La rivolta di Spartaco. Il gladiatore che guidò gli schiavi contro Roma

La rivolta di Spartaco, o terza guerra servile, è una ribellione avvenuta durante la repubblica romana, capeggiata dal gladiatore trace Spartaco che mise in grave crisi l’esercito e la stabilità di Roma.

Diversi generali si susseguirono per stroncare la rivolta, fra cui Marco Licinio Crasso, che operò un inseguimento su vasta scala seguito da scontri particolarmente feroci.

La rivolta di Spartaco è un momento fondamentale della storia romana, entrata nell’immaginario collettivo e segnale di un grandissima sofferenza della condizione servile nella Roma repubblicana.

L’insoddisfazione degli schiavi nella Repubblica di Roma

La repubblica romana aveva compiuto numerose conquiste nel corso dei secoli, e aveva operato una espansione su vastissima scala. La ingente massa di popoli conquistati, avevano portato il Senato romano ad avere a disposizione una quantità di schiavi veramente considerevole.

Nei mercati venivano venduti ogni giorno decine di migliaia di schiavi con l’esempio emblematico dell’isola di Delo, dove secondo Strabone venivano venduti 15000 uomini al giorno.

Queste decine di migliaia di persone avevano tuttavia dei punti in comune: molto spesso la stessa provenienza, la stessa lingua e gli stessi Dèi.

Questo li portava naturalmente a riunirsi in gruppi coesi.

Inoltre, gli schiavi facevano tradizionalmente i lavori più umili, il che conferiva loro una forza fisica del tutto straordinaria, alla pari dei migliori soldati romani.

Gli schiavi svolgevano spesso dei compiti di pastorizia, attività che li portava a trasportare con sé delle piccole armi: alcune fonti del tempo dicono chiaramente che assomigliavano a dei soldati.

Questi elementi furono alla base della nascita di un gran numero di pericolosi rivoltosi sul piede di guerra, che dettero filo da torcere ai generali romani.

È il caso della prima guerra servile, una grande rivolta di schiavi contro i latifondisti siciliani colpevoli di sfruttarli oltre ogni misura.

La rivolta venne soffocata nel sangue, ma già con grande fatica da parte dei comandanti romani, che sottovalutarono la condizione di sofferenza che si andava accumulando nell’isola siciliana.

A riprova di ciò, a nemmeno troppa distanza temporale, Roma conobbe una seconda guerra servile. In quel caso il motivo del contendere fu la minaccia delle popolazioni germaniche dei Cimbri e dei Teutoni.

In quell’occasione al generale Caio Mario venne affidato il compito di affrontare i nemici germanici. Mario aveva bisogno di reclutare rapidamente soldati e per questo vennero chiamati alle armi anche uomini della Sicilia.

Per una serie di dinamiche di sfruttamento, come ad esempio uomini liberi che venivano resi schiavi per lavorare nei campi o per essere assoldati con la forza nell’esercito, Roma conobbe una seconda grande rivolta. Questa volta la ribellione mise quasi in discussione la presenza stessa dei romani in Sicilia.

Anche questa situazione fu risolta prevalentemente con l’utilizzo della forza, senza la comprensione del fenomeno e l’attuazione di quelle riforme necessarie per riportare la condizione degli schiavi entro livelli accettabili.

La terza guerra servile, nasce quindi nell’ambito di una continuità con queste agitazioni sociali.

La rivolta di Spartaco. La sollevazione e i primi scontri sul Vesuvio

L’origine della rivolta si verificò questa volta a Capua, in Campania. La cittadina era sede forse della migliore scuola gladiatoria di tutta la Repubblica.

Decine di gladiatori si allenavano quotidianamente: i campioni sfornati da Capua erano rinomati in tutta Italia e acclamati in ogni anfiteatro, tante le armi che usavano dal gladio romano ad affilatissime lance.

Nel 73 a.C, circa 200 gladiatori iniziarono a ribellarsi per le devastanti condizioni in cui venivano tenuti da loro padroni.

Prendendo degli attrezzi da cucina, e con una organizzazione piuttosto improvvisata, riuscirono a liberarsi, iniziando a devastare il territorio Campano.

Quasi immediatamente, i gladiatori nominarono tre capi: Crisso, Enomo e Spartaco, che si affaccia a questo punto tra le pagine della storia.

