Il Concilio della Plebe: cos’è e come funzionava

Il Concilio della plebe era la principale assemblea dei Plebei, la parte più povera della popolazione nella Repubblica della Roma antica. Funzionava come un assemblea legislativa, attraverso la quale i plebei potevano approvare delle leggi, chiamate Plebisciti, vincolanti per tutto il resto dei cittadini romani ed eleggere dei magistrati in grado di rappresentarli, i Tribuni della plebe.  Il Concilio della plebe aveva anche una funzione giudiziaria, con il potere di eseguire dei processi nei confronti dei cittadini. 

Il Concilio della plebe era originariamente organizzato sulla base di unità familiari chiamate Curie, ma nel 471 a.C, adottò un nuovo sistema basato sui distretti residenziali o tribù territoriali. 

Il concilio della plebe poteva essere convocato solamente dal tribuno della plebe, mentre i Patrizi, ovvero gli aristocratici, erano completamente esclusi dalla partecipazione all’assemblea.

L’istituzione del Concilio della plebe

Alla fondazione della Repubblica romana, nel 509 a.C, il popolo romano era diviso in un totale di trenta gruppi di cittadini, chiamati Curie, dieci per ognuna delle tre tribù fondatrici di Roma. Come ci confermano Plutarco e Dionigi di Alicarnasso, le Curie erano costituite dalle prime famiglie romane ed erano dunque organizzate sulla struttura etnica della prima Roma.   

Le Curie si riunivano in un assemblea legislativa nota come “Comitia Curiata” o assemblea dei Curiati,  che aveva il compito di emanare le leggi e di nominare I magistrati.  I comizi curiati erano composti solamente dalle famiglie patrizie aristocratiche, senza la partecipazione dei plebei, i quali potevano essere rappresentati solo indirettamente, stringendo dei legami di dipendenza con una famiglia Patrizia.

I plebei, senza diritto di voto, si trovarono dunque a svolgere i lavori più umili senza essere effettivamente rappresentati, il che fece aumentare drasticamente nel corso del tempo la loro insofferenza nei confronti delle famiglie più ricche. La situazione si aggravò nel momento in cui Patrizi cominciarono ad accumulare nei confronti dei Plebei una vasta serie di crediti. Intere famiglie plebee si ritrovarono quindi in una condizione di sovraindebitamento che le portò ad organizzare una serie di ribellioni.

Note come Secessioni della plebe“, queste ribellioni si concretizzavano nel ritiro di massa dei plebei sul colle Aventino, i quali si rifiutavano di lavorare e partecipare alla quotidianità cittadina. Questo periodo di tensione sociale, noto come “Conflitto degli ordini “, si concluse con la concessione da parte degli aristocratici di nuovi diritti ai plebei, fra cui l’istituzione del Concilio della plebe e della figura del tribuno della plebe.

Poteri e competenze del Concilio della plebe

Nel momento della sua costituzione, il Concilio della plebe ricalcava nella sua struttura l’organizzazione delle Curie, esattamente come avveniva per i comizi curiati.  Il potere e le funzioni di questa assemblea aumentarono gradualmente nel corso del tempo, ma la funzione principale del Concilio della plebe era quella di riunire tutti i plebei in un’unica assemblea per discutere di tutte le questioni relative alla loro condizione economica e sociale. 

I plebei avevano la possibilità di attuare una serie di azioni legislative.

Il Concilio della Plebe riuniva in una sola assemblea i plebei, la parte più povera della popolazione romana

Le azioni legislative del Concilio della plebe

Le azioni legislative proprie del Concilio della plebe possono essere classificate in quattro categorie principali, a seconda del loro scopo. La prima è l'”Uguaglianza“, una serie di azioni e di provvedimenti per creare uguaglianza tra diversi gruppi di persone all’interno della società romana.

La seconda è l'”Ampliamento della partecipazione”, una serie di norme che mirano ad aumentare la partecipazione politica di gruppi che erano stati precedentemente esclusi dalle attività legislative.

La terza è la “Protezione“, azioni che pongono dei limiti all’azione arbitraria dello Stato ed alla sua intromissione nei diritti personali o nei diritti di proprietà.

