Romolo. Storia del primo re di Roma

Romolo rappresenta una delle figure più emblematiche e complesse della storia antica, che incarna il mito fondativo di Roma attraverso una narrazione che intreccia elementi leggendari, significati politici e possibili fondamenti storici.

La tradizione lo identifica come il primo re di Roma, fondatore della città il 21 aprile 753 a.C., protagonista di episodi che hanno plasmato l’identità romana per secoli.

Le fonti antiche, principalmente Tito Livio, Plutarco e Dionigi di Alicarnasso, presentano Romolo come un condottiero militare e come un vero architetto della società romana, le cui riforme avrebbero influenzato il corso della storia occidentale

Le fonti antiche su Romolo

Le principali testimonianze sulla figura di Romolo ci giungono da alcune delle più autorevoli fonti letterarie dell’antichità, che hanno tramandato e arricchito il mito del fondatore di Roma.

Tito Livio, nel primo libro della sua monumentale opera Ab Urbe Condita, offre una narrazione dettagliata degli eventi legati alla nascita, all’ascesa e alle imprese di Romolo, inserendoli in un quadro più ampio di costruzione dell’identità romana.

Plutarco, nella Vita di Romolo contenuta nelle sue Vite Parallele, si sofferma non solo sui fatti ma anche sulle molteplici versioni della leggenda, confrontando Romolo con altri eroi fondatori come Teseo e ragionando sulle implicazioni morali e politiche delle sue azioni.

Dionigi di Alicarnasso, nelle Antichità romane, integra la tradizione latina con la prospettiva greca, analizzando criticamente le fonti disponibili e offrendo interpretazioni che mettono in relazione il mito romano con le storie di fondazione di altre città del mondo antico.

Importante è anche il contributo di Varrone, erudito romano del I secolo a.C., che pur essendo conosciuto solo attraverso citazioni e frammenti, fu fondamentale per la razionalizzazione della cronologia e delle tradizioni relative a Romolo, fissando ad esempio la data della fondazione di Roma al 753 a.C.

Oltre a questi autori, la leggenda di Romolo è stata ripresa e reinterpretata da numerosi altri scrittori, tra cui Ovidio nelle sue Metamorfosi e nell’Ars Amatoria, e da storici tardi come Eutropio e Aurelio Vittore, che hanno contribuito a mantenere vivo il mito nei secoli successivi. Queste fonti, pur divergendo talvolta nei dettagli, concordano nell’attribuire a Romolo il ruolo di primo re, legislatore e artefice delle istituzioni che avrebbero reso Roma una delle più grandi civiltà della storia.

Le origini leggendarie e la nascita dei gemelli

La storia di Romolo inizia con una complessa genealogia che collega la fondazione di Roma alla caduta di Troia attraverso la discendenza di Enea.

Secondo la tradizione, Rea Silvia, figlia di Numitore, re di Alba Longa, fu costretta dallo zio Amulio, che aveva spodestato il fratello, a diventare vestale per impedirle di generare eredi che potessero rivendicare il trono. Ma il dio Marte si invaghì della giovane e dall’unione divina nacquero i gemelli Romolo e Remo, destinati a diventare i protagonisti della fondazione di Roma.

Questa origine divina conferiva ai gemelli lo status di semidei, elemento fondamentale per legittimare il futuro potere regale di Romolo e la supremazia di Roma sulle altre città.

La nascita dei gemelli scatenò l’ira di Amulio, che ordinò la loro uccisione per eliminare ogni minaccia al suo potere. Ma i servitori incaricati dell’infanticidio, mossi da pietà, deposero i neonati in una cesta e li affidarono alle acque del Tevere, sperando che il destino fosse più clemente dello zio.

La cesta si arenò presso il Palatino, sotto un fico chiamato ficus ruminalis, dove una lupa, attratta dai vagiti dei bambini, li raggiunse e li allattò nella sua tana. Questo episodio miracoloso, ambientato nel Lupercale, una grotta ai piedi del Palatino successivamente trasformata in santuario, divenne il simbolo fondativo di Roma e dell’origine selvaggia ma provvidenziale della sua potenza

Il pastore Faustolo scoprì i gemelli e, insieme alla moglie, li adottò e li crebbe come propri figli. Durante la giovinezza, Romolo e Remo si distinsero per forza fisica e capacità militari, radunando intorno a loro gruppi di pastori e giovani con cui conducevano spedizioni e razzie nel territorio circostante. 

