Roma conquista la Sardegna

La conquista romana della Sardegna è un processo particolarmente lungo, durante il quale Roma ha imposto il proprio controllo su una delle più importanti Isole del Mediterraneo, ma al costo di continue e ripetute ribellioni ed insurrezioni, mantenendo per sempre un rapporto conflittuale con gli indigeni.

La situazione cambiò durante la prima guerra punica: nonostante esistessero degli accordi che garantivano a Cartagine il controllo sull’isola, l’aristocrazia romana cambiò radicalmente la sua politica.

Con un totale disprezzo degli accordi stabiliti, e approfittando della guerra mercenaria che aveva messo in crisi Cartagine, Roma riuscì ad annettere la Sardegna con la forza. Nel 238 a.C, la Sardegna divenne così una provincia romana e sarebbe rimasta tale per i successivi 694 anni.

La Sardegna romana e le continue insurrezioni

Le popolazioni sarde si ribellarono quasi immediatamente ai dominatori romani e i governatori della Sardegna furono costretti ad intervenire più volte per domare la ribellione: i generali Manlio Torquato nel 235, Carvilio Massimo Ruga nel 233 e Pompilo nel 232 furono infatti costretti ad intervenire militarmente.

Nel 231 a.C, alla luce delle continue insurrezioni da parte dei Sardi, venne inviato un intero esercito consolare per riportare la pace sull’isola. 

Il comandante Papirio Maso ebbe l’incarico di domare gli abitanti dell’isola di Corsica, mentre Pomponio Mato  avrebbe dovuto sottomettere definitivamente i sardi. I Consoli non riuscirono tuttavia a portare a termine le loro campagne e la situazione rimase gravemente instabile. 

Un altro momento di crisi si verificò nel bel mezzo della seconda guerra punica e in particolare nel 216 a.C, quando il proprietario terriero e aristocratico proveniente dalla città di Cornus, Amsicora, guidò una massiccia ribellione contro il dominio romano: un esercito composto da indigeni e da cartaginesi alleati  (15.000 fanti e 1500 Cavalieri) mise seriamente in pericolo il dominio romano sull’isola. 

I romani affrontarono i ribelli nella battaglia di Decimomannu, riuscendo a prevalere, nonostante la strenua resistenza delle popolazioni locali. La ribellione terminò con il suicidio di Amsicora e con il sacco della città di Cornus, che venne messa a ferro e a fuoco per ordine del generale Manlio Torquato.

Anche il II secolo a.C fu particolarmente turbolento per la provincia di Sardegna. Nel 181 le tribù nel sud della Corsica e nel nord-est della Sardegna si ribellarono nuovamente: la rivolta venne fermata da Pinario Posca, che uccise 2000 ribelli e ridusse i restanti in schiavitù. 

Nel 177 e 176 il Senato inviò il console Tiberio Sempronio Gracco per sedare la rivolta delle tribù dei Balares e degli Ilienses, con due legioni: negli scontri turbolenti che ne seguirono morirono circa 27.000 sardi. Per punire gli abitanti dell’ennesima rivolta, il Senato decretò il raddoppio del carico fiscale e Gracco ottenne il trionfo. 

Tiberio Sempronio Gracco
Tiberio Sempronio Gracco

Tito Livio riporta un’iscrizione apposta sul tempio della dea Mater Matuta, nel centro di Roma, che recita: 

“Sotto il comando e gli uffici del console Tiberio Sempronio Gracco, la legione e l’esercito del popolo romano soggiogarono la Sardegna. Più di 80.000 nemici vennero uccisi o catturati. Conducendo la guerra nel modo più felice per lo stato romano, liberando gli amici, restituendo il bottino, riportò sano e salvo l’esercito. Per la seconda volta entrò trionfante a Roma. In ricordo di questi eventi, dedicò questa tavola a Giove.”

Nel 174 scoppiò l’ennesima rivolta in Sardegna, che venne nuovamente domata da Tito Manlio Torquato: 80.000 sardi morirono sul campo di battaglia. L’anno successivo la Sardegna si ribellò nuovamente, e questa volta il pretore dell’isola Atilio Servato venne sconfitto e fu costretto a rifugiarsi in un’altra isola. Atilio inviò messaggeri per chiedere rinforzi a Roma, che vennero immediatamente forniti dal generale Gaio Cicerio. Cicerio riportò una vittoria, uccidendo 7000 sardi e riducendone altri 1700 in schiavitù.

