Seconda guerra punica

La seconda guerra punica che durò dal 218 al 201 a. C, fu la seconda delle tre guerre combattute tra Cartagine e Roma, le due principali potenze del Mediterraneo Occidentale nel mondo antico. Per 17 anni le due nazioni lottarono per la supremazia del Mediterraneo: gli scontri si concentrarono prevalentemente nella penisola italica, in Spagna, nelle isole di Sicilia e Sardegna, nella zona della Grecia e nella parte finale della guerra, in Nord Africa. 

Nel 219 a. C Annibale assediò, catturò e saccheggiò la città filoromana di Sagunto, il che equivalse ad una dichiarazione di guerra contro Roma. Annibale sorprese i romani compiendo una traversata con il suo esercito per tutta l’Europa, superando le Gallie e valicando le Alpi fino alla provincia della Gallia Cisalpina. In una prima fase, Annibale ottenne delle schiaccianti vittorie nella battaglia del Ticino, del fiume Trebbia e del Lago Trasimeno. Arrivato fino all’Italia meridionale, Annibale sconfisse nella battaglia di Canne il più grande esercito che Roma fu mai in grado di schierare. 

Dopo la morte e la cattura di oltre 120 mila truppe romane in meno di 2 anni, molti degli alleati italici di Roma, in particolare la potente città di Capua, disertarono in favore di Cartagine, concedendo ad Annibale il controllo su gran parte dell’Italia meridionale. 

Il conflitto si allargò e divenne ancora più grave per Roma quando Siracusa e la Macedonia si unirono alla guerra dalla parte dei cartaginesi, sull’onda della vittoria annibalica a Canne. 

I romani presero dei provvedimenti drastici per arruolare delle nuove legioni, arrivando ad utilizzare anche schiavi e criminali di guerra, aumentando in maniera straordinaria il numero di uomini sotto le armi. Per tutto il decennio successivo, Roma proseguì con la guerra nell’Italia meridionale, ottenendo delle graduali rivincite e riconquistando uno dopo l’altro i principali centri abitati del territorio. Nel 211 a. C, i romani passarono alla controffensiva combattendo in Spagna: nel 209 a. C, il nuovo comandante romano, Publio Cornelio Scipione, fu in grado di conquistare Cartago Nova, la capitale dei cartaginesi in Spagna. 

Nel 208 a. C Scipione affrontò Asdrubale, il fratello di Annibale, in Spagna, nella battaglia di Ilipa: dopo essere stato sconfitto, Asdrubale sfuggì alle truppe di Scipione e, percorrendo lo stesso tratto di Annibale, raggiunse l’Italia, cercando di congiungersi con il fratello e marciare insieme su Roma. L’esercito di Asdrubale venne tuttavia intercettato e annientato nella battaglia del Metauro. 

Con la vittoria di Ilipa nel 206, Scipione pose fine alla presenza cartaginese in Spagna. Su iniziativa personale dello stesso Scipione, la guerra venne portata nell’Africa del Nord costringendo il Senato cartaginese a richiamare l’esercito di Annibale dall’Italia. Lo scontro finale tra Scipione e Annibale si tenne nella battaglia di Zama nel 202 a. C e, nonostante una battaglia magistrale da parte di Annibale, lo scontro si concluse con la piena vittoria romana. 

Roma impose un trattato di pace ai cartaginesi che li privava di tutti i loro territori d’Oltremare e di alcuni vasti possedimenti nell’Africa. Cartagine venne costretta a pagare un’indennità di diecimila talenti di argento che doveva essere versata nel corso dei successivi 50 anni. A Cartagine era proibito dichiarare guerra al di fuori dell’Africa senza l’espresso consenso di Roma. 

Da allora, Cartagine rimase come una modesta potenza regionale, che non avrebbe mai più raggiunto il potere che aveva accumulato nei secoli precedenti. 

Le fonti primarie sulla seconda guerra punica

La principale fonte da cui attingiamo per quasi ogni aspetto relativo alle guerre puniche è lo storico Polibio, un greco inviato a Roma nel 167 a. C come ostaggio: tutte le sue opere includono un manuale ormai perduto sulle tattiche militari e le storie. L’opera di Polibio viene considerata ampiamente oggettiva e largamente neutrale sia dal punto di vista cartaginese che romano. Polibio era un ottimo storico, dotato di elevate capacità di analisi che, laddove possibile, intervistava personalmente i testimoni oculari e che scriveva con particolare precisione. 

L’accuratezza del resoconto di Polibio è stata molto dibattuta negli ultimi anni, ma la gran parte del mondo accademico accetta il contenuto del racconto e i dettagli della guerra. Gran parte del resoconto di Polibio relativo alla seconda guerra punica è in realtà inesistente o sopravvive solamente in forma frammentaria. Sappiamo quindi molto della seconda guerra punica facendo affidamento sullo storico romano Tito Livio, che attingeva regolarmente alle opere originali di Polibio. 

Eccetto Polibio e Tito Livio, le altre fonti sulla seconda guerra punica sono il greco Diodoro Siculo e successivi storici romani Plutarco, Appiano e Dione Cassio, che tuttavia scrivono parecchi secoli dopo gli avvenimenti. 

Mappa Cornice dorata
Mappa: l’impero romano alla massima espansione

La situazione Geopolitica allo scoppio della guerra

La repubblica romana si stava espandendo molto velocemente nella penisola italica arrivando a conquistare tutta l’Italia peninsulare a sud del fiume Arno. Dopo aver ottenuto la vittoria contro le città greche dell’Italia meridionale alleate di Pirro, gli interessi di Roma andarono inevitabilmente a collidere con quelli di Cartagine, la quale dominava la Spagna meridionale, gran parte delle regioni costiere del Nordafrica, le isole Baleari, la Corsica, la Sardegna e la metà occidentale della Sicilia. 

