Alboino. Re dei Longobardi

Alboino fu il re dei Longobardi dal 560 al 572 circa. Durante il suo regno i Longobardi terminarono le loro migrazioni stabilendosi in Italia, Alboino conquistò la parte settentrionale della penisola tra il 569 e il 572. Si stabilì in modo duraturo su Italia e Bacino Pannonico, la prima invasione segnò l’inizio di secoli di dominio longobardo, e la seconda e la sua partenza dalla Pannonia pose fine al predominio dei popoli germanici.

Il periodo del regno di Alboino come re in Pannonia dopo la morte di suo padre, Audoin, fu un periodo di confronto e conflitto tra i Longobardi e i loro principali vicini, i Gepidi. I Gepidi presero inizialmente il sopravvento, ma nel 567, grazie alla sua alleanza con gli Avari, Alboino inflisse una sconfitta decisiva ai suoi nemici, le cui terre furono successivamente occupate dagli Avari. Il crescente potere dei suoi nuovi vicini causò tuttavia un certo disagio ad Alboino, che decise quindi di lasciare la Pannonia per l’Italia, sperando di approfittare della vulnerabilità dell’Impero bizantino nella difesa del proprio territorio sulla scia della guerra gotica.

Dopo aver raccolto una numerosa coalizione di popoli, Alboino nel 568 attraversò le Alpi Giulie, entrando in un’Italia quasi indifesa. Prese rapidamente il controllo di gran parte del Veneto e della Liguria. Nel 569, incontrastato, conquistò la principale città del nord Italia, Milano. Pavia oppose però una dura resistenza e fu presa solo dopo un assedio durato tre anni. Durante quel periodo Alboin rivolse la sua attenzione alla Toscana, ma iniziarono a manifestarsi sempre più segni di ribellione tra i suoi sostenitori e il controllo di Alboino sul suo esercito iniziò a diminuire.

Alboino fu assassinato il 28 giugno 572, in un colpo di stato istigato dai bizantini. Fu organizzato dal fratello adottivo del re, Helmichis, con il sostegno della moglie di Alboino, Rosamunda, figlia del re Gepide che Alboino aveva ucciso alcuni anni prima. Il colpo di stato fallì di fronte all’opposizione della maggioranza dei Longobardi, che elesse Clefi come successore di Alboino, costringendo il nobile Elmichi e Rosamunda a fuggire a Ravenna sotto la protezione imperiale. La morte di Alboino privò i Longobardi dell’unico condottiero che avrebbe potuto tenere unita la neonata entità germanica, l’ultimo della stirpe di re-eroi che avevano guidato i Longobardi nelle loro migrazioni dalla valle dell’Elba per l’Italia. Per molti secoli dopo la sua morte l’eroismo di Alboino e il suo successo in battaglia furono celebrati nella poesia epica sassone e bavarese.

La salita di Alboino

I Longobardi sotto il re Vacone emigrarono verso l’est della Pannonia, approfittando delle difficoltà in cui versava il Regno Ostrogoto in Italia in seguito alla morte del suo fondatore, Teodorico, nel 526. La morte di Vacone nel 540 circa portò al trono suo figlio Walthari, ma, poiché quest’ultimo era ancora minorenne, il regno fu guidato in sua vece dal padre di Alboino, Audoino, del clan Gausiano. Sette anni dopo Walthari morì, dando ad Audoino l’opportunità di incoronarsi e rovesciare i Letingi.

Alboino nacque probabilmente nel 530 in Pannonia, figlio di Audoino e di sua moglie Rodelinda. Come suo padre, Alboino fu allevato come pagano, anche se Audoino a un certo punto aveva tentato di ottenere il sostegno bizantino contro i suoi vicini professandosi cristiano. Alboino prese come prima moglie la cristiana Clodosvinta, figlia del re franco Clotario. Questo matrimonio, che ebbe luogo subito dopo la morte del sovrano franco, questo pare sia dovuto alla decisione di Audoino di prendere le distanze dai Bizantini, tradizionali alleati dei Longobardi, che erano stati tiepidi quando si trattava di sostenere Audoino contro i Gepidi. La nuova alleanza franca era importante a causa della nota ostilità dei Franchi nei confronti dell’impero bizantino, fornendo ai Longobardi più di un’opzione. Tuttavia, la Prosopografia del Tardo Impero Romano interpreta eventi e fonti in modo diverso, ritenendo che Alboino sposò Clodosvinta quando era già re nel 561 o poco prima, anno della morte di Clotario.

