Battaglia di Abritto

La battaglia di Abritto fu uno scontro combattuto tra l’esercito di Roma guidati dall’imperatore Decio (249-251 d.C.) e una coalizione di Goti sotto la guida di Cniva ( c.250 – c.270 d.C.) nel 251 d.C.

La battaglia si concluse con la vittoria di Cniva e la morte di Decio e di suo figlio in una sconfitta devastante per l’esercito romano.

A seguito di questa disfatta, i romani non ebbero altra scelta che permettere a Cniva di uscire dal territorio con tutto il bottino e gli schiavi che aveva catturato durante la campagna militare.

Lo scontro avvenne nella valle del fiume Beli Lom, vicino alla città di Dryanovets, nell’odierna Bulgaria. Cniva aveva già attaccato le città romane di Novae e aveva posto sotto assedio Nicopoli ed Istrum, dove incontrò per la prima volta Decio, prima della decisiva battaglia di Abritto.

Se Cniva avesse sfruttato appieno questa vittoria e avesse concentrato le sue forze contro la capitale, avrebbe probabilmente potuto distruggere tutte le forze che Roma aveva a disposizione per difendersi. Ma in quella occasione, Cniva non volle annientare Roma e scelse di tornare nelle sue terre con un sostanzioso bottino.

Gli antefatti della battaglia di Abritto: la crisi del terzo secolo

Al momento della battaglia, Roma stava attraversando un periodo drammatico, noto come “Crisi del terzo secolo (235-284 d.C.)” che ebbe inizio quando l’imperatore Alessandro Severo (222-235 d.C.) fu assassinato dalle sue truppe durante una campagna in Germania.

Roma doveva affrontare una serie di minacce esterne, specialmente ad Oriente, dove i Sasanidi avevano mobilitato i loro eserciti per colpire le province romane in Mesopotamia, approfittando del momento di debolezza in cui versava l’impero.

Sul fronte interno, la società romana era colpita da gravi problemi, dovuti all’inflazione e ad una crisi economica strutturale, che si aggiungeva ad una importante epidemia di vaiolo che provocò una gravissima crisi demografica.

Inoltre, sotto l’aspetto politico, vi era una grave instabilità del potere centrale: se un imperatore si dimostrava deludente, veniva rapidamente ucciso dai soldati e sostituito con un candidato più promettente.

Nel 250 d.C, nel bel mezzo del caos in cui Roma versava, Cniva, generale al comando dei Goti, marciò nel territorio romano per saccheggiare e schiavizzare la popolazione che viveva nei territori di frontiera. Il suo esercito era composto da diverse tribù: Carpi, Bastarnae, Taifali e Vandali.

Gli assedi dei Goti e la presa di Filippopoli

Il suo primo attacco fu diretto contro la città di confine di Novae, ma il comandante goto fu respinto dal generale (e futuro imperatore) Gallo (251-253 d.C.).

Cniva decise così di modificare il suo percorso e mise sotto assedio la città di Nicopoli, mentre la tribù dei Carpi tentava di conquistare Marcianopoli. Entrambe le città riuscirono a resistere efficacemente agli attacchi nemici, giusto in tempo per consentire all’imperatore Decio di giungere con il grosso dell’esercito imperiale per rompere l’assedio di Nicopoli.

Nonostante Decio avesse salvato efficacemente Nicopoli dall’assedio, Cniva era riuscito ad allontanarsi dal campo di battaglia senza particolari perdite. Cniva guidò le sue truppe verso nord, devastando i territori sul suo cammino, seguito a breve distanza da Decio, che non fu in grado di risparmiare alla popolazione la furia degli avversari.

La situazione ebbe una drammatica svolta nei pressi della città di Augusta Traiana, dove Decio fu costretto a fermarsi con il suo esercito per consentire ai soldati di riposare.

Cniva intravide la possibilità di attaccare i Romani a sorpresa: i legionari furono presi completamente alla sprovvista e subirono una pesantissima sconfitta con un elevato numero di morti e feriti, mentre l’esercito di Cniva registrò pochissimi caduti.

Decio e i suoi generali furono così costretti ad abbandonare il campo di battaglia con quello che rimaneva dell’esercito. Cniva raccolte le armi e i rifornimenti che i romani avevano dovuto abbandonare sul campo, si mosse rapidamente verso sud, contro la città di Filippopoli.

L’assedio di Filippopoli fu particolarmente crudele. Nella tarda primavera del 250 d.C, mentre le forze di Decio erano ancora disperse e cercavano disperatamente di riorganizzarsi, Cniva aveva già raggiunto Filippopoli e predisposto l’assedio. La città era in quel momento presidiata da una esigua forza di militari traci al comando di Tito Giulio Prisco.

Il contingente era decisamente troppo piccolo per resistere a lungo: così i traci elessero Prisco come nuovo imperatore romano, probabilmente per dargli il potere di negoziare legalmente una resa onorevole con i Goti.

L’offerta di Prisco era quella di arrendersi alle armate di Cniva senza combattere, in cambio di un trattamento umano e della salvezza della vita dei cittadini. I Goti finsero di accettare la proposta ma, una volta aperte le porte, questi ignorarono gli accordi presi e la città fu saccheggiata e incendiata. Prisco venne catturato e ucciso.

Battaglia di Abritto: Decio intercetta Cniva

Dopo il saccheggio della città, Cniva aveva ottenuto un enorme bottino e aveva raccolto migliaia di prigionieri. I piani del generale goto erano quelli di invertire il senso di marcia e ritornare nei suoi territori, portandosi dietro un lunghissimo treno di prigionieri e futuri schiavi.