In realtà i rapporti tra Roma e Cartagine erano stati molto buoni, dal momento che nei secoli precedenti erano stati stipulati più volte dei trattati di non belligeranza e di reciproco aiuto.  Secondo diversi storici, il motivo fondamentale dello scoppio della guerra tra Roma e Cartagine è da ricercarsi in un cambiamento di politica estera da parte dei romani, i quali assunsero un atteggiamento tipicamente espansionistico dopo aver ottenuto il controllo sull’Italia meridionale. 

Fu la città indipendente di Messina ad offrire il casus belli per lo scoppio della guerra: la città aveva chiesto aiuto sia ai cartaginesi che ai romani per combattere le scorribande dei Mamertini, dei briganti di origine Campana, e il Mediterraneo era stato scosso dalla prima guerra punica, un conflitto durato 23 anni che terminò nel 241 a. C con la piena sconfitta dei cartaginesi.  

Roma conquistò la Sicilia, che divenne la prima provincia ufficiale, e poi fu in grado, approfittando di una serie di ribellioni che avevano coinvolto Cartagine, di conquistare anche la Sardegna cartaginese e la Corsica nel 238 a. C 

L’espansionismo cartaginese in Spagna e l’assedio di Sagunto. 

In quel periodo il generale più influente di Cartagine era Amilcare Barca: Amilcare capì che Cartagine aveva bisogno di rafforzare la sua base economica e militare per affrontare nuovamente Roma. Per questo motivo, avviò una lunga serie di campagne militari per creare uno Stato autonomo, quasi monarchico, nella Spagna meridionale ed orientale.  

Grazie al controllo di miniere d’argento, di una notevole ricchezza agricola e dell’abbondante manodopera ispanica, Cartagine fu rapidamente in grado di risollevarsi dalla sconfitta nella prima guerra punica e di consolidare una base nell’Europa continentale. 

I romani si accorsero dell’espansionismo di Cartagine tanto che nel 226 a. C venne concordato tra Roma e Cartagine il cosiddetto ” trattato dell’Ebro ” che impegnava i cartaginesi a non superare in armi il fiume Ebro, stabilendo un confine settentrionale che fungeva da limite alla sfera di influenza cartaginese. 

A margine del trattato, i romani conclusero un accordo con la città di Sagunto, situata molto più a sud rispetto al fiume Ebro, che venne tuttavia dichiarata ” amica del popolo romano “.  Probabilmente, i romani strinsero questo accordo per avere un avamposto all’interno dei possedimenti cartaginesi. 

Nel 219 a. C, Annibale, figlio di Amilcare, dopo aver compiuto un solenne giuramento di vendetta nei confronti di Roma, assediò, catturò e saccheggiò la città di Sagunto, come esplicita dichiarazione di guerra nei confronti di Roma.  In teoria i romani non avrebbero avuto la possibilità di reclamare alcun diritto su Sagunto, proprio in virtù del trattato che avevano firmato precedentemente, ma la provocazione di Annibale aveva un significato politico inequivocabile. 

I romani si prepararono alla guerra: i generali di Roma credevano che la seconda guerra punica sarebbe stata una sorta di riedizione della prima e che lo scontro si sarebbe concentrato prevalentemente in mare.  Ma Annibale, comprendendo che questo approccio l’avrebbe portato quasi certamente alla sconfitta, concepì una delle operazioni militari più rischiose e leggendarie della storia. 

La traversata delle Alpi da parte di Annibale

Nel 218 a. C vi furono alcune scaramucce navali nelle acque intorno alla Sicilia. I romani furono in grado di respingere un attacco cartaginese e di conquistare l’isola di Malta.  

Nel frattempo, nella Gallia Cisalpina, l’odierna Italia settentrionale, le principali tribù galliche attaccarono le colonie romane costringendo gli abitanti a fuggire e ad asserragliarsi presso l’odierna Modena, dove furono assediati. I romani inviarono un esercito di soccorso per spezzare l’assedio, ma i legionari caddero in una imboscata e furono assediati a loro volta. Il Senato romano impiegò quindi una legione a pieni ranghi, che venne inviata nel nord Italia per risolvere la situazione.  

La raccolta di nuove truppe per sostituire i soldati che erano andati a combattere nel nord Italia ritardò i preparativi per la guerra. I romani tuttavia giudicarono la situazione gestibile, dal momento che non si aspettavano le mosse di Annibale. 

Quest’ultimo radunò l’esercito cartaginese presso la città di nuova Cartagine, l’odierna Cartagena, e  lo condusse verso nord, lungo la costa iberica, attorno al mese di maggio o giugno 218 a.C. Entrò in Gallia e prese una via Interna per evitare gli alleati romani, sconfiggendo nel frattempo la tribù gallica dei Volci che cercava di sbarrargli la strada.

Nel frattempo, una flotta romana che trasportava l’esercito iberico sbarcò a Marsiglia, alla foce del Rodano ma Annibale fu in grado di sfuggire alla loro vista, tanto che i soldati continuarono verso la Spagna. 

Annibale riuscì a proseguire indisturbato la sua traversata, raggiungendo i piedi delle Alpi nel tardo autunno: con il suo esercito riuscì ad attraversare la catena montuosa, superando le enormi difficoltà del clima e del terreno, oltre a sopportare alcuni attacchi di guerriglia da parte delle tribù indigene. Dopo uno sforzo sovrumano, che entrò nella storia, Annibale sbucò con 20.000 fanti, 6.000 Cavalieri e un numero non meglio precisato di elefanti nella Gallia Cisalpina, odierno nord Italia. 

In quel momento i romani erano ancora accampati nei loro quartieri invernali e il suo ingresso a sorpresa nella parte settentrionale della penisola italiana portò alla cancellazione della campagna pianificata da Roma per l’anno successivo. 

