Commodo fu imperatore romano dal 180 al 192 d.C e la sua figura, controversa e contestata, rappresenta la fine di un’era e l’inizio di un nuovo periodo.
Con la morte del padre, Marco Aurelio, avvenuta nel marzo del 180 d.C., e l’arrivo di Commodo, ebbe infatti termine quello che è conosciuto come il regno dei cinque buoni imperatori.
Gli imperatori che si susseguirono per il secolo successivo sarebbero stati infatti portatori solo di un periodo di caos e declino, incapaci di operare le riforme necessarie per stimolare un impero enorme.
Il primo di questi imperatori inetti fu proprio Commodo il quale, secondo la maggior parte degli storici, non solo fu un regnante inadeguato, ma anche un megalomane, che credeva di essere la reincarnazione del Dio greco Ercole, presentandosi spesso come combattente nell’arena del Colosseo.
La giovinezza e l’arrivo al potere
Lucio Aurelio Commodo nacque dall’unione tra Marco Aurelio e Faustina Minore a Lavinio, una città a sud-est di Roma, il 31 agosto 161 d.C.. Fu il decimo di quattordici figli e l’unico a sopravvivere: suo fratello gemello Tito Aurelio Fulvo Antonio, per citarne uno, morì all’età di quattro anni.
Sarebbe stato il primo imperatore nato mentre suo padre era ancora in carica e l’ultimo ad ereditare il trono: i precedenti cinque imperatori, incluso Marco Aurelio, avevano infatti ottenuto il trono attraverso il meccanismo dell’adozione.
Non ci volle molto perché il futuro imperatore si dimostrasse una delusione rispetto a suo padre: sebbene godesse dei benefici di un’istruzione di prim’ordine, Commodo non ereditò nulla dell’etica che ha contraddistinto il regno di Marco Aurelio.
La marcata differenza nel carattere e nel comportamento rispetto al padre, era la prova, secondo gli storici del tempo, della sua illegittimità e delle presunte relazioni extraconiugali di sua madre.
Dopo essere stato a fianco di Marco Aurelio in battaglia sulla frontiera settentrionale nel 178 e 179 d.C., Commodo tornò a Roma nel 180 d.C. e dopo la morte del padre, a soli diciotto anni, negoziò un accordo di pace sorprendentemente favorevole a Roma.
I complotti contro Commodo
Per buona parte del suo mandato lasciò le redini del potere nelle mani di un nutrito gruppo di funzionari mentre dedicava il suo tempo ai piaceri mondani. Uno dei primi ad assumere alcune delle responsabilità dell’imperatore fu Saotero, il cui rapporto con Commodo avrebbe presto suscitato sia l’ira del Senato che della casa imperiale.
Sebbene Commodo considerasse il suo regno una nuova “età dell’oro”, la sua mancanza d’interesse per le questioni politiche, insieme alla sua vita caratterizzata da paranoia e svago, portò alla nascita di quello che viene considerato comunemente un regno del terrore.
Lo storico Cassio Dione, che lo aveva soprannominato regno di “ferro e ruggine”, scrisse: “Quest’uomo non era per natura malvagio ma, al contrario, innocente come qualsiasi uomo che sia mai vissuto. La sua grande semplicità, tuttavia, insieme alla sua codardia gli fece perdere il meglio della vita, conducendolo ad abitudini lussuriose e crudeli, che presto divennero per lui una seconda natura “.
Poiché faceva affidamento sugli altri per governare al suo posto, le persone che gli gravitavano attorno si resero conto molto presto di quanto poteva essere facilmente manipolato, rendendo possibile la nascita di diverse cospirazioni per attentare alla sua vita. Una di esse è riconducibile addirittura a sua sorella maggiore Lucilla e ad alcuni senatori nel 182 d.C.
Il piano di attacco nei confronti di Commodo era abbastanza semplice: suo nipote, Quinto, doveva restare in agguato nei bassifondi del Colosseo finché l’imperatore non fosse entrato per assistere ad uno spettacolo, per pugnalarlo. Ma Quinto perse tempo e venne prontamente fermato dalla Guardia Pretoriana.
Commodo ordinò di giustiziare tutti coloro che avevano partecipato al complotto. La sorella Lucilla venne dapprima esiliata e poi in seguito uccisa.
Il forte periodo di stress e la costante sensazione di insicurezza, minarono profondamente la solidità emotiva di Commodo, il che diede modo al comandante dei Pretoriani, Tigidio Perenne, di accentrare sempre maggiore potere ed influenza approfittandosi del vulnerabile imperatore.