Alboino si distinse per la prima volta sul campo di battaglia in uno scontro con i Gepidi. Nella battaglia di Asfeld (552), uccise Turismod, figlio del re Gepide Thurisind , in una vittoria che portò all’intervento dell’imperatore Giustiniano per mantenere l’equilibrio tra le potenze regionali rivali. Dopo la battaglia, secondo una tradizione riportata da Paolo Diacono, per avere il diritto di sedere alla tavola del padre, Alboino dovette chiedere l’ospitalità di un re straniero e donare le sue armi, come era consuetudine. Per questa iniziazione si recò alla corte di Turisindo. Walter Goffart ritiene probabile che in questa narrazione Paolo stesse facendo uso di una tradizione orale, ed è scettico sul fatto che possa essere liquidato semplicemente come un tipico topos di un poema epico.

Il regno di Alboino in Pannonia

Alboino salì al trono dopo la morte del padre, tra il 560 e il 565. Come era consuetudine tra i Longobardi, Alboino prese la corona dopo un’elezione da parte degli uomini liberi della tribù, che tradizionalmente sceglievano il re dal clan del sovrano defunto. Poco dopo, nel 565, scoppiò una nuova guerra con i Gepidi, ora guidati da Cunimundo, figlio di Thurisind. La causa del conflitto è incerta, poiché le fonti sono divise, il longobardo Paolo Diacono accusa i Gepidi, mentre lo storico bizantino Menandro Protettore attribuisce la colpa ad Alboino, interpretazione favorita dallo storico Walter Pohl.

Un resoconto della guerra del bizantino Teofilatto Simocatta sentimentalizza le ragioni del conflitto, sostenendo che ebbe origine dal vano corteggiamento di Alboino e dal successivo rapimento della figlia di Cunimundo, Rosamunda, che Alboino sposò. Il racconto è trattato con scetticismo da Walter Goffart, il quale osserva che è in conflitto con l’Origo Gentis Langobardorum, dove si indica che fu catturata solo dopo la morte del padre. I Gepidi ottennero il sostegno dell’Imperatore in cambio della promessa di cedergli la regione di Sirmio, sede dei re Gepidi. Così nel 565 o 566 il successore di Giustiniano Giustino II inviò suo genero Baduario come magister militum (comandante sul campo) per guidare un esercito bizantino contro Alboino a sostegno di Cunimundo, portando alla completa sconfitta dei Longobardi.

Di fronte alla possibilità dell’annientamento, Alboino strinse un’alleanza nel 566 con gli Avari sotto Bayan I, dovendo accettare alcune dure condizioni: gli Avari pretesero un decimo del bestiame dei Longobardi, metà del bottino di guerra e alla fine della guerra tutte le terre detenute dai Gepidi. I Longobardi giocarono sulla preesistente ostilità tra Avari e Bizantini, sostenendo che questi ultimi fossero alleati dei Gepidi. Cunimundo, d’altra parte, incontrò ostilità quando chiese ancora una volta l’assistenza militare all’imperatore, poiché i bizantini erano stati irritati dal fallimento dei Gepidi nel cedere loro Sirmio, come era stato concordato. Inoltre, Giustino II si stava allontanando dalla politica estera di Giustiniano e credeva di trattare in modo più rigoroso con stati e popoli confinanti. I tentativi di placare Giustino II con i tributi fallirono e, di conseguenza, i bizantini si mantennero neutrali se non addirittura favorevoli agli Avari.

Nel 567 gli alleati fecero la loro mossa finale contro Cunimudo, mentre Alboino invadeva le terre dei Gepidi da nord-ovest, Bayan attaccava da nord-est. Cunimundo tentò di impedire ai due eserciti di unirsi muovendosi contro i Longobardi e scontrandosi con Alboino vicino i fiumi Tibisco e Danubio. I Gepidi furono sconfitti nella battaglia che ne seguì, il loro re ucciso da Alboino e la figlia di Cunimundo, Rosamunda presa prigioniera, secondo quanto riportato nell’Origo. La completa distruzione del regno dei Gepidi fu completata dagli Avari, che sconfissero i Gepidi a est. Di conseguenza, i Gepidi cessarono di esistere come popolo indipendente e furono in parte assorbiti dai Longobardi e dagli Avari.