Le prime vittorie di Annibale in Italia: Ticino, Trebbia e Lago Trasimeno 

I cartaginesi conquistarono immediatamente il capoluogo dei taurini, l’odierna Torino, e il loro esercito sconfisse la cavalleria e la fanteria leggera dei romani che diedero una prima battaglia all’avversario cartaginese presso il fiume Ticino, alla fine di novembre. La maggior parte delle tribù galliche, che da tempo combattevano contro i romani e mal sopportavano la loro presenza fin nel nord Italia, si dichiararono immediatamente a favore della causa cartaginese e l’esercito di Annibale si accrebbe fino a superare i 40 mila uomini. 

Il Senato romano diede immediatamente ordine al console Sempronio Longo di riportare il suo esercito dalla Sicilia, dove si stava preparando per l’invasione dell’Africa, per raggiungere il nord Italia e affrontare direttamente Annibale. I soldati sfilarono per la città di Roma, rassicurando la popolazione promettendo che avrebbero ottenuto una vittoria decisiva. 

Sempronio Longo, venne affiancato da Publio Cornelio Scipione, l’omonimo padre di quello che sarà Scipione l’Africano: la loro visione dell’avversario era radicalmente diversa. Mentre Cornelio Scipione, che aveva già combattuto contro Annibale al Ticino, riteneva l’avversario estremamente pericoloso, Longo riteneva di poter vincere con la sua semplice superiorità numerica.  

Si giunse così alla Battaglia della Trebbia: i cartaginesi, con una manovra magistrale oltre che con un’imboscata di cui i romani non avevano minimamente sospettato l’esistenza, circondarono gli avversari e solo 10.000 dei 42.000 legionari riuscirono a farsi strada verso la salvezza. 

In questo modo Annibale divenne padrone dell’Italia settentrionale e fece svernare le sue truppe con la collaborazione delle tribù galliche. Il suo esercito, che attirava sempre più alleati, arrivò a sessantamila uomini. 

Quando la notizia della sconfitta subita alla Trebbia raggiunse Roma, si scatenò il panico tra la popolazione. Ma Sempronio, una volta giunto in città, riuscì a calmare gli animi e ad avviare le elezioni per i consoli dell’anno successivo. I consoli eletti rifiutarono ulteriori legioni, sfruttando sia i cittadini romani che i latini alleati.  

La Sardegna e la Sicilia vennero dotate di nuovi contingenti per prevenire possibili incursioni o invasioni cartaginesi via Mare, e anche la strategica città di Taranto venne rafforzata con presidi militari. I romani costruirono una flotta di 60 quinqueremi, per mantenere il controllo del mare, e stabilirono depositi di rifornimenti presso le città di Rimini ed Arezzo, in preparazione di una marcia verso nord nel corso dello stesso anno.  

Vennero così costituiti due eserciti formati da quattro legioni ciascuno, con abbondanti contingenti di cavalleria. Il primo esercito era di stanza ad Arezzo, mentre l’altro fu posizionato sulla Costa Adriatica: l’obiettivo dei due eserciti era quello di bloccare la possibilità avanzata di Annibale verso l’Italia centrale, isolando il nemico nella Gallia Cisalpina per poi batterlo sul campo. 

All’inizio della Primavera del 217 a. C, i cartaginesi, nonostante le contromisure romane, furono in grado di attraversare l’Appennino, seguendo dei percorsi difficili ma incustoditi. Annibale tentò immediatamente di trascinare il principale esercito romano, questa volta sotto il controllo del generale Gaio Flaminio, in una nuova battaglia campale, devastando l’area e colpendo la popolazione per stimolare l’avversario a reagire.  

Annibale iniziò poi a superare gli avamposti romani a scappare verso la parte più centrale dell’Italia, il che portò Flaminio ad un frettoloso inseguimento, senza procedere ad un’adeguata ricognizione del territorio. 

Annibale tese all’avversario la peggiore imboscata della storia e nella battaglia del Lago Trasimeno devastò completamente l’esercito romano, uccidendo quindicimila uomini, incluso Gaio Flaminio, che morì sul campo di battaglia.  

Annibale fu in grado anche di catturare 10.000 prigionieri. Anche una residua forza di cavalleria, composta da 4.000 unità, fu annientata dal generale cartaginese. 

Particolare fu il trattamento che Annibale decise di riservare ai catturati: se si trattava di romani, questi venivano maltrattati. Mentre gli alleati Latini furono trattati con dei buoni riguardi, spesso liberati e rimandati nelle loro città di origine, per diffondere la convinzione che i cartaginesi erano imbattibili sul campo di battaglia, ma anche molto più benevoli rispetto ai romani. 

La strategia di Annibale si basava sulla convinzione che i diversi municipi romani si sarebbero smarcati dall’alleanza con Roma e sarebbero passati regolarmente dalla parte dei cartaginesi, continuando ad ingrandire il suo esercito. 

I cartaginesi, al massimo della loro potenza, marciarono attraverso l’Etruria e l’Umbria fino a raggiungere la costa Adriatica: dopodiché Annibale scelse di svoltare a Sud, in Puglia, nella speranza di conquistare le ricche città stato di formazione greca ed Italica dell’Italia meridionale. 

La battaglia di Canne: la più grande sconfitta romana 

La notizia della sconfitta causò il panico completo a Roma. Come non avveniva da diversi anni, venne eletto un dittatore, Quinto Fabio Massimo e la strategia romana, dopo essere stata particolarmente aggressiva, cambiò radicalmente. 

La “Strategia Fabiana ” consisteva nell’evitare le battaglie campali, che i romani ora sapevano di non poter vincere, e di affidarsi ad una guerra di logoramento, dove Annibale sarebbe stato puntualmente inseguito e i suoi rifornimenti tagliati. Almeno fino a quando Roma non sarebbe stata in grado di mettere insieme un nuovo potente esercito. 

Così, Annibale fu lasciato libero di devastare la Puglia e di raccogliere i raccolti per l’anno successivo. Questa tecnica faceva particolarmente arrabbiare ed infuriare i romani, tanto più che il suo promotore, Fabio Massimo, non era particolarmente popolare tra i soldati né tra l’aristocrazia romana.  