La vendetta su Amulio

La scoperta delle vere origini dei gemelli avvenne attraverso una serie di eventi che li condussero davanti al nonno Numitore. Durante uno scontro con alcuni pastori rivali, Remo fu catturato e condotto davanti al legittimo re di Alba Longa, che riconobbe in lui il proprio nipote.

Nel frattempo, Faustolo aveva raccontato a Romolo della loro origine regale e del sangue divino che scorreva nelle loro vene, preparando così il terreno per la rivelazione finale. L’incontro con Numitore segnò una svolta decisiva: i gemelli appresero la verità sulla loro nascita, sulla usurpazione di Amulio e sul destino di loro madre Rea Silvia.

La vendetta fu rapida e implacabile. Romolo e Remo, sostenuti da un gruppo di compagni e dalla popolazione di Alba Longa rimasta fedele a Numitore, uccisero Amulio e ristabilirono il nonno sul trono legittimo.

La restaurazione di Numitore rappresentò anche il primo atto politico dei gemelli, che dimostrarono di rispettare le regole della giustizia, secondo valori che avrebbero caratterizzato il futuro ordinamento romano.

Dopo aver ristabilito l’ordine ad Alba Longa, i gemelli ottennero dal nonno il permesso di fondare una nuova città nei luoghi dove erano cresciuti e dove avevano ricevuto la protezione divina.

La scelta del sito presso il Tevere si rivelò strategicamente eccellente, in quanto la posizione controllava importanti vie commerciali e guadi fluviali che sarebbero diventati fondamentali per lo sviluppo futuro della città.

La fondazione di Roma e il fratricidio

La fondazione di Roma il 21 aprile 753 a.C. fu preceduta da una disputa tra i gemelli riguardo al nome della città e alla scelta del colle su cui erigerla. Non potendo prevalere l’uno sull’altro per diritto di primogenitura, decisero di consultare gli auspici secondo il metodo etrusco: Romolo si posizionò infatti sul Palatino e Remo sull’Aventino per osservare il volo degli uccelli.

Questo ricorso alla divinazione è fondamentale per la storiografia romana: l’importanza del consenso divino nella cultura religiosa dell’epoca era un requisito irrinunciabile, oltre a stabilire un precedente legale che avrebbe consentito l’uso degli auspici nella futura pratica politica romana.

La versione più accreditata racconta che Remo avvistò per primo sei avvoltoi, ma successivamente Romolo ne vide dodici, creando una controversia sull’interpretazione del segno divino. Alcuni seguaci rivendicavano la vittoria per Remo basandosi sulla priorità temporale, altri per Romolo basandosi sul numero superiore di uccelli osservati.

Plutarco suggerisce una versione alternativa secondo cui Romolo potrebbe non aver avvistato alcun avvoltoio, vincendo attraverso l’inganno.

Il conflitto culminò con la morte di Remo, per la quale esistono diverse versioni. La prima racconta di una rissa scoppiata tra i seguaci dei due fratelli, durante la quale Remo cadde colpito nella confusione generale.

La seconda, più diffusa e simbolicamente più significativa, narra che Remo, per deridere il fratello, superò il solco appena tracciato da Romolo, che lo uccise pronunciando le parole minacciose: “Questa sorte avrà chiunque altro oltrepasserà le mie mura”.

Una terza versione attribuisce l’uccisione a Celere, fedele compagno di Romolo che aveva ricevuto l’ordine di proteggere il confine sacro. Questo fratricidio divenne un elemento centrale dell’identità romana, perchè simboleggiava la necessità della disciplina assoluta e dell’unità del comando, ma anche il carattere violento e implacabile del potere.

Le istituzioni politiche e l’organizzazione sociale

Una volta stabilitosi come unico sovrano, Romolo si dedicò alla creazione delle istituzioni che avrebbero caratterizzato la società romana per secoli.