Qualche tempo prima del 568, la prima moglie di Alboino, Clodosvinta, morì e, dopo la sua vittoria contro Cunimundo, Alboino sposò Rosamunda, per stabilire un legame con i restanti Gepidi. La guerra segnò anche uno spartiacque nella storia geopolitica della regione, in quanto, insieme alla migrazione longobarda dell’anno successivo, segnò la fine di sei secoli di dominio germanico nel bacino pannonico.

La marcia verso la Pannonia

Nonostante il suo successo contro i Gepidi, Alboino non era riuscito ad aumentare il suo potere, e ora si trovava di fronte a una minaccia molto più forte da parte degli Avari. Gli storici considerano questo il fattore decisivo che avrebbe convinto Alboino a intraprendere una migrazione, anche se vi sono indicazioni che prima della guerra con i Gepidi stesse maturando la decisione di partire per l’Italia, paese che migliaia di Longobardi avevano visto negli anni Cinquanta quando vennero assoldati dai bizantini per combattere nella guerra gotica. Inoltre, i Longobardi avrebbero saputo della debolezza dell’Italia bizantina, che aveva sopportato una serie di problemi dopo essere stata riconquistata dai Goti. In particolare la cosiddetta Peste di Giustiniano aveva devastato la regione e il conflitto rimase endemico. Tuttavia, i Longobardi vedevano l’Italia come una terra ricca che prometteva grandi bottini, beni di cui Alboino si serviva per radunare un’orda che comprendeva non solo Longobardi ma molti altri popoli della regione, tra cui Eruli, Suebi, Gepidi, Turingi, Bulgari, Sarmati, i restanti romani e alcuni Ostrogoti. Ma il gruppo più importante, oltre ai Longobardi, erano i Sassoni, di cui 20.000 guerrieri maschi con le loro famiglie parteciparono al viaggio.

La migrazione longobarda ebbe inizio il lunedì di Pasqua, 2 aprile 568. La scelta di unire la partenza a una festa cristiana può essere compresa nel contesto della recente conversione di Alboino al cristianesimo ariano, come attestato dalla presenza di missionari goti ariani alla sua corte. È probabile che la conversione sia stata motivata principalmente da considerazioni politiche, e intesa a consolidare la coesione della migrazione, distinguendo i migranti dai romani cattolici. Inoltre collegò Alboino e il suo popolo all’eredità gotica, ottenendo così l’appoggio degli Ostrogoti che prestavano servizio nell’esercito bizantino come federati. È stato ipotizzato che la migrazione di Alboino possa essere stata in parte il risultato di una chiamata degli Ostrogoti sopravvissuti in Italia.

Fondazione del Ducato del Friuli 

I Longobardi penetrarono in Italia senza incontrare alcuna resistenza da parte delle truppe di frontiera. Le risorse militari bizantine disponibili sul posto erano scarse e di dubbia lealtà, ed è possibile che i forti di confine fossero rimasti senza equipaggio. Quello che sembra certo è che gli scavi archeologici non hanno trovato alcun segno di scontro violento nei siti che sono stati scavati. Ciò concorda con il racconto di Paolo Diacono, che parla di una conquista lombarda in Friuli “senza alcun impedimento”.

Il primo centro a cadere nelle mani dei Longobardi fu Forum Iulii (Cividale del Friuli), sede del locale magister militum. Alboino scelse questa città murata a ridosso del confine come capitale del Ducato del Friuli e nominò suo nipote e scudiero Gisulfo duca della regione, con il compito specifico di difendere i confini dagli attacchi bizantini o avari dalle est.

Conquista di Milano

Da Forum Iulii, Alboino raggiunse successivamente Aquileia, il nodo più importante del nord-est, e capitale amministrativa del Veneto. L’imminente arrivo dei Longobardi ebbe un notevole impatto sulla popolazione della città, il Patriarca di Aquileia Paolino fuggì con il suo clero e si riversò nell’isola di Grado in territorio bizantino.

Da Aquileia Alboino prese la via Postumia e attraversò il Veneto, conquistando in rapida successione Tarvisium (Treviso), Vicentia (Vicenza), Verona, Brixia ( Brescia ) e Bergomum (Bergamo). I Longobardi incontrarono difficoltà solo nella presa di Opitergium (Oderzo), che Alboino decise di evitare, così come evitò di affrontare sulla via Annia i principali centri veneti più vicini alla costa, come Altinum, Patavium (Padova), Mons Silicis (Monselice), Mantova e Cremona. L’invasione del Veneto generò un notevole livello di tumulto, spingendo ondate di profughi dall’interno controllato dai longobardi alla costa controllata dai bizantini, spesso guidati dai loro vescovi, e risultando in nuovi insediamenti come Torcello ed Heraclia.