Nella concezione dell’antica Roma, evitare la battaglia e permettere che il nemico devastasse i territori era quantomeno inaccettabile. Annibale marciò indisturbato attraverso le più ricche province del Sud Italia, sperando che anche Fabio Massimo decidesse di attaccarlo, ma quest’ultimo si rifiutò. 

Il popolo romano cominciò a deridere Fabio Massimo, chiamandolo in segno di disprezzo “Temporeggiatore ” tanto che nelle elezioni del 216 a. C, furono eletti come nuovi consoli Gaio Terenzio Varrone, che sosteneva di perseguire una strategia più aggressiva e Lucio Emilio Paolo, più moderato, che voleva posizionare la propria strategia a metà fra quella di Fabio e quella di Varrone. 

Nella primavera del 216 a. C, Annibale occupò un grande deposito di rifornimenti presso Canne, nella Pianura pugliese. Il Senato romano, sbilanciandosi dalla parte di Varrone, autorizzò la formazione del più grosso esercito che Roma fu mai in grado di mettere in campo. Una forza di 86.000 uomini, venne dislocata ed attrezzata per attaccare Annibale.  

Paolo e Varrone marciarono verso sud per affrontare l’avversario e si accamparono a circa 10 chilometri di distanza dal suo accampamento. Annibale accettò la battaglia in aperta pianura, in netta inferiorità numerica.  

Le legioni romane si fecero strada, spingendo contro il centro dello schieramento di Annibale, che iniziò a retrocedere.  

Ma la presunta debolezza e il retrocedere dei soldati di Annibale erano calcolati: in realtà i romani, continuando a spingere, si infilarono all’interno di una trappola, e al momento opportuno, due contingenti di soldati africani, che erano stati posizionati sui fianchi ed erano rimasti invisibili fino a quel momento, ruotarono su loro stessi per circondare i romani.  

Nel frattempo, l’ala sinistra della cavalleria di Annibale aveva attaccato e vinto quella di Emilio Paolo, che morì sul campo di battaglia, aveva compiuto un giro, attraversando tutto il retro del campo di battaglia, prendendo alle spalle la seconda ala di cavalleria romana per poi convergere sul retro della fanteria, che si ritrovò completamente accerchiata. 

La fanteria romana, senza nessuna possibilità di fuga, venne annientata. Almeno 67.000 legionari vennero uccisi o catturati.  

Canne è universalmente riconosciuta come il più grande disastro militare della storia romana. 

Inoltre, nel giro di poche settimane, un secondo esercito romano composto da 25000 soldati cadde in una imboscata tesa dalla tribù dei Galli Boi nel nord Italia, nella battaglia della Selva Litana, ed anch’esso fu trucidato. 

La lotta fra Annibale e i romani nell’Italia Meridionale

Non abbiamo informazioni precise sulla situazione italica subito dopo la sconfitta di Canne. I libri di Polibio, la nostra principale fonte sul periodo, sono giunti fino a noi in maniera frammentaria, mentre Tito Livio ci fornisce un racconto più completo, anche se in alcuni aspetti la sua affidabilità potrebbe non essere soddisfacente. 

Sappiamo comunque che diverse città-stato dell’Italia meridionale decisero di allearsi con Annibale: il principale successo del condottiero fu Indubbiamente la conquista della città di Capua, la seconda più grande d’Italia dopo Roma. 

Gli abitanti di Capua, benché dotati di una fazione filoromana, avevano ricevuto la cittadinanza in maniera abbastanza limitata e buona parte dell’aristocrazia mirava a diventare la città più grande e importante al posto di Roma, il che portò il consiglio comunale di Capua alla decisione di allearsi con Annibale.  
 
Nel 214 a. C, la maggior parte dell’Italia meridionale si era resa indipendente da Roma, passando quasi completamente dalla parte dei cartaginesi. 

Ma la situazione per Roma non era del tutto disperata: innanzitutto gli alleati del centro-nord Italia erano rimasti pienamente fedeli ai patti, ed inoltre Annibale si trovò di fronte ad una situazione che non aveva minimamente previsto. I suoi piani si basavano sulla collaborazione delle città, che una volta liberate dal dominio di Roma, sarebbero dovute passare sotto il suo comando, ingrossando costantemente il suo esercito. 
 
Le città italiche, invece , iniziarono a combattere l’una contro l’altra, o a stipulare dei trattati poco sicuri con i cartaginesi, mentre altre rimasero costantemente in dubbio sulla possibilità di tornare il prima possibile dalla parte di Roma, mantenendo continui contatti con il Senato. Vi era anche una profonda lontananza culturale tra gli invasori africani e le tradizioni locali italiche, il che complicava i rapporti e creava una situazione di incertezza generale. 

L’esercito di Annibale, quindi , anziché essere costantemente rifornito di nuove leve prelevate dalle città italiche, fu costretto a lasciare regolarmente contingenti nei centri abitati che venivano conquistati, diminuendo le forze a disposizione. 

Annone, uno dei generali di Annibale, riuscì a radunare delle truppe nel Sannio nel 214 a. C, ma i romani intercettarono i nuovi contingenti appena formati e li eliminarono nella battaglia di Benevento, prima che potessero congiungersi con i cartaginesi. 
 
Annibale ottenne un successo in linea con la sua strategia solamente nel 215 a. C, quando la città Portuale di Locri disertò in favore dei cartaginesi e venne utilizzata per ricevere rifornimenti, soprattutto denaro ed elefanti da guerra, direttamente da Cartagine. Fu l’unica occasione in cui Annibale ottenne degli importanti rinforzi dalla madrepatria. 

Una seconda forza, guidata dal fratello minore Magone, sarebbe dovuta a sbarcare in Italia nel 215 a.C, ma fu dirottata in Iberia dopo una sconfitta navale. 

Nel frattempo i romani presero misure drastiche per reclutare nuove legioni: vennero arruolati persino schiavi e criminali di guerra, persone che normalmente non avrebbero soddisfatto gli standard richiesti. All’inizio del 215 a. C, i romani erano in grado di schierare almeno 12 legioni, mentre entro il 212 a. C, Roma fu in grado di opporre alle forze di Annibale più di centomila uomini, oltre ad un numero uguale di truppe alleate. 