Roma compì da subito un primo errore di valutazione, considerando questo episodio poco più che un fenomeno di normale criminalità, anziché una ribellione su vasta scala, nonostante gli episodi precedenti.

Il primo generale che venne mandato per sedare la rivolta, Gaio Claudio Glabro, reclutò infatti solo tremila uomini, piuttosto raccoglitrici, senza una particolare organizzazione e addestramento.

Ritenendo di chiudere la partita in pochissimo tempo, Glabro mosse contro i gladiatori ribelli. Ma le cose andarono molto diversamente da quanto si aspettava.

I gladiatori si rifugiarono sul monte Vesuvio: assediati da Glabro con i suoi uomini, i rivoltosi dimostrarono una grande inventiva. Attraverso una serie di graticci, riuscirono a calarsi dalla parte opposta del Monte del Vesuvio, e compiendo un largo giro sorpresero gli uomini di Glabro alle spalle.

Fu un massacro.

La vittoria su Varinio e l’allargarsi della rivolta

Il primo tentativo di fermare Spartaco e i suoi era naufragato nel sangue. Ma i Romani continuarono a gestire in maniera inadeguata il pericolo. Publio Varinio, un secondo comandante inviato contro Spartaco e i suoi, compì un errore abbastanza elementare.

Varinio divise, non si sa esattamente per quale motivo, il suo esercito in due, indebolendolo notevolmente. Subì così una rapida sconfitta, il che aumentò il furore e le prospettive di successo degli schiavi e dei gladiatori.

Dopo le prime due schiaccianti vittorie, Spartaco e i suoi iniziarono a suscitare ammirazione: altri gladiatori, schiavi scontenti della loro condizione ma anche cittadini e contadini disperati, raggiunsero in poco tempo il numero preoccupante di 70000 rivoltosi, stazionati in Campania.

Come si mossero a questo punto della loro storia i ribelli?

Le fonti non sono concordi e non abbiamo resoconti dettagliati delle intenzioni di questo nuovo, improvvisato esercito.

Secondo l’interpretazione più classica, la massa di rivoltosi si divise in due principali fazioni. La prima, comandata da Crisso, voleva continuare a devastare i territori della Campania e sfruttare il territorio a loro vantaggio.

Spartaco, invece, avrebbe voluto allontanarsi quanto prima dall’Italia scappando a nord, oltrepassando le Alpi, per redistribuirsi al di fuori della penisola.

Probabilmente, la fazione di Spartaco riuscì a convincere maggiormente la massa dei rivoltosi, visto che l’esercito cerco di muoversi verso nord.

Gli scontri contro Gellio e Lentulo

Di nuovo le fonti sono contraddittorie. I movimenti dei ribelli per la penisola italica, in questa fase, sono raccontati prevalentemente da Appiano e Plutarco, che ci danno due versioni per certi versi differenti.

Secondo la versione di Appiano, Roma inviò contro Spartaco due generali, Lucio Gellio Publicola e Gneo Cornelio Lentulo Clodianocon l’obiettivo di stroncare la rivolta alla radice.

Gellio si mosse direttamente da Roma attaccando dapprima i gladiatori guidati da Crisso e ottenendo una prima vittoria. Fu in questa battaglia che Crisso perse la vita.

Dopodiché, Gellio avrebbe cominciato a inseguire Spartaco verso nord. La via di fuga sarebbe stata opportunamente sbarrata dalle legioni di Lentulo, che erano partite da Roma, con l’obiettivo di bloccare il passo di Spartaco.

Il leader dei ribelli si sarebbe così ritrovato imprigionato tra Lentulo a nord e Gellio a sud.

I movimenti di Spartaco secondo Appiano. – Gellio attacca Crisso (1), poi insegue Spartaco, Lentulo sbarra la strada (2), Spartaco forza il blocco (3) e fugge a nord (4) dove sconfigge ulteriori eserciti consolari.

Spartaco sarebbe però riuscito a forzare il blocco, scappando ulteriormente al nord e vincendo, tra l’altro, degli ulteriori eserciti consolari che erano stati inviati in soccorso.

La versione di Plutarco invece ha delle importanti differenze.

Secondo lo storico, che scrive secoli dopo gli avvenimenti, Gellio sconfisse Crisso e inseguì Spartaco, il quale sarebbe stato sempre bloccato a nord da Lentulo.

Ma non si fa menzione di alcuna vittoria di Spartaco su Gellio nè di una serie di battaglie narrate invece da Appiano.