Alboino si spostò verso ovest nella sua marcia, invadendo la regione della Liguria e raggiungendo Mediolanum ( Milano ) il 3 settembre 569, solo per trovarla già abbandonata dal vicarius Italiae, l’autorità affidata con l’amministrazione della diocesi d’Italia Annonariana. L’arcivescovo Honoratus, il suo clero e parte dei laici accompagnarono il vicarius Italiae a trovare un rifugio sicuro nel porto bizantino di Genua (Genova).

Assedio di Ticinum

Il primo caso attestato di forte resistenza alla migrazione di Alboino avvenne presso la città di Ticinum (Pavia), che iniziò ad assediare nel 569 e catturò solo dopo tre anni. La città era di importanza strategica, situata alla confluenza dei fiumi Po e Ticino e collegata da corsi d’acqua a Ravenna, capitale dell’Italia bizantina e sede della prefettura pretoriana d’Italia. La sua caduta interruppe le comunicazioni dirette tra le guarnigioni di stanza sulle Alpi Marittime e la costa adriatica.

Le storie e le leggende

Il banchetto fatale dipinto da Peter Paul Rubens nel 1615
Il banchetto fatale dipinto da Peter Paul Rubens nel 1615

Ticinum alla fine cadde in mano ai Longobardi nel maggio o nel giugno 572. Alboino aveva nel frattempo scelto Verona come sua sede, stabilendo se stesso e il suo tesoro in un palazzo reale costruito lì da Teodorico. Questa scelta potrebbe essere stata un altro tentativo di legarsi al re gotico.

Fu in questo palazzo che Alboino fu ucciso il 28 giugno 572. Nel racconto di Paolo Diacono, il racconto più dettagliato sulla morte di Alboino, storia e saga si intrecciano quasi indissolubilmente. Antecedente e più breve è la storia raccontata da Mario di Aventicum nella sua Chronica, scritta circa un decennio dopo l’assassinio di Alboino. Secondo la sua versione il re fu ucciso in una congiura da un uomo a lui vicino, chiamato Hilmegis, con la connivenza della regina. Helmichis poi sposò la vedova, ma i due furono costretti a fuggire nella Ravenna bizantina, portando con sé il tesoro reale e parte dell’esercito, il che fa pensare alla collaborazione di Bisanzio. Ruggero Collins descrive Mario come una fonte particolarmente affidabile.

Elementi presenti nel racconto di Mario trovano eco nella Historia Langobardorum di Paolo, che contiene anche tratti distintivi. Uno degli aspetti più noti non disponibili in nessun’altra fonte è quello della coppa cranica. In Paolo si svolgono a Verona le vicende che portarono alla caduta di Alboino. Durante una grande festa, Alboino si ubriaca e ordina a sua moglie Rosamunda di bere dalla sua coppa, ricavata dal cranio di suo suocero Cunimundo dopo che lo aveva ucciso nel 567 e aveva sposato Rosamunda. Alboino “la invitò a bere allegramente con suo padre”. Questo ha riacceso la determinazione della regina a vendicare suo padre.

L’episodio è letto in modo radicalmente diverso da Walter Goffart. Secondo lui tutta la vicenda assume un significato allegorico, con Paolo intento a raccontare una storia edificante della caduta dell’eroe e della sua cacciata dalla terra promessa, a causa della sua debolezza umana. In questa storia, la coppa del teschio gioca un ruolo fondamentale in quanto unisce peccato originale e barbarie. Goffart non esclude la possibilità che Paolo avesse davvero visto il teschio, ma ritiene che negli anni Quaranta del 700 fosse già stata stabilita la connessione tra peccato e barbarie, come esemplificato dalla coppa del cranio.

La morte di Alboino

La morte di Alboino ebbe un impatto importante, in quanto privò i Longobardi dell’unico condottiero di cui disponevano che avrebbe potuto tenere unita la neonata entità germanica. La sua fine rappresenta anche la morte dell’ultimo della stirpe di re-eroi che aveva guidato i Longobardi attraverso le loro migrazioni dall’Elba all’Italia. La sua fama gli è sopravvissuta per molti secoli nella poesia epica, con sassoni e bavaresi che celebravano la sua abilità in battaglia, il suo eroismo e le proprietà magiche delle sue armi.