Nel 163 a.C, Marco Thalna fu in grado di sedare un’ulteriore ribellione: le fonti antiche narrano che il Senato romano, dopo essere stato informato della vittoria in Sardegna, annunciò delle pubbliche preghiere in onore di Thalna ed egli provò un senso di gratitudine e un’emozione così forte da morire di crepacuore. 

Al di là del racconto tradizionale, la vittoria di quest’ultimo deve essere stata effimera, dal momento che di lì a poco il generale Scipione Nasica fu inviato per domare delle nuove insurrezioni.

Dopo due ulteriori rivolte scoppiate rispettivamente nel 126 e nel 122,  entrambe sedate da Lucio Aurelio, si arrivò all’ultima grande rivolta del 111 a.C repressa dal console Marco Cecilio Metello, che riuscì a sconfiggere gli eserciti dei Sardi, sia quelli che stazionavano sulla costa sia quelli che vivevano negli altopiani della Sardegna. 

Da quel momento, i sardi che risiedevano nelle zone costiere e nella pianura cessarono di ribellarsi alla potenza romana, ma rimasero relativamente indipendenti e costantemente bellicose le tribù che abitavano negli altopiani e nelle zone più interne dell’isola, tanto che vennero citati nei documenti romani come “Civitates barbariae”.

La Sardegna nel periodo tardo repubblicano e imperiale

Nella tarda Repubblica la Sardegna venne utilizzata come zona di rifornimento e reclutametno per le guerre civili: Gaio Mario e Lucio Cornelio Silla Felice stabilirono infatti i loro veterani in Corsica e in Sardegna, utilizzando le scorte di grano per sostenere i loro sforzi bellici.

Giulio Cesare fece catturare la Sardegna, strappandola al dominio di Pompeo, e ottenendo il controllo della fornitura di grano. La Sardegna contribuì così al sostentamento delle legioni di Cesare durante la guerra civile del 49. Più tardi, durante il secondo triumvirato, la Sardegna fu assegnata all’area della repubblica sotto responsabilità di Ottaviano ed egli utilizzò nuovamente le scorte di grano sarde per nutrire i suoi eserciti che andavano a combattere contro Bruto e Cassio.

Tra il 40 e il 38 a.C, Sesto Pompeo, il figlio di Pompeo sconfitto a Farsalo, occupò la Corsica e terrorizzò la Sardegna, la Sicilia e tutte le coste meridionali della penisola italiana con la sua flotta di pirati.

In particolare la flotta di Sesto Pompeo era composta da migliaia di schiavi che avevano diverse roccaforti in Sardegna e in Corsica. Sesto riuscì ad imporre un blocco dei rifornimenti verso Roma talmente grave che Ottaviano, pure in netta superiorità militare, fu costretto a scendere a patti con lui.  

Nel patto di Miseno, 39 a.C, Sesto Pompeo divenne ufficialmente il governatore della Corsica e della Sardegna oltre che della Sicilia e della Acaia in cambio dell’interruzione del blocco dei rifornimenti e di una neutralità nel conflitto imminente tra Ottaviano e Marco Antonio. 

Non soddisfatto di quanto aveva ottenuto, e ritenendo che Sesto Pompeo non potesse continuare a tenere in scacco Roma, Ottaviano radunò una flotta che sconfisse Sesto Pompeo nella battaglia di Nauloco, grazie alla guida dell’ammiraglio Vipsanio Agrippa.

Una volta ottenuto il potere e diventato Augusto, la Sardegna e la Corsica divennero una provincia senatoria. Erano amministrate da un proconsole con il grado di pretore, e rispondevano tecnicamente al Senato.

Nel 6 d.C, la Sardegna divenne invece di esclusiva proprietà di Augusto: l’isola venne tenuta sotto controllo grazie alla presenza costante delle legioni e amministrata come una provincia personale dell’imperatore. 

Dopo il 69 d.C, sembra che la Sardegna fosse controllata da un procuratore, e così fu fino al periodo del tardo Impero. Diocleziano, nel 292 d.C, incluse le province di Corsica e di Sardegna in una delle sue diocesi d’Italia, insieme alla Sicilia e a Malta.

La funzione della Sardegna per Roma

La Corsica e la Sardegna rimasero sempre in uno stato poco urbanizzato e vennero perlopiù utilizzate come luoghi di esilio per i nemici politici. Ad esempio, fu esiliato in Sardegna Gaio Cassio Longino, accusato di una congiura ai danni dell’ imperatore Nerone, così come Anicetus, l’assassino della anziana Agrippina. Sotto il periodo di Tiberio vennero esiliati diversi ebrei e cristiani, questi ultimi soprattutto per lavorare nelle ricche miniere dell’isola.