La prima e più importante fu l’istituzione del Senato, composto inizialmente da cento membri, scelti tra i patrizi più eminenti, e rappresentanti delle gentes originarie che avevano partecipato alla fondazione. Questi senatori, chiamati patres, fungevano da consiglio per il re e costituivano l’aristocrazia dirigente della nuova città.

Il termine stesso “senato” derivava dal latino senex, che sta a indicare la scelta di uomini anziani e saggi come guida della comunità. La leggenda attribuisce a Romolo la decisione di fissare il numero a cento, successivamente raddoppiato da Tarquinio Prisco e portato a trecento da Lucio Giunio Bruto durante la Repubblica.

Contemporaneamente all’istituzione del Senato, Romolo organizzò il popolo romano secondo un sistema tribale che rifletteva la composizione etnica della popolazione. Creò tre tribù principali: i Ramnes (Latini), i Tities (Sabini) e i Luceres (Etruschi), ciascuna delle quali era suddivisa in dieci curie, per un totale di trenta. 

Questa organizzazione serviva sia a scopi militari che civili: ogni curia doveva fornire infatti cento fanti e dieci cavalieri in caso di guerra, garantendo un esercito di tremila fanti e trecento cavalieri.

Dal punto di vista politico, le curie costituivano la base dei Comizi curiati, l’assemblea popolare più antica di Roma, che aveva il potere di ratificare le leggi proposte dal re e di partecipare alle decisioni più importanti.

L’organizzazione sociale creata da Romolo distingueva chiaramente tra patrizi e plebei, stabilendo una gerarchia che avrebbe influenzato la storia romana per secoli. I patrizi erano i discendenti dei primi cento senatori e delle famiglie fondatrici, mentre i plebei comprendevano tutti gli altri cittadini, inclusi coloro che si erano uniti successivamente alla comunità.

Questa distinzione non era solo sociale ma anche religiosa e giuridica, poiché solo i patrizi potevano ricoprire le cariche religiose più importanti e avevano accesso privilegiato alle magistrature. Nonostante ciò, Romolo dimostrò anche una notevole apertura nell’accogliere nuovi abitanti, come testimoniano le politiche di asilo e integrazione che caratterizzarono i primi anni di Roma.

Il ratto delle Sabine e il co-regno con Tito Tazio

Uno degli episodi più celebri del regno di Romolo fu il cosiddetto “ratto delle Sabine”, un evento che risolse il problema demografico di Roma ma scatenò una guerra con i popoli vicini. 

La nuova città, popolata prevalentemente da uomini – pastori, fuggiaschi e avventurieri attratti dall’offerta di asilo – mancava di donne in età fertile, il che costituiva un problema demografico molto grave. Romolo inviò ambasciate ai popoli vicini per ottenere diritti di matrimonio, ma le richieste furono respinte con disprezzo, in quanto i vicini temevano la crescente potenza di Roma e disprezzavano la sua popolazione composta da fuggiaschi.

La soluzione escogitata da Romolo fu tanto audace quanto efficace. Organizzò grandi giochi in onore di Nettuno, chiamati Consualia, per attirare le popolazioni circostanti nella nuova città. Al segnale convenuto, i giovani romani catturarono le donne presenti – principalmente Sabine, ma anche appartenenti ad altri popoli – mentre i loro parenti fuggivano promettendo vendetta.

Il numero delle donne rapite varia secondo le fonti: alcuni parlano di trenta, altri di 527, 683 o addirittura 800. L’episodio, tradizionalmente datato al 21 agosto, diede origine alla tradizione nuziale romana del grido “Talasius” durante i matrimoni.

Il ratto scatenò una serie di conflitti con i popoli derubati, in particolare con i Sabini guidati dal re Tito Tazio. La guerra culminò in una battaglia nel futuro Foro Romano, dove le donne sabine, ormai madri di figli romani, si interposero tra i combattenti supplicandoli di cessare le ostilità.

Questo intervento drammatico portò a una pace duratura e all’unificazione dei due popoli: Sabini e Romani si fusero in una sola comunità, con Romolo e Tito Tazio che governarono congiuntamente per cinque anni. L’integrazione fu così completa che i due popoli parteciparono alle rispettive feste religiose e istituirono nuove celebrazioni comuni come i Matronalia, i Carmentalia e i Lupercali.

