Roma e le fake news: storia della propaganda antica



Roma non ha solo costruito imperi e monumenti: ha inventato un modo di dominare il pensiero collettivo, di manipolare le coscienze, di piegare la realtà alle esigenze del potere. Pensare che la fake news sia una creatura recente è un errore; il suo vero battesimo arriva quando la città eterna comincia a tessere miti, favole e racconti falsati con Nobel artigianato. Dall’incendio di Roma, che molti attribuirono a Nerone, fino al testamento mai ritrovato di Marco Antonio, ogni epoca romana ha saputo plasmarne altri. Mani esperte hanno fatto della menzogna uno strumento per dominare uomini e popoli. Roma ha davvero inventato le fake news, insegnando a tutto il mondo antico che la verità è labile e si piega facilmente al racconto.

La narrazione della propria nascita fu uno dei primi atti di propaganda che Roma mise in scena. Nello straordinario racconto di Virgilio, l’eroe troiano Enea approda sulle rive del Tevere, dirige la sua discendenza verso la fondazione della città, suggellando così il destino di Roma come erede della piú antica nobiltà mediterranea. La Eneide non fu solo poesia, ma una scrittura sistematica del mito, servita per conferire legittimità e autorità alla nuova nobiltà augustea. Ab urbe condita di Tito Livio prosegue su questa linea, cucendo insieme genealogie, oracoli e prodigi che fanno di Roma la città prescelta dagli dèi. Non conta se la verità sia tutta leggenda: la mitologia offre giustificazioni alle conquiste e alle espansioni, celebra le origini divine della città e presenta Roma come l’unica legittima erede del mondo antico. In questi racconti le fake news non sono un accidente, ma un meccanismo lucido e consapevole di legittimazione.

Entrati nella Repubblica, il bisogno di consenso si trasforma in lotta politica. Quest’epoca si distingue per l’uso delle voci e delle dicerie come strumenti di potere. Cicerone, con le sue epistole e i discorsi in Senato, è maestro nel seminare rumor e calunnie, tanto che le opinioni cambiano più rapidamente della sorte dei generali. Le lettere a Attico e i resoconti del Bellum Catilinae di Sallustio dimostrano quanto fosse facile manipolare la realtà: le reti sociali di allora erano fatte di portici e fori, dove le notizie false venivano trasmesse da persona a persona, generando crisi politiche e condannando avversari prima ancora che si potesse provare il contrario. Il caso della congiura di Catilina mostra come la narrazione fosse deliberatamente plasmata per incutere timore tra il popolo e sostegno agli optimates, con Sallustio stesso a dichiarare apertamente che la reputazione, non la verità, era la chiave del successo.

La transizione verso la età imperiale coincide con l’apoteosi della propaganda. L’ambizione di Ottaviano, che diventa Augusto, si regge su una colossale opera di manipolazione collettiva. Il potere non si conquista solo sui campi di battaglia, ma nella costruzione di una nuova immagine: monete, leggi, monumenti e iscrizioni celebrano la pace e la prosperità. Res Gestae Divi Augusti, l’autobiografia che l’imperatore fece incidere su pietra e diffondere ovunque, elenca trionfi e azioni benevole, costruendo una biografia pubblica fatta solo di successi. Le imprese militari vengono filtrate, le sconfitte occultate, le alleanze presentate come frutto di saggezza e altruismo. In realtà Augusto attua una vasta campagna di disinformazione, dove le fonti ufficiali contraddicono spesso la realtà dei fatti, ma la narrazione rimane dominante.

La guerra civile che oppone Ottaviano a Marco Antonio è un esempio di come la fake news possa orientare il destino di un’intera civiltà. La diffusione sistematica di lettere, diari e presunti testamenti viene posta al centro dello scontro politico. Il caso del testamento di Marco Antonio, che secondo Dione Cassio e Appiano sarebbe stato letto in pubblico, è emblematico: il documento, probabilmente contraffatto, presenta Antonio come traditore e succube di Cleopatra, abbattendo la sua reputazione e spingendo l’opinione pubblica contro di lui. Qui la menzogna non è solo un effetto collaterale, ma lo strumento fondante della vittoria politica.

La propaganda non si trasmette soltanto con le parole, ma anche con le immagini e le opere d’arte. Le monete di Augusto, che circolano in tutto l’Impero, portano effigi tranquille e motti celebrativi. Nelle iscrizioni, un linguaggio codificato trasforma l’imperatore nel restauratore del mos maiorum, nel difensore della tradizione: la verità diventa ciò che conviene, e chi la controlla la impone per generazioni. I monumenti come l’Ara Pacis e la statua equestre di Marco Aurelio celebrano la pace, la pietà e la magnanimità, occultando timori, repressioni e inganni. Non c’è atto pubblico che sfugga alla manipolazione: perfino le date e gli eventi vengono riscritti per legittimare il potere e colpire gli oppositori.