La maggior parte di questi contingenti erano schierati nell’Italia meridionale, in unità da 20.000 uomini ciascuna. Questo numero era insufficiente per sfidare l’esercito di Annibale in campo aperto, ma bastava per ostacolare in maniera importante i suoi movimenti sul territorio. 

I romani presero quindi una serie di graduale rivincite: a 11 anni dalla sconfitta di Canne, il piano di Annibale non si era ancora concretizzato. Quando le città passavano dalla parte dei cartaginesi, i romani le riconquistavano sia con la forza militare sia attraverso i contatti con le fazioni filoromane cittadine per riottenere l’accesso al centro abitato. 

Annibale sconfisse ripetutamente gli eserciti Romani, ma laddove non poteva essere presente di persona, il condottiero cartaginese perdeva terreno.  

Macedonia, Sardegna e Sicilia durante la presenza di Annibale in Italia 

Mentre sul territorio Italico i romani combattevano direttamente contro Annibale, un altro fondamentale scenario della guerra coinvolgeva la Macedonia e isole di Sardegna e di Sicilia. 
 
Durante il 216 a.C, il Re macedone Filippo V promise il suo sostegno ad Annibale: secondo il progetto dei due generali, Roma doveva essere ridotta ad una piccola potenza regionale, ed i cartaginesi avrebbero dominato il Mediterraneo assieme all’alleanza dei Macedoni. Filippo V, diede così inizio alla prima guerra macedone contro Roma. 
 
I Romani, impegnati a fronteggiare il pericolo di Annibale, non potevano correre il rischio di aprire un nuovo fronte di guerra, e così utilizzarono un gioco di alleanze, sfruttando le naturali inimicizie tra le città balcaniche e stringendo dei patti con la lega etolica, una coalizione antimacedone di città stato greche, per impegnare Filippo V ed evitare un suo diretto coinvolgimento nella guerra punica. 
 
L’obiettivo dei romani venne completamente raggiunto: Filippo V non fu in grado di fornire un aiuto sostanziale ad Annibale, e nel corso degli anni successivi si arrivò ad una pace negoziata, che in quel momento favoriva particolarmente la delicata situazione dei romani. 

La Sardegna, che mal sopportava la presenza dei romani sul territorio, si ribellò nel 213 a.C, ma fu presto domata dai Romani. 

La Sicilia, l’isola più importante del Mediterraneo, rimase saldamente nelle mani dei romani che bloccarono i porti ed impedirono il raggiungimento di rifornimenti ad Annibale da Cartagine. La situazione divenne più incerta alla morte del tiranno di Siracusa, Gerone II, che per 45 anni era stato un fedelissimo alleato dei romani. Il suo successore, il nipote Geronimo, era scontento della situazione e si lasciò convincere dalle fazioni fino cartaginesi a tradire i patti con Roma. 

Annibale negoziò quindi un trattato per il quale Siracusa sarebbe passata dalla parte dei cartaginesi in cambio dell’appoggio di Annibale per fare dell’intera Sicilia un possedimento siracusano. L’esercito di Siracusa non si dimostrò però all’altezza dei romani e nella primavera del 213 a. C Siracusa fu assediata dal console Marcello. 

Iniziò uno dei più terribili assedi della seconda guerra punica: Siracusa si difese, anche grazie alle straordinarie macchine inventate da Archimede. In aiuto della città siciliana giunse un esercito cartaginese guidato dal generale Imilcone, che in un primo momento riuscì ad infastidire notevolmente i presidi Romani sul territorio. Ma, quando riteneva che tutto fosse perduto, il Console Marcello riuscì a condurre, nel 212 a. C, un assalto notturno a sorpresa, conquistando diversi quartieri della città di Siracusa. 

Mentre si combatteva all’interno delle mura della città, gli eserciti Romano e cartaginese vennero colpiti dalla peste, ma i legionari, meglio organizzati, riuscirono a guarire prima dei loro avversari e nell’autunno del 212 a. C Siracusa venne espugnata dai Romani. Durante i combattimenti che ne seguirono, i soldati romani uccisero persino Archimede, anche se le fonti ci confermano che non era volontà del generale Marcello togliere la vita ad un così grande genio. 
 
Cartagine, nonostante la presa di Siracusa da parte dei romani, inviò ulteriori rinforzi nel 211 a.C e passò all’offensiva. Anche Annibale inviò in Sicilia una forza di Cavalleria numida, guidata da un abile ufficiale libico-fenicio di nome Mottones, che fu in grado di infliggere pesanti perdite all’esercito romano con la tecnica del mordi e fuggi. 

I romani risposero inviando un nuovo esercito per assediare l’ultima roccaforte cartaginese della Sicilia, Agrigento, che nel 210 a. C si consegnò ai Romani. Le restanti città che rimanevano sotto il controllo cartaginese si arresero, o furono conquistate con la forza o il tradimento. 

Nel frattempo, continuavano gli scontri in Italia: il generale Romano Quinto Fabio Massimo, che aveva la responsabilità della conduzione della guerra contro Annibale, riuscì a sconfiggere gli alleati cartaginesi ad Arpi nel 213 a.C. Nel 212, Annibale rispose distruggendo l’esercito Romano guidato da Centenio Penula nella battaglia del Silarus, nella Lucania nord-occidentale. 
 
Nello stesso anno, Annibale sconfisse un altro esercito romano nella battaglia di Herdonia: i romani persero 16.000 uomini sui 18 mila che avevano schierato. Nonostante queste perdite, i romani assediarono Capua, alleato chiave dei cartaginesi in Italia. Nel 211 a. C, constatando l’efficacia dell’assedio Romano, Annibale tentò di attirare gli avversari in una battaglia campale, che però non gli venne concessa. Annibale non riuscì nemmeno a togliere l’assedio di Capua, assaltando le difese degli assedianti. 
 
