La battaglia di Adys. La grande sconfitta di Attilio Regolo

La battaglia di Adys (o Adis) ebbe luogo alla fine del 256 a.C. durante la prima guerra punica tra un esercito cartaginese e un esercito romano guidato da Marco Attilio Regolo.

Contesto storico

Nel 264 a.C. era scoppiata la prima guerra punica tra Roma e Cartagine.

Cartagine era una potenza marittima con traffici consolidati in tutto il Mediterraneo occidentale, mentre Roma aveva da poco unificato l’Italia continentale a sud del fiume Arno.

E proprio l’espansione di Roma nell’Italia meridionale e la vittoria della guerra contro Pirro rese inevitabile lo scontro tra i romani e l’altra grande potenza del Mediterraneo. Il casus belli fu rappresentato dal controllo della città siciliana di Messana, odierna Messina, che aveva dato il via al conflitto.

Entro il 256 a.C. però la guerra stava conoscendo una fase di stallo. I romani tentavano di sconfiggere i cartaginesi con delle grandi battaglie campali, con l’obiettivo di controllare l’intera Sicilia. I cartaginesi utilizzavano invece una strategia più attendista e aspettavano che le risorse economiche dei loro avversari si esaurissero, per poi riconquistare i loro possedimenti e negoziare la pace da una posizione di forza.

Anche sotto l’aspetto tattico i romani si trovavano in difficoltà. I cartaginesi concentravano la loro difesa su delle città ben fortificate che potevano essere facilmente rifornite dalla loro flotta.

Così, il fulcro della guerra si spostò inevitabilmente sul mare, dove i romani avevano però poca esperienza. Nonostante questo, nel 260 a.C. i romani costruirono una flotta utilizzando una quinquereme cartaginese che utilizzarono come modello per le proprie imbarcazioni da guerra.

Copiando e migliorando le tecnologie navali del nemico, i romani riuscirono ad ottenere la prima grande vittoria navale a Milazzo nel 260 a.C. seguita da quella di Sulci nel 258 a.C.

Così i romani, certi di poter vincere la guerra, concepirono l’audace piano di invadere il territorio nemico direttamente nel Nordafrica minacciando la loro capitale, e si prepararono ad un grande attacco su vasta scala per la conquista di Cartagine.

La flotta latina, composta da 330 navi da guerra, salpò da Ostia, il porto di Roma, all’inizio del 256 a.C.,  comandata dai consoli Marco Attilio Regolo e Lucio Vulso Longo. Con loro, circa 26.000 legionari provenienti dalla Sicilia.

I cartaginesi, ben consapevoli delle intenzioni dei romani, radunarono tutte le navi da guerra disponibili, circa 350, che furono poste sotto il comando di Annone e Amilcare. Le navi puniche stazionavano a largo della costa meridionale della Sicilia, con l’obiettivo di intercettare il nemico.

L’incontro tra le due flotte portò alla battaglia di Capo Ecnomo, la più grande battaglia navale della storia per un numero di combattenti coinvolti. Dopo una lunga giornata di combattimento, i cartaginesi vennero sconfitti, perdendo 30 navi contro le 24 romane.

Lo sbarco dei romani in Africa

Dopo la vittoria su Capo Ecnomo, i romani, guidati da Regolo e Longo, sbarcarono in Africa, vicino ad Aspis, sulla penisola di Capo Bon, iniziando a devastare le campagne cartaginesi per rifornire il loro esercito, composto da 90.000 rematori e 26.000 legionari.

Durante queste prime operazioni, i romani catturarono 20.000 schiavi, intere mandrie di bovini, e dopo un breve assedio, conquistarono la città di Aspis.

Ma l’inverno era ormai prossimo. Il Senato romano diede ordine alla maggior parte delle navi di tornare in Sicilia, al comando del console Longo, per ovviare alle difficoltà logistiche di rifornire 100.000 uomini durante la stagione fredda.

Solo Regolo rimase in terra d’Africa con 40 navi, 15.000 fanti e poco più di 500 cavalieri. L’ordine del Senato era quello di limitarsi ad indebolire l’esercito cartaginese con attacchi sporadici e di aspettare i rinforzi, che sarebbero arrivati in primavera. Nel frattempo, Longo avrebbe dovuto fomentare la ribellione tra i territori soggetti a Cartagine per indebolire il nemico senza affrontarlo direttamente.

Ma i consoli avevano ampia discrezione nel prendere decisioni di natura militare. Così Regolo scelse di utilizzare i suoi uomini, nonostante in inferiorità numerica, per attaccare Cartagine. Avanzando sulla città di Adis la conquistò, trovandosi ora a soli 60 chilometri a sud-est dalla capitale nemica.

I cartaginesi, consapevoli del pericolo, avevano subito richiamato dalla Sicilia il loro generale Amilcare con 5.000 fanti e 500 cavalieri, che venne posto al comando di un esercito ricco di cavalleria ed elefanti, e che aveva approssimativamente la stessa dimensione delle forze romane.

