia conobbe però, di lì a poco, un nuovo periodo di splendore.
Nuovi insediamenti commerciali e villaggi agricoli raggiunsero rapidamente l’apice dell’attività e dell’espansione. Le ragioni sembrano essere molteplici: innanzitutto vennero ampliati o rinnovati i collegamenti commerciali con il Nord Africa per le forniture di grano all’Italia.
Inoltre, la produzione dell’Egitto, che fino ad allora aveva soddisfatto i bisogni di Roma più della Sicilia, venne dirottata verso la nuova capitale di Costantinopoli nel 330 d.C. La Sicilia riacquistò così il ruolo centrale per le rotte commerciali tra i due continenti e per la fornitura di cibo per l’Italia.
Inoltre, senatori ed appartenenti al rango equestre iniziarono ad abbandonare la vita urbana per sfuggire alle tasse sempre crescenti, ritirandosi nelle loro tenute in campagna. Le loro terre non erano più coltivate dagli schiavi ma da coloni: si trattava di persone che avevano l’usufrutto del terreno in cambio di alcune prestazioni da eseguire direttamente al proprietario.
Nel IV secolo, la Sicilia non fu solamente il granaio di Roma, ma divenne anche la residenza preferita dalle famiglie dell’alta aristocrazia Romana: numerosi i resti archeologici che lo confermano come la Villa Romana del Casale, La Villa Romana del Tellaro e la villa romana di Patti.
La Sicilia alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente
Il quinto secolo d.C, con le sue migrazioni e invasioni di massa, fu un periodo di grave crisi per tutto l’impero romano. Nel 410 d.C, i Visigoti di Alarico saccheggiarono Roma. Nel 476 il generale Odoacre depose l’ultimo imperatore d’Occidente, Romolo Augustolo.
In un periodo tanto turbolento, la relativa tranquillità della Sicilia attirò molte personalità. Diverse famiglie senatoriali acquistarono possedimenti di terra fertile e vi si trasferirono con le loro ville e residenze. Tanti funzionari, sia cristiani che pagani, si recavano in Sicilia per dedicarsi allo studio, alla caccia e al divertimento.
Sappiamo che Flaviano il Giovane ebbe una tenuta nei pressi di Enna, dove produsse un’edizione riveduta e corretta dei primi 10 libri di storia romana redatti da Tito Livio ai tempi di Augusto.
Alarico tentò di attaccare la Sicilia e si spinse fino alla città di Reggio, ma la sua flotta venne distrutta da una tempesta nello Stretto di Messina e il Re abbandonò il progetto.
Genserico, Re dei Vandali, occupò la Provincia d’Africa nel 430 ed iniziò a praticare la pirateria, razziando le coste siciliane. Poi, dopo aver sequestrato parte della flotta romana d’occidente, approdò a Cartagine, che conquistò nell’ottobre del 430.
Da lì i Vandali organizzarono attacchi in tutto il Mediterraneo, soprattutto in Sicilia e in Sardegna ma anche in Corsica e nelle isole Baleari.
Nel 441, poiché la flotta romana d’occidente si era dimostrata incapace di sconfiggere i vandali, Teodosio II inviò una spedizione del tutto inconcludente e fu costretto a richiamare i suoi uomini a causa di nuovi attacchi sul fronte settentrionale ed orientale da parte rispettivamente dei Persiani e degli Unni.
L’impero romano d’Occidente continuò a difendere strenuamente la Sicilia grazie all’intervento del generale Ricimero. Un panegirico del 468 d.C, redatto da Sidonio Apollinare, testimonia che persino in questo periodo la Sicilia veniva ancora considerata parte dell’Impero Romano d’Occidente.
Nel 468 d.C, l’isola cadde in mano al Re vandalo Genserico, ma fu riunita all’Italia nel 476, sotto Odoacre.