Le riforme religiose e culturali

Romolo dimostrò grande attenzione nell’organizzazione della vita religiosa di Roma, comprendendo l’importanza del sacro per la coesione sociale e la legittimazione del potere.

Istituì il culto del fuoco sacro affidato alle Vestali, vergini consacrate che dovevano mantenere sempre accesa la fiamma simbolo della continuità della città. Questa istituzione, che sarebbe durata per oltre mille anni, dimsotrava l’influenza delle tradizioni religiose italiche e l’importanza attribuita alla purezza rituale.

Le Vestali godevano di privilegi eccezionali ma erano anche soggette a severi obblighi, incluso il voto di castità trentennale la cui violazione comportava la sepoltura da vive.

Il re accettò e promosse culti di diverse provenienze, dimostrando una politica religiosa inclusiva che rispecchiava la natura multietnica della popolazione romana. Accolse i rituali dedicati a Ercole, unico tra i culti non romani da lui ufficialmente riconosciuto, probabilmente per l’importanza del dio nell’ambito pastorale e commerciale.

Mantenne e sviluppò i Lupercali, feste purificatorie di origine arcaica che si celebravano nel Lupercale, la grotta dove secondo la leggenda era avvenuto l’allattamento da parte della lupa. Questi riti, che prevedevano corse rituali di giovani seminudi che colpivano le donne con strisce di pelle per favorire la fertilità, erano una eredità diretta delle più primitive tradizioni pastorali.

L’integrazione di culti sabini, latini ed etruschi serviva a creare un senso di identità comune tra popolazioni diverse, mentre l’enfasi su divinità guerriere come Marte e protettive come Vesta sottolineava i valori militari e civici che dovevano caratterizzare la comunità romana. L’attenzione per gli auspici e i rituali fondativi, derivati dalla tradizione etrusca, stabiliva procedure che avrebbero guidato l’espansione futura di Roma e la fondazione di colonie.

L’istituzione dell’Asylum

Una delle innovazioni più importanti di Romolo fu l’istituzione dell’Asylum, un luogo di rifugio situato nella depressione tra l’Arx e il Capitolium, dove oggi si trova la piazza del Campidoglio. Questa politica di asilo rappresentava una rottura rivoluzionaria con le pratiche dell’epoca, poiché offriva protezione e cittadinanza a chiunque raggiungesse questo luogo sacro, indipendentemente dal suo passato.

L’Asylum attirò criminali, schiavi fuggiti, esiliati e altri reietti che cercavano una nuova opportunità di vita, contribuendo significativamente alla crescita demografica di Roma.

Seguendo “l’antico accorgimento dei fondatori di città”, Romolo trasformò un gruppo eterogeneo di fuggiaschi in una comunità coesa, dimostrando capacità di leadership eccezionali. L’integrazione di elementi stranieri aumentò la popolazione e al contempo arricchì Roma di competenze e tradizioni diverse, creando quella versatilità culturale che sarebbe diventata una caratteristica distintiva della civiltà romana.

L’Asylum serviva anche uno scopo strategico più ampio, poiché indeboliva le città rivali privandole di uomini validi e concentrava in Roma le energie migliori della regione. Questa politica di drenaggio demografico, combinata con l’aggressività militare, contribuì rapidamente a fare di Roma la potenza dominante del Lazio.

Morte e divinizzazione

La morte di Romolo è avvolta nel mistero e nel mito, tanto che le fonti antiche tramandano diverse versioni, spesso intrecciate tra loro, che riflettono sia la volontà di divinizzare il fondatore della città sia la necessità di spiegare una scomparsa improvvisa e sospetta.

La versione più celebre e ufficiale è quella della sua assunzione in cielo: dopo circa trentasei o trentotto anni di regno, Romolo sarebbe scomparso misteriosamente durante una tempesta improvvisa mentre passava in rassegna l’esercito nel Campo Marzio, nei pressi della Palus Caprae.