Al contrario, Plutarco ci parla di un combattimento, di cui Appiano non fa nota, a Mutina contro il generale Gaio Cassio Longino. In questo caso Spartaco avrebbe vinto la battaglia, ma non sarebbe riuscito ad oltrepassare le Alpi come avrebbe voluto.

La rivolta di Spartaco secondo Plutarco. Gellio attacca Crisso (1) insegue Spartaco mentre Lentulo gli sbarra la strada (2), mancano alcune battaglie. In compenso Plutarco cita Spartaco contro Longino a Mutina.

Rimane un mistero se Spartaco avesse intenzione di marciare direttamente su Roma.

Secondo la maggioranza delle fonti, la marcia su Roma sarebbe stata davvero nelle intenzioni di Spartaco, soprattutto dopo le vittorie sugli eserciti di Lentulo e di Gellio, ma sembra che per una serie di dissidi interni e una profonda incertezza, egli ci abbia rinunciato, ripiegando a Sud.

L’arrivo di Marco Licinio Crasso

Nonostante le fonti discordanti, la situazione era estremamente grave. A cambiare le carte in tavola fu l’arrivo di un nuovo generale, Marco Licinio Crasso.

Crasso si era formato sotto il dittatore Silla, si era arricchito enormemente con le liste di proscrizione e aveva convinto il Senato a prendere in pugno la situazione.

Con 6 legioni aveva a disposizione una notevole forza militare che aveva però bisogno di essere riordinata.

La “cura” di Crasso si concretizzò in un atteggiamento estremamente duro nei confronti dei suoi soldati. Numerose furono le punizioni, addirittura delle decimazioni.

Venne instaurato nell’esercito un vero regime di terrore, per cui soldati avevano più paura di deludere il loro comandante che affrontare il nemico.

Crasso prese quindi il controllo di un ingente quantitativo di uomini utilizzando uno straordinario pugno di ferro. Alchè, mosse contro Spartaco.

Il suo avversario, però, non fu da meno.

Si narra che a questo punto della storia, Spartaco compì un gesto eclatante, rimasto nella storia: l’uccisione del suo cavallo. Secondo la tradizione, Spartaco affermò che se avesse vinto avrebbe avuto tutti i cavalli che voleva, ma se avesse perso non sarebbe mai fuggito. Piuttosto sarebbe morto sul campo di battaglia.

I primi scontri con Crasso e il ripiegamento a Sud.

Spartaco si trovava a questo punto nel Metaponto, odierna Basilicata.

Il suo tentativo di muoversi verso nord venne immediatamente intercettato e stroncato dalle legioni di Crasso.

Gli scontri furono durissimi, perché da un lato si trovavano decine di migliaia di disperati estremamente forti, e dall’altro dei legionari altamente motivati dalla paura del loro comandante.

Sembra, secondo le cronache del tempo, che Spartaco sia andato a cercare personalmente Crasso per un confronto diretto ma non avendolo trovato, uccise un centurione a lui molto vicino.

Crasso, ottenne comunque delle prime vittorie e costrinse l’esercito di Spartaco a ripiegare a sud, verso la Calabria. Il generale romano si mise immediatamente all’inseguimento del nemico e il teatro dello scontro si spostò definitivamente verso Reggio.

Qui, nell’estrema punta calabrese, Spartaco avrebbe ordito un accordo con i pirati cilici, che solcavano a quel tempo i mari dell’Italia del Sud: dietro il pagamento di una ingente cifra, i suoi uomini sarebbero stati imbarcati e scaricati in Sicilia, dove Spartaco avrebbe trovato manforte per rinforzare e rinnovare il suo esercito.

Il piano non funzionò come sperato: i pirati incassarono i soldi e tradirono Spartaco senza tenere fede agli impegni.

Al gladiatore, così, non rimase altro che resistere, assediato, all’assalto di Crasso, che iniziò immediatamente a costruire una serie di fortificazioni per mettere alle strette il suo nemico.

Lo scontro finale e l’arrivo di Pompeo

Spartaco capì sicuramente che era arrivato il momento di arrendersi. Secondo le cronache, inviò dei messaggeri a Crasso per trattare la pace, ma la risposta del generale romano fu di totale diniego.

Non solo Crasso inseguiva una gloria personale, ma il Senato aveva inviato il generale Pompeo, appena ritornato dalla Spagna, dove aveva sedato la rivolta di Sertorio, per dare manforte al collega.

