Si svela al mondo poco a poco la storia misteriosa dei Giganti di Mont’è Prama, il suggestivo gruppo scultoreo di colossali figure pre-romane scoperte nel 1974 nella Sardegna occidentale, grazie all’ultima campagna di scavi avviata dalla Soprintendenza archeologica di Cagliari e Oristano solo il 4 aprile scorso e che ha riportato alla luce altre due unità dalla necropoli nuragica.
“Siamo particolarmente soddisfatti dei primi esiti dell’intervento di scavo archeologico che, per l’unicità del sito in Sardegna e nel Mediterraneo, ha richiesto un intenso lavoro di preparazione scientifica e tecnica”. Esordisce così l’ing. Monica Stochino, Soprintendente Archeologia, belle arti e paesaggio per la Città Metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna commentando oggi il ritrovamento di torsi e altri frammenti di due statue, identificate come “pugilatori”, del tutto simili e riconducibili alle due sculture note come i Giganti di Mont’e Prama, rinvenute nel Sinis nel 2014 ed oggi conosciute in tutto il mondo ed esposte nel Museo civico di Cabras.
“La ricerca è stata indirizzata su due principali obiettivi – ha spiegato la sovrintendente Stochino – da un lato indagare alcuni gruppi di sepolture della fase più antica, nuragiche, e successive punico-romane, per reperire le informazioni scientifiche indispensabili ad una ricostruzione del mondo in cui si svilupparono i fenomeni culturali che portarono alla creazione del sito; dall’altro estendere gli scavi a sud delle aree già indagate, nell’intento di confermare l’estensione della sistemazione monumentale dell’area con la definizione della strada funeraria e la creazione del complesso scultoreo formato da statue, modelli di nuraghe e betili”.
“L’emozione e l’entusiasmo di tutti noi è grande anche per la conferma che il metodo proposto di esplorazione progressiva per sondaggi preliminari e indagine sistematica, affiancata da conseguenti interventi di restauro e coordinati progetti allestitivi, è certamente vincente ed in grado di rendere fruibile in tempi ragionevoli un patrimonio unico che la Fondazione Mont’e Prama saprà valorizzare per le finalità culturali e per promozione di un territorio di eccellenza anche sotto il profilo ambientale”.
“Si è trattato di un lavoro di squadra – ha sottolineato la sovrintendente – che ha visto coinvolta una équipe multidisciplinare di esperti, tutti funzionari del Ministero della cultura: gli archeologi Alessandro Usai e Maura Vargiu, l’antropologa Francesca Candilio, Georgia Toreno, restauratrice, ed Elena Romoli, architetto e direttore dei lavori” ha concluso.
“La ricerca programmatica dà i suoi frutti: è arrivata la conferma che il metodo funziona perché si tratta di sculture rinvenute alla luce in un tratto non ancora toccato” commenta il funzionario archeologo Alessandro Usai, direttore scientifico dello scavo nel Sinis dal 2014. “Siamo andati a colpo sicuro su un’area riprendendo vecchi scavi e ampliandoli in continuità con quella che noi conosciamo come necropoli nuragica che si sviluppa lungo una strada precisa nel tratto che stiamo indagando”. “In particolare – spiega Usai – i due torsi rinvenuti con lo scudo allungato che assume una forma un po’ avvolgente rispetto al braccio sinistro e che si appiattisce sulla pancia riconducono i ritrovamenti alla categoria dei pugilatori –e aggiunge – si tratta di sculture calcaree la cui pietra proveniva da una cava non molto distante da qui, facile da scolpire ma proprio per questo anche molto fragile”.
“La presenza capillare nel Sinis della civiltà nuragica nell’età del bronzo e del ferro è il presupposto stesso della ricerca che si fonda su una indagine sul Sinis – sottolinea Usai – nell’ambito di questo quadro questa necropoli è unica in Sardegna. Lo scavo qui è una ricerca integrata non solo delle statue ma di tutto ciò che comprende anche scavi di tombe, grazie ai quali viene fuori anche l’aspetto antropologico: ovvero la necessità di definire la cronologia natura e ruolo di queste statue”.
“L’emozione più grande? Senza dubbio vedere qualcosa prendere forma davanti ai tuoi occhi che viene fuori dalla terra. Cose che sapevi essere sepolte lì, ma soprattutto vederle e interrogarle, dalla pietra informe fino a scoprirne lo stato. Ma non solo, anche l’emozione di poterne discuterne con i colleghi in cantiere, nell’attesa di vedere tutto quello che viene fuori. Uno scavo viene vissuto tutti i giorni appassionatamente, anche se annunciato”.