La falsificazione della verità diventa prassi nell’uso delle fonti ufficiali. Lettere imperiali e decreti sono spesso riprodotti o inventati da funzionari locali per ottenere privilegi o favori. In diversi casi, documenti apocrifi vengono esposti pubblicamente come segni di prestigio e vicinanza all’imperatore. Tacito racconta come le comunità usassero testi fittizi per dimostrare rapporti inesistenti: la letteratura diventa fake news istituzionale, supportata dalle autorità.

Nel periodo dei successori di Augusto, la propaganda raggiunge livelli altissimi di perfezionamento e diffusione. Il caso di Nerone, dipinto come colpevole dell’incendio del 64 d.C. nelle Annales di Tacito, svela una sistematica campagna per rovinare la sua reputazione. Fonti successive come Suetonio e Dione Cassio riprendono la narrazione, amplificandola, spesso basandosi su rumors e racconti popolari, senza riscontri effettivi. Nerone diventa il simbolo della demagogia e della violenza, mentre in realtà le prove della sua colpevolezza sono deboli o assenti. Il mito della sua crudeltà è una fake news che attraversa i secoli, alimentata dalla necessità collettiva di attribuire al potere un volto mostruoso.

La propaganda agisce anche nel costruire l’immagine degli eroi: Giulio Cesare, nelle sue Commentarii de Bello Gallico, presenta le popolazioni galli e germaniche come selvagge e disumane, giustificando così le campagne militari e le stragi. Lo stile narrativo di Cesare è lucido, strategicamente costruito per mostrare le sue imprese come necessarie per la salvezza della civiltà romana. La sua capacità di giocare con i numeri, esagerare le difficoltà e ridurre al minimo le sconfitte è la dimostrazione che la storia è ciò che viene scritto dal vincitore. In questa continua revisione dei fatti, l’Impero impone la propria verità sugli avvenimenti, sancendo un modello di narrazione che altri seguiranno.

Anche nella satira e nella letteratura, la manipolazione della realtà trova spazio. Giovenale, con le sue Satire, disegna una società corrotta, dove il potere si esercita attraverso menzogne e illusioni. Il popolo romano viene dipinto come vittima consapevole, inserito in un gioco che conosce bene: la strategia del rumor e della calunnia diventa la costante quotidiana. Perfino i poeti come Ovidio e Marziale, nelle loro opere, ironizzano sull’arte di esagerare e distorcere i fatti per ottenere favori o evitare punizioni. La società romana vive nel costante sospetto che ogni verità sia travisata; la cultura delle fake news diviene parte strutturale del vivere comune.

Il meccanismo della propaganda attraversa ogni strato sociale. I consoli, per mantenere il favore popolare, propagano notizie false sulle vittorie militari; i senatori diffondono storie inventate sugli avversari politici per screditarli. Gli avvenimenti pubblici vengono presentati al popolo con una retorica studiata, capace di far apparire le sconfitte come successi. Le commemorazioni ufficiali, le festività, le dediche su templi e statue celebrano eventi spesso modificati a tavolino, in modo che la narrazione resti sempre favorevole ai ceti dominanti. Il ricorso alle fonti letterarie e orali, controllate da pochi, garantisce la diffusione della versione dei fatti preferita dal potere.

Roma esporta la tecnica della propaganda anche nei territori conquistati. Gli storici greci come Polibio e Dione Cassio raccontano come i governatori romani manipolassero la storia locale, inventando miti di origini comuni e legami dinastici tra le famiglie italiche e la nobiltà ellenistica. Perfino le genealogie mitiche degli eroi, da Ercole ad Evandro, vengono adattate e messe al servizio della romanizzazione: la storia di ogni popolo si piega all’immaginario romano, fino a diventare eco della sua superiorità.

Il controllo sulla memoria pubblica si esprime nella soppressione delle fonti concorrenti e nella distruzione di documenti scomodi. Le cronache avverse vengono censurate o fatte sparire, le testimonianze dei nemici sono sistematicamente falsificate. La memoria collettiva è diretta da una élite che detta ciò che deve essere ricordato e ciò che può essere dimenticato, in una lotta perenne per il possesso del racconto storico. Gli imperatori come Vespasiano e Domiziano controllano direttamente le fonti storiografiche, affidando la compilazione ufficiale della storia ad autori selezionati e fedeli, come Plinio il Giovane e Tacito.

La propaganda passa anche attraverso la religione. La divinizzazione degli imperatori, celebrata attraverso culti e cerimonie ufficiali, trasforma uomini comuni in semidei, legittimando il loro potere e il loro diritto a governare. Le augustea e le festività religiose servono a diffondere l’immagine di Roma come centro del mondo, depositaria di ogni virtù e origine di ogni progresso. Attraverso la costruzione del mito, la verità storica si dissolve, lasciando spazio a una narrazione che alimenta l’orgoglio e la coesione sociale.