Quest’ultimo non aveva alcuna intenzione di farsi aiutare da Pompeo né di dividere la gloria della vittoria contro Spartaco. Per questo motivo, non aveva tempo da perdere in trattative, ma voleva arrivare immediatamente ad uno scontro che gli avrebbe consegnato la vittoria definitiva.

Lo scontro tra Crasso e Spartaco riprese quindi furioso. I ribelli riuscirono a sfondare le fortificazioni create con grande fatica da Crasso, che fu costretto ad inseguire gli avversari.

In questa fase alcune schermaglie estremamente sanguinose da entrambe le parti, spossarono i rispettivi eserciti.

Spartaco riuscì comunque a muovere verso nord, dove incontrò proprio l’esercito di Pompeo in arrivo. Spartaco non ebbe altra opzione che tornare indietro e affrontare il grosso dell’esercito di Crasso.

Lo scontro fu durissimo, ma alla lunga, la professionalità dei legionari iniziò ad avere la meglio sul furore dei ribelli. Vedendo infatti l’evolversi disperato della situazione, una parte dei combattenti di Spartaco iniziò a tradire il suo comandante e a trattare autonomamente la resa con i generali romani.

Spartaco, indomabile, non si arrese mai. Secondo le fonti, morì con le armi in pugno nella battaglia finale: il suo corpo venne orribilmente mutilato dai soldati romani, o perlomeno nascosto per impedire che il suo cadavere potesse diventare un feticcio per future ribellioni. Lungo la via Appia vennero crocifissi moltissimi ribelli, ma come detto non il corpo di Spartaco che non fu più ritrovato.

L’avventura di Spartaco si concluse così, con la sconfitta e con la morte. Ma l’onore delle armi per un condottiero tanto talentuoso, si trasformò presto in leggenda.

I contrasti fra Crasso e Pompeo

Dopo la sconfitta e la morte di Spartaco, la politica Romana conobbe dei periodi piuttosto convulsi. In buona sostanza, accadde esattamente quello che Crasso voleva evitare.

Pompeo, arrivato all’ultimo momento sul campo di battaglia, si era limitato ad uccidere un gruppo residuo di rivoltosi, circa cinquemila, ma riuscì a informare il Senato dell’esito della guerra prima del collega.

Egli diede formalmente il merito a Crasso di aver sostenuto la gran parte della ribellione, ma con notevole disinvoltura, fece intendere al Senato che era stato lui a stroncare il pericolo.

Il Senato credette fermamente alla versione di Pompeo, tanto che a lui venne tributato il trionfo, la più grande celebrazione per la vittoria di un generale, mentre Crasso dovette accontentarsi di una Ovatio, un segnale di stima importante ma del tutto imparagonabile.

Questo “furto di gloria” causò l’intenso odio di Crasso verso Pompeo: i rapporti saranno ricuciti in seguito solo dall’intelligenza politica di Cesare, durante il primo Triumvirato.

Le riforme di Roma in favore degli schiavi

Non dobbiamo pensare che la rivolta servile di Spartaco sia stata stroncata totalmente nel sangue senza ulteriori conseguenze.

Roma era riuscita a neutralizzare i gladiatori, gli schiavi e tutti i ribelli, ma aveva finalmente realizzato che la condizione servile era effettivamente insopportabile.

La società romana doveva evolvere e cambiare atteggiamento nei confronti di tutto il sistema schiavistico. Nel breve periodo, vi fu un trattamento più umano nei confronti degli schiavi.

Molto spesso vennero assunte delle persone libere a lavorare nei campi, in modo da avere la stessa forza lavoro ma con la concessione di maggiori diritti rispetto a semplici schiavi coscritti.

Ma non solo: nel corso dei decenni e addirittura nei secoli successivi, imperatori come Augusto, Marco Aurelio e Antonino Pio, emanarono una complessa serie di regolamenti e leggi promulgate con l’obiettivo di migliorare la condizione degli schiavi.

Azioni come uccidere uno schiavo senza una motivazione consistente o maltrattare uno schiavo anziano, malato o debilitato iniziarono a diventare reati punibili per legge.

Roma, vinse così militarmente la terza guerra servile, ma la sua principale vittoria va ricercata nella riconsiderazione dei rapporti con gli schiavi.

Una inversione di rotta che consentì alla società romana di non implodere.