La battaglia di Talamone, 225 a.C. I romani annientano i Celti

La battaglia di Talamone (225 a.C.), uno degli scontri fondamentali della storia antica, vide la Repubblica Romana contrapporsi ad una corposa alleanza di tribù celtiche.

I Romani erano guidati dai consoli Gaio Attilio Regolo e Lucio Emilio Papo, che furono in grado di sconfiggere un importante contingente di tribù celtiche guidate dal re dei Gaesati Concolitano e da Aneroeste.

Si tratta di una delle battaglie più importanti per l’espansione della Repubblica Romana, in quanto allontanò in maniera duratura la minaccia celtica sia da Roma che dall’Italia settentrionale e fu determinante per l’espansione territoriale di Roma nella zona dell’attuale pianura padana.

Il contesto storico

Nei decenni precedenti, i Romani avevano avuto diverse scaramucce, per lo più inconcludenti, con le tribù che abitavano la Gallia Cisalpina, lungo tutta l’attuale valle del Po.

Queste si erano però concluse nel 238 a.C. e i rapporti tra i Romani e le tribù galliche erano sostanzialmente equilibrati. Addirittura, quando alcuni Celti transalpini avevano attraversato la catena montuosa delle Alpi ed erano discesi nell’Italia settentrionale nel 230 a.C., erano stati proprio i Boi, stanziati nella Gallia Cisalpina, a respingerli.

I rapporti si incrinarono, tuttavia, quando i Romani riorganizzarono il territorio celtico del Piceno secondo le proprie leggi senza consultare le tribù galliche, creando risentimento e paura tra i Galli Boi e i Galli Insubri.

La situazione peggiorò nel 232 a.C. quando i Romani approvarono una legge che assegnava delle vaste aree, formalmente appartenenti alle tribù galliche, ai propri cittadini più poveri.

Queste decisioni vennero considerate azioni profondamente provocatorie nei confronti dei Celti, che iniziarono seriamente a temere una invasione romana.

Così, nel 225 a.C., i Boi e gli Insubri pagarono ingenti tributi alla potente popolazione germanica dei Gaesati, assoldandoli come mercenari. Questi, guidati dai generali Aneroeste e Concolitano, accettarono di buon grado di combattere contro Roma.

I Romani, venuti a sapere della formazione di una pericolosa alleanza gallica, stipularono un trattato di pace con il generale cartaginese Asdrubale il Bello che gli cedeva il controllo incondizionato dell’Hispania, per poter concentrare tutte le loro forze militari nella gestione dell’imminente pericolo nell’Italia settentrionale.

I romani iniziarono così un pesante e massiccio arruolamento. Il console Lucio Emilio Papo aveva a disposizione quattro legioni di cittadini romani per un totale di 22.000 uomini, oltre a 32.000 truppe alleate, posizionate presso il suo quartier generale ad Ariminum.

Dopodiché inviò 54.000 alleati sabini ed etruschi sul confine tra l’Etruria e la Gallia Cisalpina con il compito di pattugliare il territorio e intercettare eventuali incursioni galliche.

Inviò poi 40.000 tra Umbri, Veneti e Cenomani per compiere delle incursioni nel territorio dei Boi, così da distrarli e indebolirli.

Nel frattempo, l’altro console, Gaio Attilio Regolo, stava reclutando un esercito delle stesse dimensioni in Sardegna. Regolo, oltre alle normali legioni romane, poteva contare su una riserva di 21.000 cittadini e 32.000 alleati, oltre a dei rinforzi provenienti dalla Sicilia e da Taranto.

L’invasione celtica dell’Etruria

I Celti decisero di adottare una strategia estremamente aggressiva che prevedeva una rapida invasione dell’Etruria per marciare direttamente verso Roma.

Le truppe alleate romane, posizionate sul confine etrusco, intercettarono i nemici a soli tre giorni di marcia dalla capitale e si prepararono al combattimento.

I Celti giocarono ad astuzia: aspettarono l’arrivo della notte per lanciare un improvviso attacco di cavalleria, la quale attirò gli alleati fuori dal loro accampamento. Ma anziché accettare la battaglia, scelsero di barricarsi nella città di Fiesole, dove iniziarono a costruire dei sistemi difensivi

Il mattino successivo, la cavalleria gallica uscì dall’accampamento e si schierò in modo da essere ben vista dall’esercito nemico, dando l’impressione che i Celti stessero battendo in ritirata. Gli alleati latini, ingannati, iniziarono a inseguirli. 

Al momento più propizio, i Celti fecero un immediato dietrofront e costrinsero i nemici ad una inaspettata battaglia, sfruttando il vantaggio della posizione e ottennero, dopo un duro scontro, una netta vittoria. 

Seimila alleati romani vennero uccisi, mentre il resto del contingente latino riuscì a ritirarsi su una collina.

Solo la notte successiva alla disfatta, il console Papo riuscì ad arrivare sul posto con i suoi soldati, accampandosi nelle vicinanze. Nonostante sperasse di poter rovesciare la situazione, il generale Gaesato Aneroeste convinse i Celti a ritirarsi con il loro bottino per riprendere la guerra più tardi. 

Papo non potè fare altro che inseguire e molestare la retroguardia celtica, ma non rischiò una battaglia campale per la quale non si sentiva pronto.