Dopo il complotto ordito da sua sorella, l’imperatore si rifiutò di apparire in pubblico delegando sempre più gli affari imperiali nelle mani di Perenne che si dimostrò brutale ma anche molto efficiente: eliminò senza pietà tutti coloro che contrastavano la sua autorità, facendosi per questo molti nemici.
Mentre accumulava grandi ricchezze e Commodo si allontanava sempre più dalle responsabilità governative, Tigidio Perenne iniziò a credersi il vero imperatore di Roma, arrivando persino a complottare per uccidere Commodo e preparare i suoi figli per la successione.
Erodiano, nella sua Storia dell’Impero Romano, scrisse: “Perenne si assunse la piena responsabilità personale dell’impero, spinto dalla sua insaziabile brama di denaro, dal suo disprezzo per ciò che aveva e dal suo desiderio di ottenere ciò che non era ancora suo“.
Ma la sorte di Perenne tracollò rapidamente: l’ex schiavo e membro della famiglia imperiale, Marco Aurelio Cleandro, mentre guidava un contingente di 1500 soldati di ritorno dalla Britannia, rivelò i dettagli della congiura di Perenne per rovesciare Commodo e assumerne il potere.
L’uomo e i suoi figli furono immediatamente giustiziati.
Marco Aurelio Cleandro divenne così il nuovo braccio destro dell’imperatore, che ancora una volta delegò i suoi compiti anzichè affrontare una serie di riforme necessarie. Anche Cleandro distrusse ogni opposizione, e si dedicò ad accumulare una enorme ricchezza, spesso svendendo immense proprietà dell’impero.
Come accaduto con Perenne, anche la vita di Cleandro si concluse tragicamente: nel corso di una rivolta popolare causata dalla scarsità di cibo, il commissario del grano Papirio Dioniso diede a Cleandro la colpa, sostenendo che egli aveva comprato tutte le scorte per rivenderle a prezzo maggiorato.
Nonostante i tentativi di contenimento, la folla raggiunse la residenza dell’imperatore presso Villa dei Quintilli per protestare: Commodo, che temeva per la sua vita, decise di dare alla popolazione quello che voleva, la testa di Cleandro, che fu posta su un palo e fu mostrata per le strade di Roma.
Il regno di un megalomane
Fu quello il momento in cui Commodo, finalmente, decise di prendere direttamente le redini dell’impero. Commodo, tuttavia, si presentò al popolo come una figura mitica che incarnava Ercole rinato e si presentò in pubblico con un mantello realizzato con la pelle di un leone.
Il Senato stesso fu costretto a dichiararlo Dio vivente.
Erodiano scrisse: “Per prima cosa scartò il nome della sua famiglia e diede ordini che non si chiamasse più Commodo, figlio di Marco, ma Ercole, figlio di Zeus. Abbandonando il modo di vestire romano e imperiale, indossò la pelle di leone e portò la mazza di Ercole. [..] Eresse statue a sua immagine in tutta la città … perché desiderava che anche le sue statue ispirassero paura di lui “.
Ribattezzò i dodici mesi del calendario a suo piacimento e dopo che un incendio nel 191 d.C. distrusse gran parte della città, compreso il Tempio di Vesta e quello della Pace, ne approfittò per ricostruire completamente Roma a suo piacimento.
Poiché si considerava il nuovo fondatore, ribattezzò Roma Colonia Lucia Annia Commodiana: i romani diventarono quindi i “commodiani”.
Nel suo delirio, Commodo decise persino di prendere parte personalmente ai giochi gladiatori e alle battaglie che si svolgevano nel Colosseo.
La Morte di Commodo
Il giorno di Capodanno del 193 d.C., Commodo decise di combattere nell’arena per celebrare la rinascita della città: ad assisterlo ci sarebbe stata la sua amante Marcia (la moglie Bruttia Crispina era stata bandita e giustiziata nel 191 d.C., N.d.R) il nuovo consigliere Ecletto e Quinto Emilio Leto, nuovo comandante dei Pretoriani.
Commodo non poteva immaginare che quello sarebbe stato il giorno della sua morte. Diversi familiari e amici tentarono di dissuaderlo dall’esibirsi direttamente nell’arena, ma Commodo impose la sua volontà e minacciò di aggiungerli alla lista delle persone da giustiziare se avessero insistito.
Commodo, senza saperlo, si condannò a morte.
Dapprima Marcia gli offrì un bicchiere di vino avvelenato: ma quando il veleno tardò a fare effetto, l’allenatore di Commodo, Narcisso, lo strangolò, approfittando della sua confusione.
Pertinace, che gli succedette come imperatore, non affidò il corpo al pubblico ludibrio, ma lo fece seppellire nel Mausoleo di Adriano.
Articolo originale: Commodus di Donald L. Wasson (World History Encyclopedia, CC BY-NC-SA), tradotto da Federico Gueli