I cartaginesi stabilirono il loro accampamento su una collina vicino ad Adys. I romani, durante la notte, lanciarono un’attacco a sorpresa, accerchiando l’accampamento da due direzioni opposte. Dopo un confuso combattimento, i cartaginesi andarono in rotta e fuggirono, permettendo ai romani di conquistare numerose città, tra cui Tunisi, che distava ormai solamente 16 chilometri da Cartagine.

Da quel punto, i romani furono in grado di razziare e devastare l’area circostante.

Le mosse romane stavano sfaldando anche le alleanze nel nord Africa: vedendo la loro capitale indebolita, molti possedimenti africani decisero di ribellarsi e la stessa Cartagine si riempì di rifugiati, schiavi in fuga e criminali. La situazione, già esplosiva, si aggravò ulteriormente quando, per via delle razzie dei romani, iniziò a scarseggiare il cibo.

Secondo la maggior parte delle fonti, in questa situazione tragica, fu Cartagine a chiedere la pace ai romani, vedendo ormai la sconfitta imminente. Polibio fornisce l’unica versione differente, affermando che fu Regolo ad avviare i negoziati di pace, sperando di ratificare la sua vittoria il più velocemente possibile e porre immediatamente fine alla guerra, prima che arrivassero consoli successori per sostituirlo e rubargli la scena.

Comunque sia andata, le condizioni di pace richieste ai cartaginesi erano estremamente dure. La capitale punica avrebbe dovuto consegnare la Sicilia, la Sardegna e la Corsica, oltre a pagare tutte le spese di guerra e versare un tributo annuale a Roma.

I cartaginesi avrebbero potuto dichiarare guerra solo previo permesso del Senato romano e avrebbero avuto una marina militare limitata alla ridicola forza di una sola nave da guerra.

I cartaginesi, trovando queste condizioni inaccettabili e umilianti, decisero di continuare a combattere.

I due eserciti a confronto

La maggior parte dei cittadini romani maschi era tenuta a prestare servizio militare come fanteria, mentre una minoranza aristocratica, che disponeva del denaro necessario per acquistare l’animale e l’equipaggiamento, combatteva a cavallo.

Tradizionalmente i romani arruolavano due legioni di 4.200 fanti e 300 cavalieri. Non è chiaro come fossero costituiti i 15.000 fanti al comando di Regolo, ma probabilmente rappresentavano quattro legioni, due romane e due alleate, solo leggermente sottodimensionate.

Regolo decise di non arruolare truppe dai territori che si erano appena ribellati a Cartagine, dubitando della loro fedeltà e decise di affrontare il nemico con una forza di cavalleria ridotta a soli 500 soldati.

I cittadini cartaginesi, a differenza dei romani, prestavano servizio nell’esercito solo se vi fosse stata una minaccia diretta. In questo caso, combattevano con una fanteria pesante e ben corazzata, armata di lunghe lance, ma generalmente l’esercito cartaginese era male addestrato e poco disciplinato. 

Nella maggior parte delle situazioni, Cartagine reclutava infatti mercenari stranieri per comporre il suo esercito. Molti provenivano dal Nord Africa, equipaggiati con grandi scudi, elmi, spade e lunghe lance.

Come unità di supporto, i cartaginesi usavano spesso anche i frombolieri, in grado di lanciare sassi contro l’esercito nemico, che vennero reclutati dalle isole baleari. Tratto tipico dell’esercito punico era anche l’uso di elefanti da guerra, provenienti dalle foreste africane del Nord Africa.

La riforma dell’esercito di Xantippo

I cartaginesi, oltre ai soldati e alle varie unità da schierare in campo, reclutavano regolarmente anche i generali, scegliendo di volta in volta i migliori da tutta la regione del Mediterraneo. Tra loro individuarono un comandante spartano di nome Xantippo.

Il giovane generale fece immediatamente una buona impressione ai magistrati cartaginesi e convinse il senato di Cartagine che gli elementi più forti del loro esercito sarebbero stati la cavalleria e gli elefanti, che andavano schierati con tattiche innovative.

Xantippo venne immediatamente incaricato di addestrare l’esercito cartaginese durante l’inverno, sotto il controllo di alcuni magistrati.

Nel corso dei mesi, le abilità di Xantippo divennero sempre più evidenti, fino a che il senato punico decise di affidargli il pieno controllo delle forze armate di Cartagine.

Svolgimento della battaglia

Xantippo guidava un esercito di 100 elefanti, 4.000 cavalieri e 12.000 fanti, tra cui 5.000 veterani siciliani.

Il generale spartano si posizionò vicino all’accampamento dei romani, presso una grande pianura. Non conosciamo esattamente il sito, ma il luogo si trovava con tutta probabilità vicino all’odierna Tunisi.