Sebbene abbastanza trascurata, la Sardegna finì per svolgere un ruolo significativo negli avvenimenti dell’impero. L’isola forniva a Roma gran parte dell’approvvigionamento di grano durante i tempi della repubblica e questo ruolo rimase immutato fino alla conquista definitiva dell’Egitto da parte di Augusto.

Inoltre, la Sardegna forniva a Roma il maggior numero di marinai per le sue flotte militari e fu uno dei principali produttori di metallo grazie alle sue ricche miniere di argento, piombo e rame. 

La società Sarda rimase sempre diffidente nei confronti dei romani e pochi furono gli abitanti dell’isola che ottennero dei posti di rilievo nella politica. Si ha memoria solo di Marco Erennio Severo che divenne legato della Provincia di Giudea e ottenne il grado di pretore durante la metà del II secolo d.C. 

Infine alcuni senatori di origine Sarda, come Ampelius, vennero accusati, nel tardo Impero, di essersi schierati contro l’imperatore Teodosio.

L’opinione dei romani sui sardi e sulla Sardegna

Roma mantenne un rapporto abbastanza freddo con la provincia. Le regioni costiere dell’isola vennero colonizzate e adottarono lingua e cultura latina, ma le aree interne resistettero pervicacemente e si può dire che non vennero mai definitivamente conquistate, soprattutto per un calcolo di costi-benefici che indusse i romani a non insistere oltre.

Si verificarono diverse rivolte ed insurrezioni e i romani, anche per la presenza di aree densamente boscose, evitarono appositamente alcuni territori che vennero definiti come “Terra di barbari.”

I romani consideravano la Sardegna come un territorio di gente arretrata e malsana e abbinavano molto spesso l’Isola alla presenza della malaria. Uno studio del 2017, effettivamente, ha dimostrato che la malaria era endemica oltre 2000 anni fa, come dimostra la presenza di beta talassemia nel Dna di un individuo rinvenuto nella necropoli Punica di Caralis.

I prigionieri sardi inondarono i mercati degli schiavi tanto che i romani coniarono il proverbio “Sardi a buon mercato ” un’espressione che divenne comune nella lingua latina per indicare qualcosa di poco valore, come ci riporta Tito Livio.

Cicerone disprezzava fermamente i Sardi: si riferiva a loro definendoli “maldisposti verso il prossimo e avversi come nessun altro nei confronti del popolo romano”. Criticò fortemente i ribelli che abitavano gli altopiani e che continuavano a combattere i romani utilizzando la tecnica della guerriglia. Spesso li chiamava “ladri dai mantelli di lana ruvida.”

Cicerone inoltre paragonava molto spesso i sardi ai punici, i quali avevano altrettanto una cattiva reputazione.

I punici venivano identificati come dei traditori, dediti al sotterfugio e al tradimento e molto spesso Cicerone paragonò i sardi agli antichi berberi del nordafrica, spiegando che il loro sangue si era mescolato con quello nord-africano.

Questo abbinamento, poco onorevole per la cultura romana, si ritrova negli stessi scritti di Cicerone che utilizzava spesso il nome “Africus” o “Nord-africano” e “Sardus” o “Sardo” come sinonimi, per dimostrare la comune natura malevola dei Sardi, ereditata dagli infidi progenitori cartaginesi.

Varrone, proseguendo la tradizione iniziata da Cicerone, era solito paragonare la tribù dei Sardi a quella dei Getuli affermando che si trattava di due tribù barbare che usavano vestirsi con pelli di capra, e affermando che nessuna città Sarda era mai stata amica dei romani.

Nelle fonti antiche si ritrovano diversi stereotipi negativi che alimentarono una profonda ostilità dei Sardi nei confronti di Roma. Strabone ricorda ancora che le popolazioni che risiedevano sulle montagne non erano del tutto pacificate e che molto spesso vivevano ricorrendo al saccheggio, sia nei confronti di altre popolazioni sarde sia con atti di pirateria contro le coste dell’Etruria, e in particolare dell’odierna Pisa.

Vi sono solo alcuni casi isolati che vedono i romani avere un’opinione positiva dei Sardi. È il caso di Giulio Cesare che realizzò l’orazione “Pro Sardis”, e che divenne amico personale del Cantore sardo Tigellius.

La città di Caralis, la capitale della Sardegna nel periodo romano, fu infatti sostenitrice di Cesare e della fazione dei Populares, fornendogli alcune truppe in vista della battaglia di Tapso.