Nel frattempo, Decio, nonostante le difficoltà, aveva ricostituito un nucleo di soldati sufficientemente numeroso da poter attaccare Cniva: così cercò di intercettare l’avversario mentre si spostava verso nord per superare il confine.

Cniva, venuto a sapere che le truppe di Decio lo stavano nuovamente tallonando, interruppe bruscamente la ritirata e si posizionò in una zona paludosa in una valle vicino alla città di Abritto, in una regione a lui favorevole in quanto conosceva molto bene il territorio.

Battaglia di Abritto. La disposizione dei Goti

Cniva pensò di dividere le sue forze in diverse unità, dispiegate intorno ad una grande palude. La sua prima linea di fanteria era posizionata subito davanti alla palude, mentre lui stesso, assieme ad altre unità scelte, prese posizione dietro la stessa palude. Altri contingenti vennero posizionati su entrambi i lati, per difendere i fianchi, abilmente mascherati dalla linea del fronte.

Si trattava sostanzialmente di una imboscata: nel momento in cui Decio avrebbe attaccato, l’esercito romano si sarebbe ritrovato senza volerlo all’interno di un pantano, da cui i legionari non sarebbero più usciti.

Appena Decio seppe che i Goti avevano interrotto la loro marcia e si erano accampati, l’imperatore pensò di poter infliggere all’avversario la stessa sconfitta che aveva appena subìto ad Augusta Traiana.

Decio marciò rapidamente contro Cniva, e dispose i suoi legionari nella tradizionale formazione di battaglia, per sfondare la prima linea dei Goti.

Quando i romani caricarono, i Goti indietreggiarono, ruppero i ranghi e finsero di scappare attraverso la palude. I romani interpretarono questa come una disfatta e li inseguirono, fiduciosi della vittoria. La palude, tuttavia, annullò completamente qualsiasi vantaggio delle formazioni romane che presto rimasero impantanate nella palude, esattamente come era previsto nei piani di Cniva.

I soldati romani si ritrovarono intrappolati nell’acqua densa e fangosa, incapaci di avanzare. Cniva sferrò il suo attacco da tre lati. Decio e suo figlio furono entrambi uccisi e il resto dell’esercito quasi annientato.

Battaglia di Abritto: La disfatta e la nomina di Treboniano Gallo

I soldati rimasti proclamarono il principale generale di Decio, Treboniano Gallo, come nuovo imperatore: il neo eletto guidò ciò che restava dell’esercito fuori dalla palude in ritirata. Cniva e le sue truppe recuperarono il bottino di Filippopoli e ripresero la marcia verso casa.

Alcuni contemporanei criticarono il comportamento di Treboniano Gallo che avrebbe dovuto inseguire Cniva, a arrivarono ad ipotizzare che Gallo si fosse in realtà accordato con i Goti per eliminare Decio in una battaglia programmata.

Ma in realtà, in quella situazione, le opzioni a sua disposizione erano veramente poche: Gallo dovette consentire ai Goti di andarsene con il loro ricco bottino e arrivò persino a promettere loro il pagamento di tributi annuali.

Dopo le sconfitte di Deroea e Filippopoli, e soprattutto dopo la catastrofe di Abritto, il nuovo imperatore non ebbe altra scelta. Doveva sbarazzarsi dei Goti il ​​più rapidamente possibile.

Battaglia di Abritto. Le conseguenze dello scontro

La storia della battaglia di Abritto viene raccontata per la prima volta dallo storico greco Dexippo (210-273 d.C.) ed è l’unico racconto esistente di un contemporaneo dell’evento.

Dexippo e scrittori cristiani posteriori avrebbero attribuito la sconfitta e la morte di Decio alle sue persecuzioni nei confronti dei Cristiani. Secondo questo punto di vista, la disfatta di Abritto fu una punizione inflitta da Dio per i tanti martiri cristiani barbaramente uccisi.

Al di là della propaganda cristiana però, la spiegazione più concreta è che Cniva conosceva il terreno ed era un leader militare più preparato di Decio.

La battaglia di Abritto non fu una svolta decisiva nella storia di Roma, ma rappresentò un duro colpo per la reputazione militare dell’impero . In passato, ad eccezione di alcuni casi straordinari, l’esercito romano aveva sempre ottenuto delle importanti vittorie ed era riconosciuto come una formidabile forza combattente.

Furono eventi come Abritto che convinsero gli scrittori latini che la città di Roma e il suo impero era stata abbandonata dagli Dei tradizionali, sconvolti dalla nuova religione del cristianesimo.

Dal punto di vista tecnico militare, la battaglia di Abritto rappresenta un esempio lampante dei problemi che affliggevano Roma durante la crisi del terzo secolo.

Gli imperatori erano completamente sotto il controllo dei militari che potevano ucciderli e sostituirli ai primi segnali di debolezza.

Se Decio avesse avuto mano libera, e la possibilità di portare avanti una guerra di posizione, avrebbe potuto maturare alcuni vantaggi. E invece, dovendo dimostrare coraggio nei confronti dei soldati, fu portato dalle circostanze ad attaccare il prima possibile.

Questo modello di leadership rappresentò purtroppo la normalità durante tutta l’era della crisi del terzo secolo: la tendenza venne interrotta solamente sotto il regno di Diocleziano (284-305 d.C.) che fu autore di una gamma straordinaria di riforme di notevole importanza.

Irreversibile però la divisione dell’Impero nel settore occidentale ed orientale e l’avvio di un progressivo declino della potenza militare romana.

Articolo originale: The Battle of Abritus di Joshua J. Mark (World History Encyclopedia, CC BY-NC-SA), tradotto da Federico Gueli