In ambito militare, la propaganda si fa strumento concreto di comando: i resoconti delle battaglie, le strategie elencate da Frontino nei suoi Strategemata, presentano le guerre come ordalie eroiche, le sconfitte come inevitabili o minime. Ogni campagna diventa leggenda, ogni generale viene celebrato (o screditato) con notizie spesso fabbricate o manipolate secondo necessità.

La letteratura filosofica non è assente da questa dinamica: Seneca e Marco Aurelio, nei loro scritti, riflettono apertamente sulla differenza tra realtà e apparenza, sulla difficoltà di distinguere verità e menzogna in un mondo dominato dalla retorica. Nei Diari di Marco Aurelio, la necessità di mantenere il controllo sulla narrazione pubblica viene presentata come compito centrale di chi governa, in una società ricca di illusioni e falsità.

Il sistema romano di propaganda e fake news ha influenzato profondamente la cultura occidentale. La creazione di una verità strumentale, piegata ai bisogni del potere, ha fatto scuola per millenni. L’esempio di Roma viene ripreso dalla storiografia medievale, dall’epica rinascimentale e dalla politica contemporanea: la gestione delle notizie, la costruzione dei miti, l’occultamento di fatti scomodi sono pratiche che affondano le radici proprio nelle strategie romane. Il potere di inventare, riscrivere, diffondere la realtà non è mai stato più raffinato che nella Roma antica.

Chi legge attentamente le fonti primarie sa che la storia di Roma è soprattutto storia della manipolazione. Ogni biografia, ogni resoconto di guerra, ogni epistola ufficiale è carica di valorizzazioni, omissioni, enfasi e falsificazioni. Perfino i monumenti e i templi portano iscrizioni fittizie, che celebrano eventi modificati e personaggi reinventati. L’archeologia ha dimostrato come molte delle narrazioni tramandate siano creazioni artificiali, pensate per influenzare la memoria e consolidare il potere.

Il lettore moderno deve dunque rapportarsi alle fonti con spirito critico, sapendo che le fake news non sono soltanto strumenti occasionali, ma l’anima stessa della politica romana. L’eredità di Roma ci insegna che la verità, in ogni epoca, è costruita da chi la possiede: tra mito e storia, tra menzogna e racconto, tra potere e sogno. La lezione della città eterna è sempre attuale: solo chi sa raccontare vince davvero, e la verità resta la prima vittima della battaglia per il consenso.

Alla fine, ciò che resta è un’immagine potente e memorabile: Roma, città di pietra e di parole, regina delle bugie e delle verità costruite. Come un grande attore sul palcoscenico della storia, ha insegnato che il mito può dominare la realtà, che la menzogna può forgiare destini, che il racconto può sostituire l’esperienza. Le fake news non sono altro che la lunga ombra della sua eredità: ogni volta che il potere trasforma la storia, Roma vive ancora, tra le pieghe della memoria e i sussurri della propaganda.

Fonti storiche primarie antiche (traduzioni ufficiali inglesi):

  • Virgilio, “Eneide”, trad. H.R. Fairclough, Loeb Classical Library.
  • Tito Livio, “Ab Urbe Condita”, trad. B.O. Foster, Loeb Classical Library.
  • Cicerone, “Epistulae ad Atticum”, trad. E.O. Winstedt, Loeb Classical Library.
  • Sallustio, “Bellum Catilinae”, trad. J.C. Rolfe, Loeb Classical Library.
  • Giulio Cesare, “De Bello Gallico”, trad. H.J. Edwards, Loeb Classical Library.
  • Suetonio, “De Vita Caesarum”, trad. J.C. Rolfe, Loeb Classical Library.
  • Tacito, “Annales”, trad. J. Jackson, Loeb Classical Library.
  • Dio Cassio, “Roman History”, trad. E. Cary, Loeb Classical Library.
  • Appiano, “Roman History”, trad. H. White, Loeb Classical Library.
  • Plinio il Giovane, “Epistulae”, trad. W.M. Hutchinson, Loeb Classical Library.
  • Ovidio, “Metamorfosi”, trad. F.J. Miller, Loeb Classical Library.
  • Marziale, “Epigrammi”, trad. W.C. Ker, Loeb Classical Library.
  • Seneca, “Epistulae Morales ad Lucilium”, trad. R.M. Gummere, Loeb Classical Library.
  • Marco Aurelio, “Meditazioni”, trad. G. Hays, Loeb Classical Library.
  • Frontino, “Strategemata”, trad. C.E. Bennett, Loeb Classical Library.