Infine la “Consultazione reciprocamente vincolante” che rappresenta l’emanazione vera e propria delle leggi, anche per cittadini non plebei.

Il Concilio della plebe aveva poi la possibilità di emanare tre tipi di provvedimenti.

La “Rogatio“,  una proposta di legge che veniva presentata direttamente davanti al concilio della plebe. Si trattava, in tutto e per tutto, di un semplice disegno di legge, che poteva essere respinto o su cui il Senato poteva porre il veto. La sua presentazione aveva però un forte valore politico, dimostrando i temi che stavano più a cuore i plebei.

Il “Plebiscitum“, una legge proposta sempre dai tribuni della plebe che veniva approvata a maggioranza delle tribù del Concilio. Dopo l’introduzione della Lex Hortensia nel 287 a.C, il Plebiscito divenne vincolante per l’intera popolazione romana, compresi i Patrizi. In questo modo I plebei non avevano più bisogno dell’approvazione del Senato o di un magistrato, incidendo in maniera diretta e indipendente sulla società romana.

Attraverso Rogationes, Plebiscita e Leges, il Concilio della Plebe svolgeva funzioni legislative

Le “Leges“,  dei Plebisciti che erano stati presentati di fronte ai comizi tributi o ai comizi centuriati ed erano stati convertiti in legge anche dal resto delle assemblee legislative e firmati da un magistrato in carica.  Tra le più importanti leggi approvate dal Consiglio della plebe, possiamo ricordare:

– la Lex Genucia, 342 a.C, con la quale si stabiliva che uno dei due Consoli eletti annualmente fosse plebeo

– La Lex Ogulina,  300 a.C che attribuiva ai cittadini plebei la metà dei sacerdozi nei collegi dei Pontefici e degli Augures

– La Lex Hortensia,  287, che assoggetta va tutti i cittadini romani alle leggi istituite dal concilio della plebe

– La Lex Maenia,  ha il 291 e il 219 a.C, che richiedeva al Senato di ratificare tutti i progetti di legge approvati dal Concilio della plebe

Il concilio della Plebe: la figura del Tribuno della Plebe

Un altro elemento fondamentale del Concilio della plebe era il potere di eleggere dei tribuni, dei magistrati speciali, chiamati “Tribuni della plebe”.

All’inizio erano solamente due ma il loro numero aumentò a cinque fino a toccare il numero di dieci. In realtà, non abbiamo ancora ben chiara la correlazione tra le Curie dei plebei e il numero dei tribuni, dal momento che questo variò nel corso del tempo e non fu mai direttamente collegato al numero delle Curie.

Il primo compito dei tribuni della plebe era quello di convocare il Concilio della plebe, organizzare le discussioni, presiedere i discorsi pubblici e riassumere le volontà di quanto veniva deciso durante le assemblee. Il tribuno della plebe presiedeva anche i processi istituiti dal Concilio.

L’altro grandissimo potere del tribuno della plebe era quello di porre il veto sulle leggi votate dai Comizi curiati, nel momento in cui queste potevano arrecare danno alla parte più povera della popolazione.

Il loro compito era quindi quello di individuare le leggi votate dalle assemblee dei patrizi e di bloccarle nel momento in cui ravvisavano dei pericoli per gli interessi della plebe.

I tribuni della plebe, per questa loro funzione di controllo, erano considerati sacri e inviolabili: minacciare, cercare di influenzare o addirittura fare del male ad un tribuno della plebe era considerata un’azione gravissima, che avrebbe avuto come conseguenza la ribellione di tutti i plebei.

Il Concilio della plebe aveva anche la possibilità di istituire dei processi nei confronti dei cittadini, di qualunque genere, specialmente contro coloro  che erano accusati di aver messo in pericolo gli interessi di tutta la plebe. I tribuni della plebe avevano anche il potere di disporre l’arresto di qualsiasi cittadino romano, anche patrizio.

Questi poteri venivano controbilanciati dalla presenza del Senato, che rappresentava le famiglie più ricche di Roma, dai comizi curiati,  e dalla legge delle XII tavole, una sorta di costituzione dell’antica Roma, che affermava ancora la supremazia degli aristocratici sui plebei.