La caduta dell’Impero romano, o meglio il crollo dell’impero romano di Occidente è una delle pagine più sofferte e discusse della storia di Roma: sono diverse le ragioni che hanno portato all’epilogo del più grande impero della storia umana.
In questo articolo spiegheremo in maniera estremamente semplificata le motivazioni del crollo, che possono essere successivamente approfondite.
Nei testi scolastici, ci è sempre stato insegnato che la colpa della caduta dell’Impero Romano sia stata dei barbari.
In altri testi, sembra che a compromettere la civiltà romana sia stato il Cristianesimo, una nuova religione in grado di indebolire lo “spirito romano”, come sostenne lo storico Edward Gibbon.
Soprattutto per ciò che riguarda la posizione di Gibbon è bene sottolineare che il grande studioso espresse questo concetto in una Londra anticlericale del 1700: un fattore che senza dubbio influenzò la sua posizione che non può essere, per quanto importante, considerata priva di errori.
In realtà, al netto delle principali teorie e spiegazioni su questo enorme fenomeno, vi sono soprattutto due concetti fondamentali da comprendere.
La gestione del potere
A causare la caduta dell’impero romano d’Occidente è stata soprattutto una scorretta gestione del potere.
Roma era infatti una società basata sul concetto del cittadino che faceva carriera all’interno della vita pubblica: un cursus honorum che consentiva all’uomo di contribuire allo Stato romano arrivando, tecnicamente parlando, dai gradini più bassi della società fino alle massime cariche dello Stato.
Alla base di tutto vi era un discorso di meritocrazia, per il quale il cittadino romano poteva, tra oneri e onori, arrivare addirittura a diventare imperatore.
Dove sorge il problema? Nel corso del tempo la politica romana si è avvitata sempre di più su sé stessa fino a portare la gestione del potere nelle mani di chi già deteneva il controllo militare.
Ogni personaggio importante della politica romana e gli imperatori che si sono succeduti, soprattutto sotto il periodo del dominato, potevano contare su legioni di fedelissimi soldati che li sostenevano.
Si arrivò addirittura a una situazione in cui l’impero veniva “comprato con soldi” e veniva trattato come se fosse stato una proprietà privata.
Passava da un imperatore all’altro in base agli innumerevoli intrighi di Palazzo che non avevano più niente a che fare con i cittadini: il potere smise di essere l’oggetto di una scalata meritocratica di tutti, ma diventò il prodotto di una serie di intrighi tra imperatori, soldati, generali e capipopolo con un totale scollegamento dalla figura del cittadino.
Il tramonto del cittadino soldato
Di pari passo, il concetto del cittadino soldato.
Roma è stata sempre forte perché era colma di cittadini e alleati pronti a prendere le armi per combattere: i privilegi che spettavano ai cittadini erano una forte spinta al “patriottismo” e alla voglia di scendere in campo per difendere i confini.
Durante il tardo periodo imperiale la figura del cittadino soldato smise di esistere: il romano diventò un suddito come tanti altri, come già accadeva nelle grandi monarchie orientali.
L’abitante dell’impero romano doveva solamente obbedire e non aveva più voce in capitolo su nulla: nessuno volle più impegnarsi per la difesa del territorio, costringendo i generali a selezionare barbari da schierare in cambio della cittadinanza.
Una riprova di questo si trova facilmente osservando il destino dell’altra parte dell’impero, quella orientale, che sopravvisse per mille anni rispetto alla pars occidentalis.
Oltre a godere di una maggiore vitalità economica, l’imperatore Eraclio eseguì una riforma del territorio dividendolo in distretti e organizzando la società in modo tale da dare una prospettiva di vita al cittadino, il quale non lesinerà di difendere il proprio impero a tutti i costi fino al momento della sua disfatta finale nel ‘400 di fronte alla potenza ottomana.
L’imbarbarimento dell’esercito ebbe certo il suo ruolo: inserire al suo interno forze che non avevano ancora avuto modo di romanizzarsi di certo ha fatto la sua parte, tanto quando il Cristianesimo, che deve essere però considerato un effetto collaterale secondario.