Nel frattempo, il console Regolo aveva appena sbarcato i suoi uomini a Pisa, marciando verso Roma. 

Sulla strada che lo portava alla capitale però, i suoi esploratori incontrarono fortuitamente un’avanguardia di Celti nei pressi del fiume Talamone, in un’area chiamata Campo Regio. Regolo intuì la portata del pericolo e comprese che era necessario affrontare quanto prima i nemici.

La battaglia di Talamone: la conquista della collina

Regolo posizionò le sue truppe e diede l’ordine di prepararsi al combattimento. La sua prima mossa fu quella di avanzare con la sua cavalleria nel tentativo di occupare una collina posta al di sopra di una strada che avrebbe bloccato la ritirata dei Celti.

Questi, totalmente ignari dell’arrivo di Regolo, presumevano che Papo avesse mandato solo alcuni dei suoi soldati per occupare la collina e si limitarono ad inviare un piccolo contingente di cavalieri e pochi reparti di fanteria leggera per combatterli.

Ma non appena si trovarono di fronte all’esercito di Regolo al completo, capirono di dover affrontare due generali romani e furono costretti a schierare la loro fanteria il prima possibile, consapevoli che sarebbero stati attaccati da due lati.

L’unica soluzione tattica per i Celti sarebbe stata quella di combattere schiena a schiena, per sopportare un attacco che sarebbe giunto sia da Nord che da Sud. Posizionarono i Gaesati e gli Insubri nella parte meridionale, pronti ad affrontare l’esercito del console Papo, mentre i Boi e i Taurisci, dalla parte opposta, attesero l’arrivo di Regolo. 

I Galli protessero i fianchi del loro grosso contingente con un muro di carri, mentre una piccola forza militare custodiva il bottino, conservato su una collina vicino al campo di battaglia.

Lo scontro di cavalleria per la conquista della collina fu feroce e, sebbene Papo avesse inviato i suoi cavalieri per aiutare Regolo, quest’ultimo fu ucciso in combattimento e la sua testa portata trionfalmente di fronte ai capi Celti.

Nonostante la drammatica morte del loro generale, i cavalieri romani riuscirono però a sconfiggere i Galli e si assicurarono il possesso della collina.

La battaglia di Talamone: lo scontro sul campo

Nel frattempo, sul campo di battaglia, i Veliti romani avanzavano contro la fanteria celtica da entrambe le direzioni, lanciando raffiche di giavellotti. Questo attacco fu particolarmente devastante per i Gaesati, che per la loro cultura militare combattevano nudi, utilizzando solo degli scudi stretti a loro difesa.

Alcuni di loro si lanciarono furiosamente contro le unità di fanteria leggera romana ma furono letteralmente massacrati. Altri, invece, indietreggiarono per rimanere più vicini ai loro commilitoni, ma la loro ritirata disordinata causò il caos tra gli alleati.

Gli Insubri avanzarono per prendere il posto dei Gaesati, mentre i Romani ritirarono i loro Veliti, facendo avanzare gli Hastati che si muovevano in manipoli. Insubri, Boi e Taurisci resistettero duramente per contrastare l’avanzata della fanteria pesante romana.

In un primo momento ebbero successo, poiché i Romani, nonostante il loro superiore equipaggiamento, non erano ancora riusciti a rompere la formazione. Dopo alcune ore di battaglia inconcludente, i Romani utilizzarono la tecnica della “mutatio”, facendo arretrare gli Hastati e avanzare i Principes, soldati più esperti che presero il loro posto.

I Principes cominciarono a schiacciare la fanteria celtica in uno spazio sempre più ristretto nonostante questi fossero ancora in grado di opporre una considerevole resistenza. 

La battaglia conobbe una decisiva svolta quando la cavalleria romana, ormai vittoriosa, scese dalla collina e si schiantò contro il fianco della fanteria celtica, ormai esausta per il prolungato combattimento.

I Celti vennero massacrati dove si trovavano, mentre la loro cavalleria fuggì in preda al panico. Quarantamila Celti furono uccisi sul campo di battaglia e diecimila fatti prigionieri, tra cui il generale Concolitano.

Aneroeste fuggì con un piccolo gruppo di seguaci che decisero di suicidarsi con lui per non cadere vivi nelle mani dei Romani. Dopo la battaglia, Papo marciò con i suoi eserciti in Liguria e nel territorio dei Boi per condurre delle spedizioni punitive.

Le conseguenze

Il console Papo fu onorato con un trionfo a Roma per la sua vittoria, che pose fine per sempre alla minaccia celtica nei confronti della capitale.

Nel 224 a.C. due eserciti romani invasero i territori celtici costringendo i Boi a sottomettersi. Negli anni successivi seguirono altre importanti vittorie romane, che costrinsero regolarmente i celti ad arrendersi, rinunciando a grandi appezzamenti di terreno. Iniziò così l’insediamento di coloni romani nelle terre del nord Italia.

Ma il risentimento che i Celti maturarono nei confronti dei Romani ebbe un ruolo decisivo nella loro decisione di allearsi con Annibale, che nell’imminente Seconda Guerra Punica, si sarebbe presto affacciato con i suoi eserciti nel Nord Italia.