Una nube lo avrebbe avvolto, sottraendolo alla vista dei soldati e del popolo; quando la tempesta si placò, di lui non rimase alcuna traccia. Questo evento fu interpretato come un segno della sua apoteosi: i Romani lo proclamarono dio sotto il nome di Quirino, figlio di Marte e padre della città, e gli dedicarono un culto specifico, con feste come le Quirinalia che si celebravano ogni anno il 17 febbraio.

A rafforzare questa versione miracolosa intervenne il racconto di Proculo Giulio, un autorevole cittadino che, poco dopo la scomparsa di Romolo, dichiarò pubblicamente di aver avuto una visione del re ormai divinizzato.

Secondo quanto riferisce Tito Livio, Proculo Giulio raccontò di aver visto Romolo discendere dal cielo e annunciargli che Roma era destinata a diventare la capitale del mondo, invincibile grazie alla protezione degli dèi e alla virtù militare dei suoi cittadini. Questo racconto fu accolto con grande favore dal popolo, che trovò conforto e orgoglio nell’idea che il proprio fondatore fosse stato accolto tra gli dèi.

Accanto a questa narrazione sacra e solenne, le fonti riportano anche una versione più oscura e inquietante. Secondo questa tradizione alternativa, Romolo sarebbe stato assassinato dai senatori romani, i patres, esasperati dal suo crescente autoritarismo e dal fatto che, dopo la morte del co-reggente sabino Tito Tazio, il re avesse progressivamente svuotato il Senato di potere, accentuando la propria monarchia personale.

Durante una seduta del consiglio, forse nel santuario di Vulcano (Volcanal) nel Foro Romano, i senatori lo avrebbero aggredito, ucciso e addirittura smembrato, nascondendo i resti del suo corpo sotto le proprie vesti e seppellendoli in diversi punti della città.

Alcune varianti ancora più macabre narrano che la testa di Romolo sarebbe stata tagliata e addirittura mangiata dai senatori, in un gesto di estrema violenza simbolica. Questa versione, tramandata da autori come Plutarco, Dionigi di Alicarnasso, Tito Livio e Cassio Dione, riflette probabilmente tensioni politiche reali e il ricordo di un conflitto tra il potere monarchico e l’aristocrazia senatoria.

Valutazione storica ed eredità

L’analisi moderna della figura di Romolo pone complesse questioni metodologiche riguardo la distinzione tra mito e storia nell’antichità. La data tradizionale della fondazione, il 753 a.C., è riconosciuta dagli studiosi come una costruzione teorica elaborata da Varrone in età augustea attraverso calcoli retroattivi basati sull’inizio della Repubblica nel 509 a.C.

Bisogna però osservare che i ritrovamenti archeologici sui sette colli confermano l’esistenza di insediamenti dell’VIII secolo a.C., sotto forma di resti di capanne e vasellame che testimoniano una graduale urbanizzazione del sito.

Le varie leggende che circondano Romolo riflettono diverse fasi della tradizione romana e servivano a scopi politici specifici, in particolare la glorificazione della gens Iulia in età augustea. Tuttavia, molti elementi del racconto – l’origine multietnica della popolazione, l’importanza dei culti pastorali, la localizzazione geografica degli eventi – trovano riscontri nell’archeologia e nell’analisi storica del Lazio arcaico.

Il processo di urbanizzazione descritto dalle fonti, soprattutto l’aggregazione di villaggi differenti e la creazione di istituzioni comuni, corrisponde ai modelli di sviluppo urbano documentati in altre parti dell’Italia centrale.

L’eredità istituzionale attribuita a Romolo – Senato, Comizi curiati, organizzazione tribale, diritto di asilo – costituisce effettivamente il nucleo del sistema politico romano che si manterrà, pur con alcune modifiche, per oltre mille anni. La sua figura rappresenta quindi l’archetipo del fondatore e civilizzatore, che trasforma una comunità primitiva in una società organizzata attraverso leggi, istituzioni e tradizioni religiose.

Romolo: mito o realtà storica?