Annibale cercò dunque di organizzare un diversivo: mise in scena una marcia verso Roma, sperando di spaventare i nemici e di costringere i romani ad abbandonare l’assedio di Capua per difendere la loro capitale. Nonostante scene di panico per le strade di Roma, Quinto Fabio Massimo si rese conto che la trovata di Annibale era semplicemente una messinscena, e il piano del condottiero cartaginese non funzionò. Roma non venne assediata e Capua cadde poco dopo. 

Nel 210 a. C, i cartaginesi colsero di sorpresa l’esercito Romano durante l’assedio di Herdonia e sconfissero gli avversari in una battaglia campale in cui morirono 13 mila Romani. Annibale combatté poi l’inconcludente battaglia di Numistro: i romani continuavano a seguirlo, affrontandolo in un’altra battaglia, scarsamente importante dal punto di vista strategico a Canusio, nel 209 a.C. 

Le campagne di Publio Scipione in Spagna

La seconda guerra punica conobbe un deciso cambio di passo con le campagne di Publio Cornelio Scipione in Spagna: Publio Scipione era un giovane generale di una famiglia aristocratica Romana, comandante durante la battaglia di Canne, il cui padre e lo zio erano stati uccisi in Spagna dagli alleati i cartaginesi. 

Scipione riuscì a farsi affidare il comando di una guerra in Spagna, che aveva l’obiettivo personale di vendicare la sua famiglia, e ideò di destrutturare il regno cartaginese nell’Europa continentale. 

Cornelio Scipione raggiunse con una flotta la città di Marsilia nell’autunno del 218 a.C, facendo sbarcare il suo esercito con l’obiettivo di raggiungere il nord est dell’Iberia, dove ottenne l’appoggio delle tribù locali. I cartaginesi provarono a fermare l’avanzata di Scipione verso la fine del 218 a.C, ma furono respinti nella battaglia di Cissa.  
 
Nel 217 a.C, 40 navi da guerra cartaginesi vennero sconfitte da 35 navi romane nella battaglia del fiume Ebro. Il passaggio dei romani tra il fiume Ebro e i Pirenei era ormai sicuro, e il generale romano poteva procedere con la conquista della Spagna. 
 
Avendo appreso dell’arrivo di Scipione in Spagna, il Senato cartaginese ordinò al generale Asdrubale di trasferirsi in Italia per unirsi ad Annibale, e fare pressione sui Romani direttamente in patria. Asdrubale non era convinto della strategia suggerita dalla madrepatria: riteneva che le autorità cartaginesi sulle tribù iberiche fosse troppo fragile e le forze romane nell’area troppo forti per eseguire il movimento pianificato. 
 
Nonostante i suoi dubbi, tuttavia, Asdrubale assediò una città filoromana e offrì battaglia al nemico: durante lo scontro, Asdrubale cercò di utilizzare la sua superiore cavalleria per avvolgere il centro dello schieramento nemico. I romani sfondarono però il centro della linea cartaginese e sconfissero ciascuna ala dell’esercito avversario affrontandola separatamente. 
 
Sull’onda della Vittoria Romana, diverse tribù celtiberiche locali passarono dalla parte dei romani. I comandanti Romani riuscirono a catturare Sagunto nel 212 a. C, assoldando poi 20.000 mercenari celtiberici per rinforzare il loro esercito. 
Nel 210 a. C, Publio Cornelio Scipione arrivò nel cuore dell’Iberia con ulteriori rinforzi.  
 
Anziché combattere i cartaginesi e i loro alleati iberici per tutto il territorio città per città, Scipione decise di focalizzare direttamente le sue forze contro la capitale cartaginese in Iberia, Nuova Cartagine.  
 
Con degli abili movimenti tattici, ed approfittando persino di una marea indotta dalle fasi lunari, Scipione fu in grado di conquistare Nuova Cartagine, raccogliendo un vasto bottino d’oro e di argento. Con una lungimirante mossa diplomatica, scelse di liberare la popolazione catturata e soprattutto i figli delle principali famiglie aristocratiche iberiche, per dimostrare che il dominio Romano sarebbe stato ben più amichevole e collaborativo rispetto a quello cartaginese. 
 
La mossa di Scipione funzionò perfettamente: le tribù della zona dichiararono la loro lealtà ai Romani, tradendo i patti con i cartaginesi. Sembra che proprio in occasione della conquista di nuova Cartagine, Scipione sia venuto a conoscenza di un particolare tipo di spada, il gladio Hispaniensis, e ne abbia ordinato la costruzione di un grande numero per tutto l’esercito Romano. Il gladio ispanico sarebbe diventata l’arma di ordinanza dei Legionari per i secoli successivi. 

Dopo questa vittoria, nella primavera del 208 a.C, Asdrubale si mosse per ingaggiare battaglia contro Scipione. Lo scontro si svolse presso Baecula: i cartaginesi ne uscirono completamente sconfitti, anche perché Scipione aveva imparato le tecniche di Annibale e le aveva gradualmente adattate all’esercito Romano, migliorandole e portando le capacità belliche romane ad un altro livello. 

Asdrubale venne completamente sconfitto, ma il suo esercito, per via di un acquazzone improvviso, non fu completamente sbaragliato. Le perdite si limitarono sostanzialmente ai suoi alleati iberici: così, Asdrubale si mise in marcia per guidare il suo esercito attraverso lo stesso percorso che aveva compiuto il fratello Annibale, per congiungersi con lui in Italia e assediare insieme Roma. 

Scipione avrebbe potuto inseguire Asdrubale, ma la conquista della Spagna non poteva essere interrotta e valutò che gli eserciti in Italia sarebbero stati in grado di intercettare Asdrubale ed impedire il ricongiungimento con Annibale. 