L’esercito romano contava invece 15.000 fanti e 500 cavalieri. Regolo diede ordine ai suoi soldati di avanzare e si accampò a circa due chilometri di distanza dall’accampamento cartaginese.

La mattina successiva entrambe le formazioni si schierarono per la battaglia.

Santippo decise di posizionare le milizie cittadine cartaginesi al centro, mentre i lati furono occupati dai veterani siciliani da un lato e dalla fanteria dall’altro.

La cavalleria venne divisa equamente su entrambi i lati. Gli elefanti furono invece schierati in un’unica linea di fronte al centro della fanteria.

Dall’altro lato, i romani posizionarono la fanteria legionaria al centro, disposta in linee più profonde rispetto al solito. Probabilmente si trattava di una formazione elaborata per contrastare l’attacco degli elefanti, anche se, come vedremo, questo permise ai cartaginesi di aggirare più facilmente il nemico. 

Di fronte a loro gli schermigliatori di fanteria leggera e ai lati 500 cavalieri divisi tra i fianchi.

Dalla disposizione tattica, sembra che Regolo avesse sperato di sfruttare la forza della sua fanteria per sconfiggere gli elefanti, superare la falange cartaginese al centro e vincere la battaglia prima di preoccuparsi degli attacchi sui fianchi.

La battaglia iniziò con gli attacchi della cavalleria e degli elefanti cartaginesi. La cavalleria romana, inferiore numericamente, incontrò subito grandi difficoltà e fu rapidamente sbaragliata. I legionari romani tentarono allora di avanzare, urlando e sbattendo le spade contro gli scudi per generare rumore e spaventare gli elefanti.

Parte dell’ala sinistra dell’esercito romano riuscì a oltrepassare la linea degli elefanti e caricò contro la fanteria cartaginese di destra, che si disgregò e fuggì verso l’accampamento, inseguita dai romani.

Ma il resto della fanteria romana trovò grandi difficoltà nel fronteggiare gli elefanti, che non furono intimiditi dal rumore, ma caricarono, causando numerose vittime e scompaginando le linee romane. Solo alcuni legionari riuscirono a farsi strada attraverso i pachidermi e ad attaccare la falange cartaginese, ma il loro contingente era troppo disordinato per combattere efficacemente, e la falange riuscì a resistere al loro assalto.

A questo punto, alcune unità della cavalleria cartaginese, rientrate dall’inseguimento, attaccarono la retroguardia e i fianchi romani, aumentando il caos e la confusione tra le file nemiche.

I romani, circondati su tutti i fronti, furono completamente travolti. Nonostante i legionari tentassero di resistere, gli elefanti continuavano a colpire le loro linee e la cavalleria cartaginese bloccava la loro retroguardia.

A questo punto, Santippo ordinò alla falange di avanzare. La maggior parte dei romani si trovò ammassata in uno spazio troppo stretto per combattere efficacemente con le loro spade e furono letteralmente massacrati.

Regolo, insieme a una piccola guardia del corpo, dovette combattere strenuamente per cercare di uscire dall’accerchiamento, ma alla fine furono inseguiti e costretti ad arrendersi.

Complessivamente, i romani persero 13.000 uomini, mentre i cartaginesi subirono solo 800 perdite, principalmente provenienti dalla destra che era stata messa in rotta. Le perdite del resto dell’esercito cartaginese non sono note.

Soltanto 2.000 romani sopravvissero, provenienti dall’ala sinistra che era riuscita a fare irruzione nell’accampamento cartaginese. Consapevoli della sconfitta, fuggirono dal campo di battaglia e si ritirarono presso la città di Aspis. Questa fu l’unica grande vittoria terrestre di Cartagine durante la prima guerra punica.

Conseguenze della battaglia

Santippo sapeva di aver ottenuto una grande vittoria, ma iniziò a sospettare che l’invidia dei generali cartaginesi potesse metterlo in difficoltà. Perciò, accettò una lauta paga e tornò in Grecia. Regolo, invece, morì durante la sua prigionia a Cartagine.

Alcuni autori romani, successivamente, inventarono un racconto che esaltava la virtù di Regolo durante la sua prigionia.

I romani inviarono una flotta per evacuare i loro sopravvissuti, alla quale i cartaginesi tentarono di opporsi. Ne seguì la battaglia di Capo Ermete, dove i cartaginesi furono pesantemente sconfitti, perdendo 114 navi. Nonostante la vittoria, la flotta romana fu devastata da una tempesta durante il ritorno in Italia. Affondarono 384 navi e morirono centomila uomini, la maggior parte dei quali erano alleati latini.

Questa grave battuta d’arresto prolungò la guerra per altri 14 anni, che si svolse principalmente sul territorio della Sicilia e nelle acque circostanti, prima di concludersi con la definitiva vittoria romana.