La battaglia della Trebbia (o del fiume Trebbia) è uno scontro avvenuto il 18 dicembre del 218 a.C. durante la seconda guerra punica, fra le legioni romane del console Tiberio Sempronio Longo e quelle cartaginesi guidate da Annibale.
In quella zona i Romani subirono la prima grande sconfitta della Seconda Guerra Punica un generale che dimostrò uno sconfinato talento sul campo di battaglia.
Annibale attraversa le Alpi e raggiunge l’Italia
All’alba del conflitto con Annibale, i romani credevano di dover ripetere ciò che era avvenuto nel corso della prima guerra punica: pensando di scontrarsi prevalentemente sul mare, disposero una ingente flotta e schierarono il grosso delle loro legioni in Sicilia, pronte per attaccare il Nord Africa.
Annibale li sorprese tuttavia impegnandosi nel suo celebre viaggio attraverso l’Europa e varcando le Alpi: presi totalmente alla sprovvista, i romani partirono all’inseguimento del condottiero cartaginese incontrandolo una prima volta in battaglia sul fiume Ticino, scontro nel quale partecipò il padre di quello che sarà poi noto come Scipione l’Africano.
Nonostante Annibale abbia segnato una vittoria, la Battaglia del Ticino, rimase tuttavia una schermaglia di poco conto.
Fu nella battaglia della Trebbia che Roma subì la prima grande disfatta ad opera di un generale in grado di unire ad una profonda conoscenza del territorio la psicologia del nemico.
Annibale mostrò di possedere una ampia capacità di disporre e gestire gli uomini e di prevedere i movimenti tattici dell’avversario.
Le mosse di Annibale e il tranello a Sempronio Longo
Per comprendere come si svolse la battaglia della Trebbia è necessario prima di tutto avere una idea chiara del posizionamento delle varie componenti dei due eserciti.
Da una parte, sulla destra nell’immagine, vi sono i Castra Scipionis e Castra Sempronis, accampamenti con soldati rispettivamente guidati da Scipione, il quale aveva già incontrato i cartaginesi nella battaglia del Ticino e Sempronio Longo, richiamato dalla Sicilia a dare manforte alle truppe romane schierate al nord.
I due comandanti non erano concordi sulla strategia da seguire: Scipione preferiva attendere e studiare il suo nemico, Sempronio voleva attaccare subito per porre fine immediatamente il conflitto.
I due generali avevano il comando dell’esercito a giorni alterni: Sempronio decise per l’attacco alla prima occasione utile, costringendo l’altro comandante a seguirlo.
Dal canto suo Annibale, all’interno del suo accampamento, posto sulla sinistra del territorio, studiò adeguatamente la zona e decise di nascondere alcuni soldati guidati dal fratello minore Magone, esperti e valorosi, nei pressi di Rivergaro, arretrati rispetto agli accampamenti romani e abilmente nascosti.
Nel frattempo, decise di giocare la sua partita anche dal punto di vista psicologico: fece infatti uscire la cavalleria dall’accampamento con il compito di andare a provocare il nemico.
Le truppe di cavalleria si avvicinarono per farsi notare dalle sentinelle dell’accampamento dei Romani, portando Sempronio a fare ciò che lui desiderava: far uscire all’attacco i Velites, coloro che erano adibiti al lancio di frecce, sassi e giavellotti insieme alla cavalleria romana.
Il continuo “mordi e fuggi” di Annibale nei confronti delle truppe romane ebbe l’effetto sperato: i velites sprecarono munizioni, la cavalleria romana si stancò, e Sempronio Longo decise di attaccare, senza preparare adeguatamente i suoi soldati.
La disposizione per la battaglia
Entrambi gli eserciti vennero mobilitati e tutti i soldati uscirono dall’accampamento, ma con una importante e sostanziale differenza: mentre i soldati di Annibale avevano riposato, avevano dormito bene, avevano fatto una robusta colazione e si erano spalmati di olio e di grasso contro il freddo, i soldati romani, che si erano precipitati direttamente fuori dall’accampamento, erano completamente a digiuno, non erano totalmente coperti dalle loro corazze, erano stati mobilitati in tutta fretta e avevano freddo.
Sempronio, per di più, prese una decisione errata: fece attraversare in queste condizioni la Trebbia ai suoi soldati, facendoli arrivare sul campo di battaglia bagnati, infreddoliti e stanchi.
La battaglia della Trebbia vide i romani schierati nella loro formazione classica con i Velites davanti, i legionari al centro e la cavalleria classicamente schierata a destra e a sinistra.
Anche Annibale schierò davanti i suoi velites, posizionando la fanteria al centro, con gli elefanti ai lati della fanteria e la cavalleria sia all’estremità sinistra che a quella destra.
La battaglia
La differenza tra lo stato di salute dei due eserciti si vide immediatamente, appena le due parti entrarono in contatto.
La battaglia si aprì con il consueto scontro fra velites, ma quelli romani dimostrarono ben presto di essere stanchi ed inefficaci e si ritirarono subito nelle retrovie.
Nel frattempo, le cavallerie si scontrarono con i propri avversari e lo stesso fece la fanteria.
La cavalleria cartaginese, più riposata e fresca, mise quasi subito in fuga quella romana.
Non appena ebbe terminato questo compito e trovandosi alle spalle dei romani, caricò sul retro la fanteria di Longo.
Proprio in quel momento, le truppe di Magone, sapientemente tenute da parte, sbucarono all’improvviso e colpirono anche loro da dietro i romani, inglobandoli in una morsa circolare e perfetta.
Nonostante il totale accerchiamento, i soldati romani riuscirono comunque a bucare le file dell’avversario, e a filtrare attraverso lo schieramento dei nemici.
I superstiti si rifugiarono nella vicina città di Piacenza, sicuramente graziati da Annibale, che pare non fosse intenzionato a compiere uno sterminio totale, non infierendo su soldati che si erano comunque dimostrati molto valorosi in campo.
Le conseguenze
La battaglia della Trebbia segnò una vittoria netta per il comandante cartaginese.
Purtroppo i romani non si resero conto della caratura del loro avversario. La sconfitta della Trebbia fu attribuita esclusivamente alla superficialità di Sempronio Longo, e il Senato provò dapprima a bloccare la discesa di Annibale braccandolo sugli Appennini, e concedendogli poi una ulteriore battaglia, quella del lago Trasimeno, e quella di Canne. Entrambe sconfitte.
Un radicale cambio di strategia avvenne solo grazie a Quinto Fabio Massimo, che pensò di seguire Annibale senza affrontarlo in campo aperto e con Publio Cornelio Scipione, che portò effettivamente la cultura militare romana ad un nuovo livello, dimostrandosi capace di affrontare le tattiche del cartaginese.
Questa battaglia è un esempio del genio di Annibale che merita rispetto: Roma è stata grande ad avere il privilegio di affrontare un nemico del genere, conquistandosi la gloria di batterlo.