Scipione venne criticato per la sua scelta da alcuni contemporanei, ma la sua decisione si rivelò giusta. Asdrubale riunì alcune tribù dei Celti sotto il suo comando e discese in Italia. Tuttavia, il generale, che aveva poca conoscenza del territorio, si perse nelle odierne Marche. Alcuni suoi messaggeri, che cercavano di intercettare uomini di Annibale, vennero catturati dai romani e il suo esercito venne completamente distrutto, e lo stesso Asdrubale perse la vita, nella battaglia del Metauro. 
 
Nel frattempo, la conquista della Spagna da parte di Scipione proseguì. Nel 206 a.C, nella battaglia di Ilipa, Scipione con 48.000 uomini, metà italici e metà iberici, sconfisse un esercito cartaginese di 54.000 uomini e 32 elefanti. Questo segnò per sempre il declino dei cartaginesi in Iberia. Seguì la presa Romana dell’importante città di Gades. 
 
La campagna di Scipione venne ostacolata da un improvviso ammutinamento tra le truppe, con la collaborazione di alcuni capi iberici, delusi dal fatto che le forze romane fossero rimaste nella penisola dopo la cacciata dei cartaginesi, e temendo che il dominio Romano si sarebbe sostituito di fatto a quello punico. 

Scipione fu costretto a reprimere la rivolta con una certa durezza ma alla fine gli uomini ritornarono al suo comando. 
 
Nel 205 a. C venne compiuto un ultimo tentativo da Magone, il fratello minore di Annibale, per riconquistare Nuova Cartagine, sempre approfittando di malumori da parte dei Legionari romani e di una rivolta dei Principi locali, ma tutto si concluse con una completa sconfitta. Il giovane Generale lasciò l’Iberia per raggiungere l’Italia settentrionale con il rimanente delle sue forze. 

La campagna d’Africa di Scipione

Di ritorno dalla sua campagna in Spagna, Publio Scipione era diventato l’eroe dei romani: con le sue vittorie aveva conquistato nuovi territori e tolto la base ai cartaginesi nell’Europa continentale. Inoltre, sotto l’aspetto militare, appariva come l’unico generale in grado di confrontarsi direttamente con Annibale. 

Lo stesso Scipione decise di portare la guerra in Africa, direttamente contro la capitale Cartagine, pensando che in questo modo il Senato cartaginese sarebbe stato costretto a richiamare Annibale dall’Italia, liberando finalmente la penisola della presenza del nemico. 

Scipione incontra Annibale
Scipione incontra Annibale – Riproduzione su tela

L’idea di Scipione era tecnicamente giusta, ma le famiglie aristocratiche a lui avverse erano preoccupate di concedere nuovamente un comando militare al generale. Il Senato adottò allora una soluzione di comodo: diede il permesso a Scipione di portare la guerra in Africa, ma avrebbe dovuto parteciparvi con le sue sole forze, in modo da poter godere della sua vittoria qualora si fosse verificata, o di vederlo declinare in caso di sconfitta. 

Nel 205 a. C Scipione ricevette il comando delle legioni in Sicilia, quelle che erano state sconfitte durante la battaglia di Canne, e gli fu permesso di arruolare dei nuovi volontari per il suo piano. Scipione diede il via ad una lunga serie di preparativi, organizzando al meglio il suo esercito che raggiunse le 30 navi da guerra e i 7.000 uomini.  

Durante i preparativi Scipione ragionò sulle forze cartaginesi: quello che lo preoccupava maggiormente era la presenza della cavalleria numida, superiore in numero e in esperienza, la quale sarebbe stata particolarmente pericolosa per la fanteria delle legioni Romane.  
 
Scipione cercò di spingere all’arruolamento diverse centinaia di nobili cavalieri siciliani per creare una forza di cavalleria da opporre al nemico. 
 
I Siciliani erano piuttosto contrari alla presenza di un occupante straniero, essendo stati dominati per diversi secoli dai cartaginesi, e protestarono vigorosamente. Scipione acconsentì ad esentarli dal servizio militare a condizione che pagassero un cavallo, un equipaggiamento e un cavaliere per ogni famiglia aristocratica siciliana. In questo modo, Scipione riuscì a creare un nucleo addestrato di cavalleria per la sua campagna d’Africa. 

I preparativi di Scipione vennero ostacolati anche da uno scandalo: uno dei suoi generali, Pleminio, aveva compiuto alcuni soprusi nei confronti della città calabrese di Locri. Il Senato Romano inviò una commissione d’inchiesta per supervisionare il lavoro di Scipione. In questa commissione erano presenti anche dei tribuni della plebe, i quali avevano teoricamente il potere di arrestarlo. 

In particolare alcuni membri del Senato, sostenuti da Quinto Fabio Massimo, si volevano opporre alla missione. Fabio temeva il potere di Annibale e considerava qualsiasi missione in Africa come una pericolosa distrazione dall’attività di inseguimento nei confronti del nemico nel sud Italia. 

Scipione veniva anche mal visto da alcuni senatori per i suoi ideali e per i suoi interessi nell’arte e nelle filosofie di natura greca, che non venivano affatto accettate da una parte dell’aristocrazia senatoria. 

Osservando tuttavia la qualità dei preparativi di Scipione, la commissione si decise per lasciargli proseguire la missione. Scipione ottenne il permesso di trasportare l’esercito dalla Sicilia all’Africa, pur senza il sostegno finanziario o militare dei senatori. 

Scipione salpò nel 204 a. C e sbarcò nei pressi di Utica che assediò prontamente. Nel frattempo Cartagine si era assicurata l’amicizia e la collaborazione del re numida Siface, la cui avanzata costrinse Scipione ad abbandonare l’assedio di Utica e ad insediarsi sulle rive tra quella città e Cartagine. 
 
Scipione veniva schiacciato dagli avversari lungo le coste del Nord Africa, e la sua posizione e soprattutto i suoi rifornimenti nel lungo periodo avrebbero cominciato a scarseggiare. Scipione finse allora di intavolare delle relazioni diplomatiche con Siface e Asdrubale Giscone, ma in realtà inviò alcune spie presso gli accampamenti avversari, per incendiarli durante la notte e massacrare i nemici che scappavano dalle fiamme. 

