L’assedio di Napoli del 536 d.C. è un episodio della guerra greco-gotica, che vide contrapposti l’esercito bizantino, guidato dal generale Belisario, e gli Ostrogoti del re Teodato.
Dopo alcune trattative iniziali, i Napoletani decisero di resistere all’esercito romano d’Oriente. Tuttavia, la città capitolò dopo 30 giorni di resistenza, e l’operazione militare si concluse con un massacro nei confronti dei Napoletani.
L’arrivo di Belisario e le trattative con Napoli
Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, in Italia si era formato il regno romano-barbarico degli Ostrogoti.
A Costantinopoli, tuttavia, l’imperatore Giustiniano coltivava il sogno di riconquistare le province romane perdute in Occidente e, nonostante il parere contrario dei suoi alti consiglieri militari, incaricò il suo miglior generale, Belisario, di guidare una spedizione militare di riconquista.
Il primo obiettivo di Belisario fu la riconquista del regno dei Vandali nel Nordafrica, che vennero completamente sconfitti e ritornarono sotto il controllo dei Romani d’Oriente.
Successivamente, Belisario sbarcò in Sicilia, riconquistò l’isola e puntò direttamente contro la città di Napoli.
In quel momento, il leader della città di Napoli era il diplomatico e aristocratico Stefano, che si trovò di fronte alla decisione se rimanere fedele agli Ostrogoti o consegnarsi all’esercito di Belisario, accampato fuori dalle mura della città.
Secondo le fonti antiche, Belisario si presentò come un liberatore dal dominio degli Ostrogoti e tenne un discorso che ci è stato riportato dalle fonti. Propose di accettare l’immediata liberazione, sostenendo che i napoletani avrebbero potuto evitare una guerra che li avrebbe condotti al disastro o, anche qualora avessero resistito, a una vittoria completamente inutile.
Belisario attacca gli Ostrogoti a Roma nel 536
All’interno della città si aprì quindi un dibattito serrato: Stefano e il suo collega Antioco proponevano di arrendersi a Belisario per ottenere la benevolenza dell’imperatore di Costantinopoli, mentre altri due notabili, Pastore e Asclepiodoto, consigliavano di resistere ai Bizantini.
In un primo momento, la fazione favorevole alla resa stava avendo la meglio, tanto che Stefano riprese i contatti con Belisario per definire i termini della consegna della città.
Ma Pastore e Asclepiodoto furono in grado di convincere i napoletani che la protezione offerta da Belisario non era sicura, che le forze militari dei Bizantini erano ben lontane dall’Italia e che gli Ostrogoti, sentendosi traditi, avrebbero certamente meditato la vendetta.
La fedeltà ai Goti, nel lungo periodo, avrebbe permesso a Napoli di mantenere un ruolo importante nella penisola italica.
Così il parere dei napoletani cambiò e, fallite le trattative, iniziò l’assedio di Napoli.
L’assedio di Napoli e la strage
La situazione prese immediatamente una piega drammatica per Napoli: nonostante tutti si aspettassero un concreto supporto militare da parte del re ostrogoto Teodato, quest’ultimo mancò di mandare mezzi e uomini, impegnato su altri fronti.
Napoli rimase quindi completamente sola di fronte all’esercito di Belisario.
Per venti giorni, Belisario cercò il modo di far capitolare la città, fino a quando uno dei suoi esploratori individuò un acquedotto nei pressi della città, dove, dietro un grande masso, si intravedeva una piccola apertura, sufficiente al passaggio di un solo uomo.
Informato immediatamente, Belisario scelse di dare un’ultima possibilità ai napoletani riprendendo i contatti con Stefano, dicendo che se non si fosse arreso, gli uomini sarebbero stati uccisi, le donne brutalmente stuprate e tutti i figli resi schiavi, proponendo nuovamente una resa onorevole.
Di fronte al rifiuto di Stefano, vi fu l’assalto finale.
Quattrocento uomini guidati dai centurioni di Belisario, Magno ed Enne, si introdussero nell’acquedotto e, seguendo il percorso sotterraneo, sbucarono all’improvviso all’interno dell’abitazione di una povera donna di Napoli. I soldati uccisero subito le prime sentinelle e, con uno squillo di tromba, avvertirono i loro commilitoni.
I napoletani furono presto invasi, e nonostante abbiano cercato di resistere con tutte le loro forze, furono rapidamente sopraffatti. Alcuni ebrei napoletani, sperando di calmare la furia dei bizantini, decisero di aprire le porte di Napoli e il resto dell’esercito di Belisario iniziò il saccheggio.
Le violenze vennero compiute in particolare dai contingenti Unni, al servizio di Belisario come mercenari. Questi si diedero ad un indiscriminato massacro e persino le chiese vennero spogliate dei loro averi.
Pastore, vedendo la città distrutta per colpa sua, venne colto da un ictus, stramazzando al suolo. Stefano gridò per le strade di Napoli cercando di giustificarsi e ripetendo che se avessero vinto i Goti, i napoletani sarebbero stati salvi.
Asclepiodoto venne accusato di cambiare parere per puro opportunismo e che il suo animo non era fedele ma cambiava con le circostanze. Per questo motivo, i napoletani, colti dal furore, lo uccisero e lo fecero a pezzi.
Il rimprovero di Papa Silverio
Belisario era riuscito a conquistare Napoli, segnando un punto molto importante nell’ambito della guerra contro gli Ostrogoti.
Tuttavia, il suo trattamento nei confronti della città era stato estremamente duro, non tanto per sua diretta volontà, quanto per la presenza di truppe mercenarie che si erano lasciate andare ad una incontrollabile violenza.
Di lì a poco, Papa Silverio da Roma rimproverò aspramente Belisario per il comportamento tenuto durante l’assedio. Belisario dovette quindi chiedere perdono, e riparare al danno che aveva compiuto, guidando il ripopolamento di Napoli, ormai ridotta a città fantasma, attraverso lo spostamento di cittadini da Cuma, da Pozzuoli, da Chiaiano, da Trocchia e da Somma.
Napoli, benchè sfinita e distrutta, era comunque ritornata nelle mani dei Bizantini e la regione della Campania, messa al sicuro, costituì la base per la successiva operazione militare di Belisario: l’assedio di Roma.