Il dibattito sulla figura di Romolo come personaggio storico o mitico è uno dei temi più discussi e affascinanti della storiografia antica e moderna. Fin dall’Ottocento, gli studiosi si sono interrogati sulla reale esistenza del fondatore di Roma e sull’attendibilità delle tradizioni che lo riguardano, oscillando tra l’interpretazione della sua vicenda come mito fondativo e la ricerca di un possibile nucleo storico sottostante.

Secondo una prima corrente di pensiero, Romolo è essenzialmente un personaggio mitico, costruito per dare un’origine nobile e sacra alla città di Roma. Questa posizione si fonda sull’evidente presenza di elementi favolistici e simbolici nel racconto della sua vita: la nascita miracolosa da Marte e Rea Silvia, l’allattamento da parte della lupa, il fratricidio di Remo, la fondazione rituale della città e infine la misteriosa scomparsa e divinizzazione.

Questi tratti sono tipici delle narrazioni mitologiche di fondazione, analoghe a quelle di molte altre città del Mediterraneo, e rispondono al bisogno delle comunità antiche di legittimare la propria identità attraverso storie di eroi civilizzatori e interventi divini. 

Inoltre, molti studiosi sottolineano come la figura di Romolo sia stata progressivamente modellata e arricchita in età tardo-repubblicana e augustea per scopi politici, soprattutto per rafforzare la legittimazione della gens Julia e del principato di Augusto, presentato come un “nuovo Romolo”.

Un’altra posizione, più cauta, riconosce invece la possibilità che dietro il mito si celi un fondamento storico. Secondo questa interpretazione, la leggenda di Romolo e Remo sarebbe la trasfigurazione epica di reali processi storici: la fusione, nell’VIII secolo a.C., di diversi villaggi sparsi sulle colline romane in un unico centro urbano, la nascita di istituzioni comuni come il senato e i comizi, la definizione di un confine sacro (pomerium) e la necessità di integrare popolazioni diverse, anche attraverso episodi violenti come il ratto delle Sabine. 

Le recenti scoperte archeologiche sul Palatino e nelle aree circostanti confermano la presenza di insediamenti stabili e strutturati già in epoca compatibile con la data tradizionale della fondazione di Roma, suggerendo che la leggenda possa essere nata dalla memoria collettiva di un reale processo di urbanizzazione e aggregazione sociale.

Vi è poi una terza posizione, di tipo intermedio, che considera Romolo come un “eroe culturale”, ovvero una figura simbolica che incarna e sintetizza, in forma narrativa, i valori, le paure e le aspirazioni di una comunità in formazione.

In questa prospettiva, la storia di Romolo non va letta come cronaca di fatti realmente accaduti, ma come racconto che spiega e giustifica, in termini religiosi e giuridici, le istituzioni e le pratiche della Roma arcaica. Il mito del fratricidio, ad esempio, sarebbe la rappresentazione drammatica della necessità di una disciplina assoluta e di un potere unico per garantire la sopravvivenza della città, mentre la divinizzazione finale di Romolo servirebbe a sancire il carattere sacro e predestinato della missione romana.

FONTI

  • Tito Livio, Ab Urbe Condita, libri I-II (in particolare: I, 3-16)
  • Plutarco, Vita di Romolo, capitoli I-XXXIX (con particolare attenzione ai capp. IX-XII e XXVII-XXIX per la morte e la divinizzazione)
  • Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, libri I-II (soprattutto: I, 76-87; II, 56-63)
  • Ovidio, Fasti, III, 183-200 (sul ratto delle Sabine e la divinizzazione)
  • Ennio, Annales, frammenti 80-100 (episodio della fondazione e del fratricidio)
  • Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I, 1-2 (sulla fondazione e i primi re)
  • Aurelio Vittore, De viris illustribus, 2 (breve biografia di Romolo)
  • Mario Lentano, Romolo. Il fondatore di Roma, Carocci, 2022 (moderna, analisi critica e narrativa)
  • Augusto Fraschetti, Romolo il fondatore, Laterza, 2002 (moderna, approfondimento storico e storiografico)
  • Andrea Carandini, La nascita di Roma, Laterza, 1997 (moderna, archeologia e mito)
  • Emilio Gabba, Dalla monarchia alla repubblica, Laterza, 1989 (moderna, contesto istituzionale e critica delle fonti