Questo atto da parte di Scipione rappresenta una nuova visione della guerra, che non si basava più sul classico fair play utilizzato dai Romani, ma si appoggiava anche ad imboscate e ad azioni non convenzionali, come lo stesso Annibale aveva insegnato. 

Siface e Asdrubale di Giscone dimostrarono una straordinaria capacità di reazione, mettendo insieme in poche settimane un nuovo esercito, composto da mercenari e dai temibili guerrieri celtiberi, di provenienza iberica, che vennero affrontati da Scipione nella battaglia dei Campi Magni. Scipione, una volta allontanate le cavallerie dal campo di battaglia, fece scorrere la seconda e la terza fila con cui comunemente si disponevano i legionari Romani, e avvolse completamente l’avversario, annientandolo. 

Scipione inviò i suoi due luogotenenti, Gaio Lelio e Massinissa, per inseguire Siface. Alla fine il sovrano numida venne detronizzato e Massinissa divenne il nuovo re dei numidi, alleati di Roma. Cartagine aveva così perso i suoi principali alleati nel Nord Africa, e si ritrovava solo di fronte all’esercito di Scipione. 

Abbandonata dai suoi alleati e circondata da un esercito romano ritirano ed imbattuto, Cartagine iniziò ad aprire dei canali diplomatici per negoziare. Annibale Barca, dopo 15 anni sul territorio Italico, venne richiamato in patria. Nel momento in cui Annibale si apprestò a tornare in patria, Cartagine interruppe i suoi trattati e riprese la guerra. 

La battaglia di Zama

L’esercito di Annibale era composto prevalentemente dai veterani italici che erano presso di lui nell’Italia meridionale, e da poche altre truppe mercenarie che avrebbe raccolto sul suo cammino. A disposizione di Annibale vi erano circa 36 mila Fanti e 4.000 cavalieri, contro i 29.000 Fanti e i 6.000 cavalieri di Scipione: i due generali si incontrarono vicino ad Utica il 19 ottobre del 202 a. C, nella battaglia di Zama

La battaglia di Zama rappresenta uno degli scontri tra le più grandi menti militari di tutti i tempi: Annibale organizzò la sua fanteria in tre linee, le prime due di mercenari e la terza, più staccata sul fondo del campo di battaglia, composta dai veterani italici. Dopodiché, in prima linea, gli elefanti, che avrebbero dovuto attaccare le linee romane. L’esercito di Annibale era accompagnato da poca cavalleria, guidata da lui stesso. 

Scipione, consapevole della pericolosità degli elefanti, anziché disporre i suoi uomini nella struttura classica, creò degli enormi corridoi attraverso cui gli elefanti sarebbero passati senza danneggiare i legionari.

La battaglia iniziò con le cavallerie, e subito la cavalleria alleata dei romani, guidata da Lelio e da Massinissa, mise in fuga gli avversari. Le prime due file di Mercenari cartaginesi affrontarono i Romani e vennero lentamente sconfitte, iniziando a fuggire. Annibale riuscì però a ricomporre il suo esercito e a posizionare i superstiti delle prime due linee a fianco della terza, composta dai veterani italici, che non erano ancora entrati in battaglia. 

In questo modo, la parte centrale dell’esercito di Annibale, perfettamente riposata, avrebbe dovuto affrontare i legionari, che avevano combattuto contro due linee di avversari. Scipione poté solamente allungare la sua fila per non essere circondato e sperare che i suoi uomini reggessero l’urto degli avversari.  

I soldati che dovettero resistere alla carica dei cartaginesi erano gli stessi che erano stati sconfitti a Canne. Per questo motivo, la loro resistenza andò oltre ogni limite dell’immaginazione, fino a che le cavallerie alleati dei romani riuscirono a ritornare e a colpire gli avversari sul retro. 

La fine della seconda guerra punica 

Con la Vittoria a Zama, Scipione aveva definitivamente decretato la vittoria di Roma contro Annibale. Il Trattato di pace che i romani imposero ai cartaginesi li privava di tutti i loro territori d’Oltremare, e di alcuni possedimenti nel Nord Africa. Venne stabilito il pagamento di un’indennità di diecimila Talenti d’argento i quali dovevano essere pagati nel corso dei successivi 50 anni. 

Vennero presi migliaia di ostaggi, appartenenti alle principali famiglie guerriere ed aristocratiche cartaginesi. A Cartagine era proibito possedere elefanti da guerra, e la sua flotta era limitata a 10 navi. Non potevano condurre guerre al di fuori dell’ Africa senza l’esplicito permesso di Roma. 

Molti cartaginesi volevano rifiutare delle condizioni di pace così pesanti, ma Annibale riuscì a convincere il Senato cartaginese ad accettare: il trattato di pace fu ratificato nella primavera del 201 a. C. 

D’allora in poi, fu chiaro che Cartagine era politicamente e definitivamente subordinata a Roma. Scipione fu premiato con un grandissimo trionfo e ricevette il soprannome di “Africano”. 

L’alleato africano di Roma, il Re Massinissa di Numidia, sfruttò il divieto di guerra di Cartagine per razziare ripetutamente il territorio impunemente. Nei 149 a. C, 50 anni dopo la fine della seconda guerra punica, Cartagine avrebbe inviato un esercito, guidato da Asdrubale, contro Massinissa, nonostante i divieti imposti da Roma. 

La campagna militare si sarebbe conclusa con un disastro e le fazioni anti-cartaginesi di Roma utilizzarono questo pretesto per preparare una spedizione punitiva, nota come terza guerra punica: un grande esercito romano sarebbe sbarcato nel nord Africa, avrebbe assediato Cartagine e l’avrebbe definitivamente distrutta, annientando la città e uccidendone gli abitanti. 

50.000 sopravvissuti sarebbero stati venduti come schiavi e sarebbe passato un secolo prima che il sito fosse ricostruito come città romana.